Live Report: Thin Lizzy a Bologna
Cover band di lusso, all star band o chi ne ha più ne metta… Insomma, dei Thin Lizzy odierni si può dire tutto, tranne che sia una formazione che ha intenzione di deludere le aspettative. La creatura di Phil Lynott continua ancora a vivere e ad entusiasmare anche chi, soprattutto per ragioni anagrafiche, ai tempi d’oro della band irlandese forse non era nemmeno ancora nato. E basterebbe solo questo per non giustificare la poca affluenza che si è vista in quel di Bologna, tenendo conto anche del fatto che, grazie soprattutto alla presenza di nomi del calibro di Vivian Campbell e Marco Mendoza, lo spettacolo era già assicurato di suo. Spettacolo che, sicuramente, resterà impresso nella memoria dei (pochi) presenti per molto tempo.
Report a cura di Lorenzo Bacega e Angelo D’Acunto
Foto a cura di Angelo D’Acunto
Rain
Ore 20:40: in leggero anticipo sulla tabella di marcia, tocca ai bolognesi Rain inaugurare la serata, al cospetto di un pubblico davvero poco numeroso (una cinquantina di persone circa, spettatore più, spettatore meno) assiepato lungo le primissime file dell’Estragon. Reduce dalla pubblicazione del primo live DVD della carriera (intitolato Come Back A-Live, dato alle stampe lo scorso mese di novembre), il quintetto emiliano si destreggia sul palco nel migliore dei modi, dando origine ad una prova assolutamente impeccabile sotto il profilo squisitamente esecutivo (supportata in questa occasione da suoni puliti e complessivamente ben bilanciati) e allo stesso tempo piuttosto coinvolgente per quanto riguarda la presenza scenica. La scaletta proposta nella mezz’ora scarsa a disposizione pesca a piene mani dall’ultimo full length del gruppo (Dad is Dead, pubblicato nel 2008 tramite Aural Music), dal quale vengono riproposti brani del calibro della tellurica Love in the Back, dell’autocelebrativa Rain are Us, oppure della cover di Rain dei The Cult. Conclusione affidata come di consueto alla anthemica Only for the Rain Crew (estratta da Headshaker, 2005), che chiude in bellezza uno show abbastanza breve ma in ogni caso estremamente trascinante.
Lorenzo Bacega
Supersuckers
Dopo il breve show dei Rain, e con un po’ di pubblico in più, arriva l’ora dei Supersuckers. Quella che ama semplicemente autodefinirsi come “la migliore rock ‘n’ roll band del pianeta”, e destinata poi a tramutarsi ne “la vostra nuova band preferita”, è sicuramente ciò che ci vuole per scaldare come si deve gli animi un po’ troppo freddini dei presenti, riuscendo ovviamente a centrare in pieno l’obiettivo. Bastano infatti le prime note dell’opener Rock’n’roll Records per cominciare a vedere i primi e veri movimenti sotto al palco, più qualche accenno di pogo con le successive Rock Your Ass e Bad Bad Bad, quest’ultima capace di stendere al volo anche un elefante. Eppure, nonostante tutto, la band guidata da Eddie Spaghetti, nel corso dello stesso show, si lamenta più volte nei confronti di un pubblico, a detta loro, poco reattivo. Band che comunque non perde nemmeno un colpo per tutti i quaranta minuti di spazio a sua disposizione, con uno spettacolo che si concluderà sulle note dell’accoppiata Pretty Fucked Up/Born With A Tail.
Angelo D’Acunto
Thin Lizzy
Qualcuno inevitabilmente li etichetterà come una semplice cover band, una sfacciata operazione nostalgica organizzata appositamente per incontrare i favori dei fan più ingenui e meno esigenti. Una cosa però è certa: uno spettacolo come quello messo in piedi dai Thin Lizzy sul palco dell’Estragon è destinato a rimanere ben impresso nella memoria (nonché nelle orecchie) dei presenti per davvero molto tempo. Accolta, almeno inizialmente, in maniera piuttosto tiepida dallo sparuto pubblico bolognese, in leggero aumento rispetto alle esibizioni dei gruppi d’apertura ma ancora ampiamente sotto la media, la storica rock band irlandese si dimostra carica a mille fin dalle primissime battute, pronta a stupire gli astanti con una performance oltremodo solida e convincente. La setlist si apre davvero nel migliore dei modi: Are You Ready e Waiting for an Alibi sono due veri e propri pezzi da novanta, magistralmente interpretati dalla formazione capeggiata dal chitarrista Scott Gorham – uno dei pochi superstiti del nucleo storico del gruppo, assieme al batterista Brian Downey e al tastierista Darren Wharton – e capaci di scaldare come si deve gli spettatori presenti all’interno del locale. Quella offerta dal sestetto irlandese è una prestazione estremamente intensa e trascinante, supportata in questa occasione da suoni davvero ben bilanciati e ottimali sotto ogni punto di vista – solamente i volumi si rivelano nel complesso un po’ troppo alti, sebbene non in maniera tale da compromettere la resa sonora del concerto. Ottimo in special modo il lavoro svolto dai due sostituti di lusso, vale a dire il chitarrista Vivian Campbell e il bassista Marco Mendoza, entrambi autori di una prova assolutamente convincente e priva di evidenti sbavature. Il pubblico, dal canto suo, dimostra di gradire particolarmente lo spettacolo messo in piedi dalla band, cantando a squarciagola tutti i cori e reagendo a dovere agli attacchi frontali del cantante e chitarrista Ricky Warwick, protagonista di una prestazione assolutamente esaltante sia sotto il profilo vocale che a livello di presenza scenica. E’ una scaletta piuttosto eterogenea quella proposta nel corso dell’esibizione, ben bilanciata e che pesca da più o meno tutta la produzione discografica del gruppo: grandi classici del calibro di Jailbreak, Still in Love with You, Dancing in the Moonlight (It’s Caught Me in the Spotlight), Angel of Death, Cowboy Song, The Boys are Back in Town, Emerald, Massacre, Wild One e Whiskey in the Jar si intrecciano nel corso della setlist per dare vita a un concerto di grande impatto e senza tanti fronzoli. Chiusura col botto affidata al tandem Rosalie e Roisin Dubh (Black Rose): A Rock Legend, che mette definitivamente la parola fine ad uno spettacolo estremamente intenso e prodigo di emozioni.
Lorenzo Bacega