Live Report: Sonisphere a Milano
Sonisphere
08/06/2013 @Fiera Rho Pero, Rho (MI)
Introduzione di Luca Cardani
Ore 13.00: gli Amphitrium aprono l’attesissimo Sonisphere, e la scelta di riservargli il ruolo di opener risulta alquanto adatta all’occasione. Il quintetto ticinese capitanato dalla trascinante voce di Evil S.A.M. sprigiona energia e adrenalina nella mezz’ora a sua disposizione, fondendosi con il sole cocente che regna sull’Arena Fiere di Rho. Stilisticamente fuori contesto, il death/black metal proposto dalla band trova però risposte positive da parte del pubblico presente, tra cui i molti sostenitori accorsi dalla vicina Svizzera. Il repertorio è incentrato su brani tratti dal loro ultimo album “Scarsache” (ad esclusione di “Vertical Horizon”) e, a conti fatti, la performance risulta interessante e di buon auspicio per il proseguo del Festival.
Vittorio Sabelli
Setlist:
01. Warrior’s Attitude
02. Heart Rate 190
03. Vertical Horizon
04. One More Scar
05. Deliria – To Go Astray
Amphitrium: Photo Report a cura di Michele Aldeghi
Ore 13.55: partono con cinque minuti di anticipo i Zico Chain, band londinese dedita ad un hard ‘n’ heavy ipermelodico parimenti influenzato da classicità e nuove tendenze. L’impatto è buono, i suoni pure e Chris Glithero, alla voce e al basso, si mostra subito in buonissimo stato di forma. La scaletta procede senza intoppi grazie ad una serie di brani spediti, orecchiabili e divertenti, quasi sempre in perfetto equilibrio tra varie correnti all’apparenza molto distanti tra loro come hard rock, emo/metalcore e groove/alternative metal e con un gusto per la contaminazione non troppo distante da quello dei più celebri Avenged Sevenfold. Tra le canzoni proposte vale la pena citare, in quanto a riuscita, le ottime “Mercury Gift” e “Case File” e la più sbarazzina “New Romantic”, esempi perfetti al fine di definire il sound dei Zico Chain. Non si tratta certamente, al tirar delle somme, di un gruppo dall’atttudine troppo true, tra ciuffi biondi e pose fin troppo glamour, tuttavia va dato loro atto di aver giocato senza paura tutte le proprie carte, cavandosela con disinvoltura e riuscendo addirittura a coinvolgere una platea solitamente esigente (quando non intransigente) come quella dei Maiden.
Stefano Burini
Zico Chain: Photo Report a cura di Michele Aldeghi
Decisamente piu rough l’attitudine dei Voodoo Six, altra band londinese, questa volta dedita ad un hard vecchia maniera dai vaghi accenni southern e blues (e con distorsioni talora al limite del southern). Come accade su “Songs To Invade Countries To”, l’apertura è affidata a “Falling Knives” e, sin dalle prime note, con quel riff che omaggia in maniera inequivocabile i Kiss di “Detroit Rock CIty”, tutto il bagaglio settantiano dei britannici viene immediatamente a galla, tra chitarre robuste, sezione ritmica potente e precisa e una voce, quella di Luke Purdie, sporca e grintosa come si conviene a questo tipo di sonorità. L’esibizione è energica e il piglio rock ‘n’ roll di tutta la band viene molto apprezzato da un pubblico che si è fatto nel frattempo molto numeroso e che non disdegna di scapocciare al ritmo di canzoni riuscite come “Take the Blame”, Swim Or Sink” e “Long Way From Home”. E pazienza se il loro sound non è originalissimo (in vari passaggi lo spettro di gruppi come i Gov’t Mule, con il loro hard/southern blues metallizzato, si manifesta in maniera evidente) e se i riff sono spesso di terza o quarta mano: in casi come questi è l’attitudine che conta e i Voodoo Six ne hanno da vendere. Un ottimo show da parte di un gruppo pressoché sconosciuto nel Belpaese, eppur degno di attenzione da parte di ogni rocker che si rispetti nonché, d’altro canto, un ottimo viatico per iniziare a fare sul serio in attesa dei primi big della giornata: i pittoreschi svedesi Ghost.
Stefano Burini
Voodod Six: Photo Report a cura di Michele Aldeghi
Setlist:
01. Masked Ball (Jocelyn Pook’s song)
02. Infestissumam
03. Per Aspera ad Inferi
04. Con Clavi Con Dio
05. Prime Mover
06. Elizabeth
07. Stand by Him
08. Death Knell
09. Year Zero
10. Ritual
11. Monstrance Clock
Ghost: Photo Report a cura di Michele Aldeghi
I Mastodon aprono il loro show alle 17.30 con “Black Tongue” e l’impressione è che fin dall’inizio i suoni non siano quelli ottimali per permettere alla band di esprimersi al meglio. Le voci, già di per loro non nitidissime, sono parecchio indietro, i volumi bassi e le chitarre impastate: davvero difficile per i quattro di Atlanta riuscire a dare il giusto risalto alle atmosfere psichedeliche, alle complesse melodie e alle ritmiche che li hanno consacrati a fama mondiale. Le parti vocali vengono prevalentemente affidate al bassista Troy Sanders, aiutato sulle armonizzazioni da Brent Hinds e da Brann Dailor e, nonostante il risultato globale sia dignitoso, la particolarità (per così dire…) del comparto vocale si conferma essere il maggior limite della formazione statunitense. Con il passare dei minuti la situazione migliora a livello di suoni, eppure i Mastodon, concentrati e attenti, paiono non avvedersene né, tutto sommato, esserne stati globalmente troppo penalizzati dal punto di vista della performance. La loro esibizione, come d’altronde la loro proposta, è di quelle che tendenzialmente o si amano o si odiano: i ragazzi ci sanno fare (e almeno tre capolavori su cinque album pubblicati sono lì a dimostrarlo) eppure continuano a non sembrare un gruppo “da festival”, né, forse, un gruppo da “live”, sia per la particolarità dei contenuti, sia per l’attitudine piuttosto schiva mostrata sul palco, con il solo Sanders a provare a metterci un po’ di “fisico”. Anche la scaletta, composta perlopiù da pezzi mediamente lunghi e molto complessi a discapito di pezzi maggiormente d’impatto, tende a confermare almeno parzialmente queste impressioni; sicché, non a caso, il meglio arriva verso il finale con le fantastiche “Curl Of The Burl”, “The Sparrow” e, in particolare, la superba “Blood And Thunder”, apprezzatissime dai presenti e probabilmente indicative di quali fossero le coordinate maggiormente adatte alla giornata.
Stefano Burini
01. Black Tongue
02. Crystal Skull
03. Dry Bone Valley
04. Thickening
05. Octopus Has No Friends
06. Blasteroid
07. Crack the Skye
08. Spectrelight
09. Curl of the Burl
10. Blood and Thunder
11. The Sparrow
Mastodon: Photo Report a cura di Michele Aldeghi
Ore 19.05: dopo la performance più cerebrale dei Mastodon, mezz’ora di changeover è la giusta attesa per tirare il fiato in attesa del gran finale. Il concerto n.12 dall’inizio del tour europeo riporta i Megadeth all’Arena Fiera (a due anni di distanza dal Big 4) per presentare il nuovo “Super Collider”, fresco di stampa. Il quartetto capitanato dall’irriducibile Dave Mustaine e dal suo gregario ‘Junior’ Ellefson si presenta sul palco alla ricerca di certezze e consensi, dopo aver centrato il secondo album consecutivo senza cambi di line-up dai tempi del disastroso “Risk”. E sebbene anche quest’ultima uscita lasci più di qualche perplessità sulla direzione intrapresa dalla band, lo stesso non può dirsi dal vivo. Basta l’intro di “Prince of Darkness” e l’arrivo di Shawn Drover dietro le pelli a dettare il timing di “Trust”, ed ogni dubbio viene spazzato via. La sola presenza di Mustaine è un macigno che attrae l’attenzione di tutta la folla che si scatena nei chorus che hanno reso nota la band al mondo. La ritmica è metronomica e il leader colloquiale e in gran forma, nonostante il ruggito della sua voce si sia attenuato negli anni. Nonostante ciò MegaDave riesce a tener viva l’atmosfera con brani storici quali “Hangar 18”, “She-Wolf”, “Countdown to Extinction”, “A Tout Le Monde” (prevedibile e atteso il duetto con Cristina Scabbia) intramezzati dalle più recenti “Kingmaker”, “Public Enemy” e “Super Collider”. Broderick sfoggia tecnica da vendere rifacendosi ai celebri soli del suo predecessore Friedman, oltre che dando il suo contributo in fase ritmica durante i tanti soli di Mustaine “(Hangar 18”, “She-Wolf”, “Sweating Bullets”, “Super Collider”). Lo stesso Mustaine conversa con il pubblico e si lancia in un «conoscete questa canzone?» seguito dall’attacco del riff di “Cold Sweat” dei Thin Lizzy, cui seguono due pietre miliari come “Symphony of Destruction” e “Peace Sells…”; in particolare, su quest’ultima, Vic Rattlehead fa il suo ingresso incitando un pubblico già in delirio, lasciando tuttavia presagire la conclusione del loro set. E’ infine la mitica “Holy Wars..”, cavallo di battaglia estratto dall’immortale “Rust In Peace”, a chiudere l’ottima performance dei rinati Megadeth, tra l’approvazione generale dei presenti.
Vittorio Sabelli
01. Prince of Darkness (intro)
02. Trust
03. Hangar 18
04. Kingmaker
05. She-Wolf
06. A Tout Le Monde
07. Countdown to Extinction
08. Sweating Bullets
09. Public Enemy No. 1
10. Super Collider
11. Cold Sweat
12. Symphony of Destruction
13. Peace Sells
14. Holy Wars…The Punishment Due
Megadeth: Photo Report a cura di Michele Aldeghi
Due intense ore di show, scenografia eccezionale, scaletta impressionante e un pubblico che non ha staccato gli occhi dal palco neanche per un secondo sono più che sufficienti a mettere gli Iron Maiden, nonostante la loro età, una spanna sopra a tutte le altre band della giornata. Di sicuro le 40000 persone presenti al Sonisphere Festival, ricorderanno a lungo questa bellissima serata.
Luca Cardani
Setlist:
01. Moonchild
02. Can I Play with Madness
03. The Prisoner
04. 2 Minutes to Midnight
05. Afraid to Shoot Strangers
06. The Trooper
07. The Number of the Beast
08. Phantom of the Opera
09. Run to the Hills
10. Wasted Years
11. Seventh Son of a Seventh Son
12. The Clairvoyant
13. Fear of the Dark
14. Iron Maiden
Encore:
15. Churchill’s Speech
16. Aces High
17. The Evil That Men Do
18. Running Free
Iron Maiden: Photo Report a cura di Michele Aldeghi