Live Report: Wacken Open Air 2009 – 2a parte – And the bands played on!

Di Redazione - 9 Settembre 2009 - 23:58
Live Report: Wacken Open Air 2009 – 2a parte – And the bands played on!

Eccoci con la seconda parte del report, a parlare di musica dopo un primo articolo dedicato completamente a estratti di vita vissuta. Due palchi principali (TrueMetal Stage e Black Stage), uno di poco più piccolo (Party Stage), uno coperto (Wet Stage) e ancora il palco nell’area medioevale, il palco al Biergarten… tutto per una valanga di gruppi pronti a coprire quasi l’intero spettro dell’hard n’heavy.

Ancora una volta abbiamo provato di fare il possibile e seguire tutti gli show principali dei 3 giorni, cercando di conciliare attività redazionali e baldoria nel miglior modo possibile.

Buona lettura…

Giovedì 30.07

Schandmaul – In Extremo
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Ogni anno che passa, folk e metal si avvicinano sempre di più non solo musicalmente – unendosi in ibridi particolarmente ben riusciti – ma anche concettualmente. Le due armate di fan si sovrappongono e si uniscono in quello che è ormai un solo pubblico e appartiene tanto all’uno quanto all’altro. Specialmente in Germania, dove folk e folk-rock sono tremendamente popolari tra i ranghi delle proverbiali metalheads e non. Ecco perché non è assolutamente motivo di scalpore se nomi come Schandmaul o In Extremo riempiono a dismisura l’area concerti, molto di più di quanto abbiano fatto gruppi prettamente metal.

Ottime le prestazioni di entrambi, con gli Schandmaul ad aprire con la bellissima ‘Sturmnacht’ per continuare tra i ranghi della loro discografia ormai giunta a un discreto volume. Ci sono ‘Kein Weg zu weit’ e ‘Vogelfrei’ ma soprattutto l’encore finale con ‘Dein Anblick’ e l’epilogo ‘Der letzte Tanz’.

Gli In Extremo si esibiscono sabato e raccolgono pubblico come pochi altri in questo Wacken 2009 e davanti a un’area concerti gremita di fan e curiosi danno vita al loro show: uno spettacolo tedesco fino al midollo che vede coinvolti molti tra i brani più amati della band di Berlino: ‘Sieben Köche’, ‘Frei zu sein’, ‘In diesem Licht’, ‘Mein rasend Herz’, ‘Villeman Og Magnhild’… per uscire tra gli applausi meritati, ancora una volta.


Running Wild
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Filibustieri e bucanieri da tutta Europa hanno seguito rotte d’asfalto o solcato i cieli su moderni vascelli volanti per celebrare l’ultima avventura dei Running Wild. Grandi e piccini, tutti pronti a salpare vento in poppa per l’ultimo viaggio, quello che porterà il capitano Kasparek (per l’occasione con una inedita chioma viola/rosso nascosta sotto a una discutibile bandana da teenager con teschi rossi stile Avril Lavigne) alla meritata pensione.

Dimenticate le polemiche della drum machine, dischi poco convincenti e alcune prestazioni lontane da quello che i Running Wild avevano saputo regalare tempo addietro, i nostri si giocano l’ultima carta sul legno amico, a pochissimi kilometri da casa.

Sin dall’inizio è chiaro che non sarà un concerto come gli altri: si parte subito con un’accoppiata di amatissimi classici come Port Royal e Bad To The Bone e in men che non si dica ecco sbucare uno dietro l’altro i pezzi simbolo dei Running Wild, con Prisoner Of Our Time e Black Hand Inn a esaltare i tanti che stanno sfidando la pioggia piuttosto insistente. Le polveri saranno bagnate ma detonano ancora che è un piacere e il primo set si chiude con un trittico che per molti degli affezionatissimi presenti sarà pressoché indimenticabile: Tortuga Bay/Branded And Exiled/Raise Your Fist. Pochi minuti di pausa e la ciurma di capitan Kasparek torna nuovamente in scena pronti al gran finale con la grandissima Conquistadores e, ovviamente, l’inno Under Jolly Roger a chiudere.

Stanchi e affaticati dopo una lunga carriera di scorribande musicali in giro per il mondo, i pirati più famosi e amati del metal hanno deciso di dire addio. Potevano farlo forse in maniera diversa, coinvolgendo di più i presenti, allungando la scaletta e sfruttando in pieno il tempo a disposizione (alla fine per loro poco più di 70 minuti) ma senza dubbio quello che è successo a Wacken rimarrà per sempre nelle pagine della pirateria musicale – quella artistica, non quella del P2P.

Si chiude un capitolo del metal europeo e non, e chi lentamente si allontana dal palco per alzare un brindisi ai pirati di Amburgo lo fa con quel sorriso malinconico di chi ha visto un grande show, ma è anche ben consapevole che di quegli show non ce ne saranno più.

Addio Rolf, e grazie di tutto!

Setlist:
01. Intro
02. Port Royal
03. Bad To The Bone
04. Riding The Storm
05. Soulless
06. Prisoner Of Our Time
07. Black Hand Inn
08. Purgatory
09. The Battle Of Waterloo
10. Raging Fire
11. The Brotherhood
12. Draw The Line
13. Whirlwind
14. Tortuga Bay
15. Branded And Exiled
16. Raise Your Fist
– – –
17. Conquistadores
18. Under Jolly Roger


Heaven & Hell
(Antonio ‘GreyStar’ Saracino)

La notte cala su Wacken mentre il pubblico si prepara agli headliner di questa prima giornata, gli Heaven & Hell di Ronnie James Dio, Tony Iommi, Geezer Butler e Vinnie Appice, riuniti dai tempi dei Black Sabbath e forti di un nuovo album. Il concerto si apre con l’intro E5150. La notte scende e si riempie con la voce di Dio, che nonostante l’età è potentissima e scalda subito il pubblico. Segue The Mob Rules dall’omonimo album dei Sabbath e Children of the Sea, che coinvolge il pubblico e dà inizio ai primi cori dei numerosissimi spettatori.

Subito dopo è il momento di I e Bible Black, singolo tratto dal nuovo album e i cui spezzoni di video sono proiettati continuamente su un maxischermo alle spalle degli artisti. La band è perfettamente coesa e sembra suonare come un’unica voce: da ricordare il momento in cui Dio si avvicina a sussurrare una battuta a Iommi il quale sorride eriprende a suonare! Dopo Bible Black giunge il momento di Time Machine, a cui segue un lungo assolo di batteria di Appice e la bellissima Fear, sempre estratta dall’ultimo album. I cori del pubblico continuano per tutta la durata del concerto, il che fa intendere un grande apprezzamento della performance della band: i suoni sono perfetti nonostante l’ora tarda e l’esibizione è godibile finanche oltre l’area concerti.

Gli altri brani che seguono sono Falling off the edge of the world, Follow the tears e Die young, che comincia con un lungo solo di Iommi. E’ poi il momento di Heaven and Hell, colonna portante di questa serata. Il pubblico è unito in un coro unico che accompagnerà ogni Wackener per tutta la notte. Prevedendo la congestione ai cancelli in uscita, decido di muovermi in
quella direzione mentre viene suonato l’encore (Country girl e Neon knights). Dio saluta, ringrazia, ci augura ogni bene e ci dà appuntamento alla prossima puntata.
 

Venerdì 31.07

Gamma Ray
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

È sempre bello riabbracciare Kai Hansen, specialmente quando il fu ragazzetto di Amburgo ha voglia di giocare più che mai a fare l’Helloween del tempo che fu, con una scaletta quasi perfetta sotto ogni punto di vista resa ancora più speciale dalla solita adorabile attitudine del combo tedesco: quella spensierata voglia di suonare e divertirsi di sempre.

Non c’è tempo da perdere e si parte subito in grande stile con Kai e compagni a regalare il primo graditissimo medley dell’esibizione: dopo le note di Welcome due gemme come Heavy Metal Universe e Ride The Sky introducono i Gamma Ray al Wacken 2009.

È la giornata ideale per i nostalgici dell’era di mezzo, rappresentata da un trittico di tutto rispetto formato da New World Order, la bellissima Rebellion in Dreamland e una sempre accattivante Man On A Mission. Passa ben poco e finalmente l’evento che buona parte dei fan di lunga data dei Gamma Ray (sottoscritto compreso) aspettavano da diverse apparizioni diviene realtà: per la gioia di tantissimi arriva Heaven Can Wait, a rispolverare il caro vecchio Heading for Tomorrow, considerato da molti (presente!) il vero Keeper parte terza e il più brillante e accattivante dei dischi del Raggio Gamma.

La cavalcata verso il gran finale prevede ovviamente una iniezione di Helloween, con due delle più amate del repertorio delle zucche: Future World e I Want Out. Somewhere Out In Space sembrerebbe chiudere i battenti ma l’encore non tarda ad arrivare e Mr. Hansen e i suoi lasciano il TrueMetal stage non prima di un altro pezzo da 90: ‘Send me a Sign’.

Setlist:
01. Welcome
02. Heavy Metal Universe/Ride The Sky
03. New World Order
04. Rebellion in Dreamland
05. Man On A Mission
06. Into The Storm
07. Heaven Can Wait
08. To The Metal
09. Gorgar / Future World
10. I Want Out
11. Somewhere Out In Space
– – –
12. Send me a Sign


Nevermore

(Antonio ‘GreyStar’ Saracino)

Performance decisamente sotto la media quella dei Nevermore, che non propongono brani nuovi da ben quattro anni. Warrel Dane cerca di correre per tutto il palco ma appare fiacco e appesantito, mentre il pubblico segue l’esibizione quasi impassibile. La setlist è composta quasi completamente da Dead Heart in a Dead World (The River Dragon has Come, Dead Heart, The Heart Collector, Inside Four Walls) ma neanche Narcosynthesis riesce a smuovere in maniera significativa il pubblico. A chiudere il concerto I, Voyager e Born e per la band non c’è nemmeno la soddisfazione dell’encore: il pubblico non lo richiede.

 

Airbourne
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Al grido di “Stand up for Rock n’Roll Wacken!”, sotto un sole cocente e di fronte a una folla altrettanto calda, gli attesissimi Airbourne non deludono le aspettative. Un vero e proprio ciclone di puro hard rock vecchio stile che manda tutti al settimo cielo. Chi li conosce e li ama si avventura nella classica bolgia di fronte al palco, chi no si lascia conquistare senza troppi problemi dai riff anacronistici e i ritmi trascinanti dei fratelli O’Keeffe.

Capitanati dal solito irriverente Joel lo show passa in men che non si dica cavalcando brani che sono già piccoli classici: con Diamond In The Rough, What’s Eatin’ You, Too Much, Too Young, Too Fast e Blackjack è un vero delirio. Il frontman è una forza della natura, selvatico e travolgente nonostante qualche problema alla chitarra che ruba qualche minutino alla setlist (con il taglio dell’inedito previsto per la parte finale dello show). Si arrampica arrivando fino alla cima del palco, salta come un grillo e conquista tutti con la sua genuina simpatia.

Gli altri lo supportano a dovere, senza far mancare al combo la grinta e l’attitudine necessaria per l’eletrizzante Hellfire o la sfrontata Cheap Wine & Cheaper Women. Il finale è lasciato alla title-track Runnin’ Wild, a chiudere un concerto che – come se ce ne fosse bisogno – conferma l’assoluto valore di questi diavoletti australiani.

Setlist:
01. Stand Up for Rock n’Roll
02. Hellfire
03. Fat City
04. Diamond In The Rough
05. What’s Eatin’ You
06. Girls In Black
07. Cheap Wine & Cheaper Women
08. Heartbreaker
09. Too Much, Too Young, Too Fast
10. Blackjack
11. Runnin’ Wild


Motorhead
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Eccoci di nuovo a raccontare le gesta di Lemmy Kilmister, praticamente uno zio adottivo per chi è da tempo dentro questa musica. Altri affezionatissimi del Wacken, i Motorhead divertono e convincono ma non travolgono come in altre occasioni. Dopo tutto sono umani (o quasi) anche loro.

Si parte alla grandissima con Iron Fist e Stay Clean poi lo show diventa il tipico concerto dei Motorhead che nessuno si pentirà di aver visto ma che non rientra sicuramente tra le esibizioni migliori degli inglesi. Mancano un paio di vechie conoscenze (vedi Born to Raise Hell e We Are Motorhead, per dirne un paio) ma ce ne sono abbastanza per scatenare un po’ di caos nelle zone più calde del pubblico e attirare più di qualche anima verso l’area concerti.

Solita bolgia demoniaca per l’encore, con braccia che si alzano e teste che si muovono in ogni angolo del festival, dal biergarten ai campeggi, dall’area concerti alle bancarelle. Una magia chiamata Ace of Spades-Overkill.

Setlist:
01. Iron Fist
02. Stay Clean
03. Be My Baby
04. Rock Out
05. Metropolis
06. Over The Top
07. One Night Stand
08. The Thousand Names Of God
09. Another Perfect Day
10. In The Name Of Tragedy
11. Just ‘Cos You Got The Power
12. Going To Brazil
13. Killed By Death (with Nina Alice)
– – –
14. Ace Of Spades
15. Overkill
 

In Flames
(Antonio ‘GreyStar’ Saracino)

La band svedese ha ormai una lunga tradizione a Wacken, per me è ormai la terza volta che li vedo in questo festival e la costante è sempre la stessa: ESPLOSIONI! Quest’anno sono  preceduti da una divertente intro filmata e mandata sui maxischermi: un tizio si sveglia su un divano, lattine di birra tutto intorno, rutta fragorosamente e attiva la radio, sintonizzandola al 1994. Questa trasmette spezzoni delle prime canzoni della band! il nostro ruttone prosegue con le routine quotidiane, beve latte dal cartone, si libera la vescica e intanto cambia le stazioni, passando volta per volta attraverso Whoracle, Clayman, Reroute to remain e Come clarity. La radio improvvisamente smette di trasmettere, seguono ceffoni, botte e ESPLOSIONI! sul palco al terzo pugno, un mare di fiamme copre l’entrata della band che attacca subito con Delight and Angers e The Hive, seguono a ruota Trigger, Cloud Connected e Disconnected.

Ammetto di non essermi esaltato per nulla, nonostante le ESPLOSIONI! che accompagneranno tutta l’esibizione. I nuovi album non mi sono piaciuti per niente e dei suoni non proprio ottimi non mi aiutano ad apprezzare completamente l’esibizione. Da fan dei vecchi album attendo e gioisco quando vengono suonate Embody the Invisible e la “canzone d’amore” Only for the Weak, con tutto il pubblico comincia a saltare incitato da Anders. E’ poi il momento di Come Clarity e Dead End, cantata in compagnia di Lisa Miskovsky. La notte via via si fa gelida mentre la band continua con altri brani da A sense of Purpose e chiude con Take this Life e My Sweet Shadow.


Doro
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Sono in veranda che strimpello godendomi un attimo di relax e qualche birra fresca, una ragazza si avvicina: sorriso a 32 denti, quasi salta dalla gioia. Ha 17 anni, sta imparando a suonare la chitarra e a cantare. Il motivo di tutta questa visibile felicità e contentezza è molto semplice: ha conosciuto Doro, pochi secondi al  classico meet and greet, per una foto e un autografo. Le chiedo come mai questa passione, perchè Doro? La risposta è semplice: perchè da 30 lunghi anni dimostra quello che una donna può fare.

Ecco cos’è Dorothee Pesch: una vera e propria icona di una musica che salvo pochissime eccezioni è solo ed esclusivamente maschile. Una donna con grinta da vendere – tanto da farsi spazio in un mondo creato da e per il sesso opposto – e una voce che ancora le permette di presidiare il palco di Wacken in grande stile, grazie anche a un supporto che in Germania non le manca mai.

Prima ventina di minuti tutti per il repertorio Warlock (da citare le vecchie conoscenze Burning The Witches e True As Steel) poi escursione nel repertorio solista (The Night Of The Warlock e Burn it Up tra le altre) e trittico finale in cui un già ottimo show decolla definitivamente: la chioma rossa è inconfondibile e con ‘Celebrate’ giunge sul palco un’altra importante donna del metal tedesco: Sabina Classen. Seguono la priestiana ‘Breaking the Law’ capace come sempre di infiammare chiunque tra i presenti e come da copione e pronostici l’inno ‘All We Are’, classico tra i classici dei Warlock e della Pesch.

 

Sabato 01.08

 Einherjer
(Antonio ‘GreyStar’ Saracino)

Primo gruppo (almeno per me) di questo sabato sono i norvegesi Einherjer. La giornata è ancora acerba e a mezzogiorno c’è poca gente, reduce dalla bisboccia e dal gelo della sera precedente. In formissima, i nostri ci regalano una delle migliori esibizioni di questo Wacken, compatta ed efficace, con l’attesa Far Far North, De Sorte Sjøers e l’inno Hammar Haus.

 
Rage
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Nell’olimpo dei migliori dell’edizione 2009 non si può fare a meno dei Rage, da sempre formazione tra le più ingiustamente sottovalutate el panorama metal europeo. Non sono bastati anni di dischi di grande livello

A Wacken Peavy e soci festeggiano 25 anni di attività e lo fanno in compagnia di due amatissime icone del metal tedesco come Hansi Kürsch e Schmier. Tre pezzi per entrambi i due frontman di Blind Guardian e Destruction, con il buon Hansi a regalare emozioni su una stupenda Set The World On Fire mentre il sempre più grosso Schmier in veste di frontman puro eccelle nel duetto su Down. Completano la lista degli invitati a questo compleanno dei Rage la bella e brava Jen Majura e Eric Fiosh, leader dei Subway to Sally con cui i Rage eseguono Gib Dich Nie Auf, probabilmente per risparmiare a Fiosh il pericoloso confronto con la lingua inglese.

Peavy è in ottima forma (vocale, s’intende) e l’equilibrio della band è soprendente grazie a un Victor Smolski come sempre impeccabile e l’ultimo arrivato Andre Hilgers che non solo svolge egregiamente il suo dovere ma non fa rimpiangere un più egocentrico Mike Terrana.

Setlist:
01. Carved In Stone
02. Higher Than The Sky
03. Set The World On Fire (with Hansi Kürsch)
04. All I Want (with Hansi Kürsch)
05. Invisible Horizons (with Hansi Kürsch)
06. Lord Of The Flies (with Jen Majura)
07. From The Cradle To The Grave (with Jen Majura)
08. Prayers Of Steel (with Marcel “Schmier” Schirmer)
09. Suicide (with Marcel “Schmier” Schirmer)
10. Down (with Marcel “Schmier” Schirmer)
11. Gib Dich Nie Auf (with Eric Fish)
12. Soundchaser
 

Onkel Tom Angelripper
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

C’è solo un uomo che, giunta la notizia della defezione dei Kampfar, può caricarsi sulle spalle l’onere di mettere tutti d’accordo e attirare la folla verso il Party Stage. Qualcuno amato come pochi in terra tedesca ormai, in un modo o nell’altro, sempre ospite fisso in quel di Wacken che per lui ormai una seconda casa.

Sto ovviamente parlando di Herr Tom Angelripper. Coadiuvato dal compagno di merende di sempre, Alex Kraft, il frontman dei Sodom sale sul palco e gestisce il tutto nel modo a lui più congeniale: il caos. Complice una voce non brillante dovuta a una nottata brava di baldoria nell’area vip, lo zio Tom non è esattamente nella sua giornata migliore. La festa comunque non mancherà, con i classici Onkel Tom a fare da compagnia a un buon numero di curiosi e fedelissimi che si radunano davanti al palco.

Poco male se Angelripper non ce la fa a cantare, in suo aiuto corrono un po’ tutti quelli presenti sul palco (tecnici, roadie, colleghi…) per la solita festicciola alcolica in compagnia di buona parte dell’oramai irrangiungibile Ein Schöner Tag.

Setlist:
01. Auf Nach Wacken
02. Im Tiefen Keller
03. Medley
04. Caramba, Caracho, Ein Whiskey
05. Diebels Alt
06. Schnaps Das War Sein Letztes Wort
07. Nunc Est Bibendum
08. Bon Scott Hab Ich Noch Live Gesehen
09. Delirium
10. Trink Brüderlein Trink
11. In München Steht Ein Hofbräuhaus
 

Borknagar
(Antonio ‘GreyStar’ Saracino)

Sempre sul party – in questa giornata popolato di sonorità vichinghe e pagane – giunge l’ora degli attesissimi Borknagar. Quest’anno il party stage, almeno a questo momento, ha goduto di suoni splendidi e abbiamo avuto la possibilità di apprezzare i Borknagar. al meglio, soprattutto nella sezione ritmica. Anche vedere Vintersorg sul palco è stato abbastanza emozionante, scatenato, non ha smesso di muoversi e di scapocciare neanche per un secondo. Tutta la band era in gran forma e ha sfornato una performance sublime. Una scaletta varia
con brani provenienti da tutti gli album (Oceans rise, Future Reminiscence, The Genuine Pulse, Colossus) ha contribuito a dare vita a un grande concerto.

 Pain
(Antonio ‘GreyStar’ Saracino)

I Pain passano dagli stage principali degli anni passati all’ormai non più minuscolo Party Stage, spostato e ingrandito per il terzo anno consecutivo e posto sulla destra ad una certa distanza dai due palchi più grossi. Scelta decisamente più appropriata, visto che negli anni passati le band erano puntualmente disturbate dai concerti sugli altri palchi. In questo modo c’è stato più isolamento e molto più spazio per il pubblico. I PAin entrano in scena sulle note di I’m Going In, accompagnata da fiammate/esplosioni varie. La band di Tägtren dimostra di saper tenere il palco molto bene e il pubblico è molto reattivo. Seguono brani selezionati a rappresentare un po’ tutti gli album: Monkey Business, Suicide Machine, Dancing with the Dead, Nailed to the Ground, Don’t Care, Same Old Song. Chiude l’esibizione una attesissima Shut your Mouth, cantata a squarciagola dal pubblico al completo.


Turisas

(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

La scelta di relegare i Turisas nel Wet Stage, in concomitanza con l’esibizione dei Saxon, è stata la scelta più enigmatica (e forse l’unica incredibilmente sbagliata) di questo Wacken 2009. I guerrieri finnici cominciano con quasi un’ora di ritardo, sforano di quasi 30 minuti dal tempo a loro concesso e fanno chiaramente capire di non apprezzare troppo il trattamento ricevuto in questa edizione. Che i nostri siano sul piede di guerra, scontenti di essere stati retrocessi dal Party Stage al Wet Stage (il più piccolo presente nell’area concerti) è palese fin da subito. La rabbia, nonostante tutto, contribuirà a dare ulteriore adrenalina a una esibizione trascinante, tra le migliori in assoluto. A conti fatti non si può non concordare con band e fan sul fatto che i barbari di Hämeenlinna meritassero qualcosa di più.

Non può essere che Mathias D.G. Nygård a.k.a. Warlord a guidare l’offensiva tutta amore e odio per questo Wacken 2009, prima cercando di sdrammatizzare “non ci interessa su quale palco decidano di metterci finchè abbiamo la possibilità di suonare a Wacken davanti a voi” poi crescendo pian piano, brano dopo brano, a frecciatine meno velate. I Turisas aprono senza sorprese con ‘To Holmgard And Beyond’, opener dell’ultimo ‘The Varangian Way’ per poi sorprendere con uno show pieno di novità tra cui spiccano un paio di pezzi davvero impegnativi e assolutamente d’eccezione come ‘Miklagard Overture’ e ‘Rexi Regi Rebellis’. La sensazione è la solita: i Turisas non sono sicuramente i più genuini dei mestieranti, ma il loro show è uno spettacolo da gustare, una macchina oliata a puntino in cui tutti i suoi ingranaggi funzionano alla perfezione. Non manca l’acclamatissima ‘One More’ ad aizzare i brindisi e i cori come non manca ‘Rasputin’, con il solito siparietto del pubblico diviso a metà, pronto a seguire chi Olli Vänskä al violino e chi Netta Skog all’accordion.

Proprio prima della conclusiva ‘Battle Metal’, di fronte a un pubblico ormai completamente conquistato (e sempre più numeroso nonostante i Saxon sul palco principale) Warlord si lancia nell’ultimo grido di battaglia, ormai ben consapevole di aver dato vita a uno show da palco principale: “questa è per tutti voi, costretti a essere schiacciati in questa tenda ridicola”. Alla fine del concerto un serpentone di asce, pelli e visi dipinti a guerra si muove verso il TrueMetal Stage, per gustarsi gli ultimi frangenti dei Saxon.

Setlist:
1. To Holmgard and Beyond
2. A Portage to the Unknown
3. In the Court of Jarisleif
4. Rex Regi Rebellis
5. One More
6. Miklagard Overture
7. Rasputin (Boney M. cover)
– – –
8. Battle Metal

 

Saxon
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Byff e soci non sono una novità in quel di Wacken e forse anche per questo molti degli indecisi hanno diretto i propri passi verso le razzie dei Turisas, rinunciando con il cuore in mano ai Saxon. Sicuramente a malincuore, perchè queste leggende viventi del metallo britannico godono delle simpatie di tanti, specialmente in terre come la Germania dove i vecchi dei ancora godono di rispetto assoluto.

Neanche a dirlo lo show è incentrato sui pezzi d’annata, e nel solo post-Turisas sfilano classici come Solid Ball Of Rock e Crusader, Power And The Glory, l’immancabile Princess Of The Night o l’adrenalinica Heavy Metal Thunder. Per fortuna c’è tempo abbastanza per godersi anche tutto il lunghissimo encore con Live To Rock, 747 (Strangers In The Night), un’inattesa Stallions Of The Highway e il monumento Denim And Leather a chiudere la serata. Poi, via di corsa verso il party stage dove i Korpiklaani aspettano di cominciare la festa alcolica a suon di polka e pennate in levare.


Korpiklaani
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Tutti pronti per la grande festa di mezza estate: il pubblico, la band, il cielo stellato e un tasso alcolico non indifferente che non troppo lentamente si sta alzando nel sangue dei wackeniani. E invece no. Continua la maledizione notturna del folk-metal finlandese e succede esattamente quello che un paio di anni or sono toccò ai Finntroll: volumi al minimo storico e show che assolutamente, proprio per questo, non decolla. La band sembra suonare bene e mettercela tutta ma del del Clan della Foresta, guidato dal sempre più carismatico Jonne Jarvela, si sentono solo echi lontani come se di tutta l’intera amplificazione fossero state lasciate soltanto le spie sul palco. Il party stage che pochi anni prima li aveva visti travolgere tutti con uno show tra i più belli mai visti in quel di Wacken si trasforma . Non bastano le varie Journey Man, Wooden Pints e compagnia a scatenare la bolgia.

Nel finale si avverte un piccolo miglioramento, giusto in tempo per Beer Beer e Happy Little Boozer, ma i volumi sono ancora decisamente troppo bassi tanto che si può tranquillamente dialogare con i vicini. Condizione ideale al Biergarten, non nelle prima file sotto al palco. Finisce con una delusione un Wacken pieno di grandi soddisfazioni…