Live Report: Wardruna @ Teatro Arcimboldi, Milano – 07/11/2024
Live Report: Wardruna @ Teatro Arcimboldi, Milano – 07/11/2024
a cura di Davide Sciaky
Sembra ieri che i Wardruna suonavano le prime due date in Italia, entrambe andate rapidamente sold-out con fan esultanti dopo anni di attesa, in cui un Einar Selvik annunciava che la band sarebbe tornata presto. La promessa è stata rispettata e meno di due anni dopo i norvegesi hanno deciso di iniziare il loro nuovo tour europeo proprio partendo da Milano.
Se l’ultima volta ci trovavamo al Teatro Dal Verme, questa volta ci spostiamo al Teatro Arcimboldi che ha una capienza quasi doppia e arrivando al teatro intorno all’orario di apertura troviamo una folla già importante che si appresta ad entrare.
Una volta in sala possiamo già vedere la scenografia, familiare a chi ha già visto la band in passato, ma con anche qualche novità. I Wardruna già da anni usano un grosso fondale tagliuzzato che può ricordare un patchwork di foglie, concettualmente semplice ma di grande effetto, soprattutto quando si creano giochi di luci ed ombre grazie proprio ai tagli sul telo. Se in passato ai lati del palco c’erano altri due teli stretti e lunghi, sempre con la stessa trama, questa volta raddoppiano dando maggiore tridimensionalità al tutto. Inoltre davanti alle postazioni dei musicisti possiamo vedere dei ciuffi d’erba e steli di grano, amplificando l’idea di immersione nella natura che è centrale alla musica del gruppo.
Sul palco salgono sette musicisti, i due cantanti principali, Einar Selvik e Lindy-Fay Hella davanti, e gli altri cinque nelle retrovie in uno spazio leggermente rialzato. Il concerto è aperto da “Kvitravn”, brano tratto dall’album omonimo, l’ultimo pubblicato dai norvegesi, e da subito il teatro si immerge nella dimensione onirica e spirituale dei Wardruna. La scenografia, come già detto, è semplice ma di grande impatto: sul telone dietro alla band occasionalmente vengono proiettate immagini e animazioni, ma per la maggior parte del concerto vengono proiettate le ombre dei musicisti, che momentaneamente diventano dei giganti quasi astratti. Rapidi cambi di luce proiettano ora un musicista ora l’altro, e i veloci cambi di scena quasi stroboscopici, mentre sotto le percussioni cadenzate tengono il ritmo, ipnotizzano tutti i presenti. Parlando di questi effetti di luce e ombre, un’altra scelta tanto semplice quanto di effetto arriva qualche canzone più tardi quando l’ombra proiettata sul fondo non è data da una luce puntata su Einar, bensì è un filmato che imita i giochi d’ombre già visti. La conseguenza è che l’”ombra” si muove indipendentemente da chi sembra che la proietti e, anzi, spesso l’ombra si muove prima del suo proprietario. Su “Solringen”, che significa proprio “cerchio del Sole”, sul telo viene compare una luce che si muove in cerchio andando a dipingere un anello mentre la band procede con la sua narrazione. Insomma, gli effetti sono concettualmente semplici, ma la resa è molto efficace e complementare alla musica, andando a creare un’esperienza sensoriale completa.
La scaletta si muove avanti indietro tra gli album della band esplorando (quasi) tutta la discografia tra una “Fehu”, “Tyr” e “Skugge”, andando anche a toccare il nuovo album che sarà pubblicato l’anno prossimo, prima con “Hertan”, e poi con il singolo di recentissima pubblicazione “Himinndotter” che viene suonato qui per la prima volta dal vivo. Non manca neanche un’incursione in “Skald”, disco in cui il leader della band ricopre per l’appunto il ruolo dello scaldo rimanendo solo sul palco in compagnia della sua fidata Lira Kravik, antico strumento che accompagnava questi bardi scandinavi. Dietro ad Einar, anche gli altri musicisti alternano diversi strumenti, oltre che accompagnare cantando, mostrando una maestria nel destreggiarsi tra una moltitudine di strumenti antichi. Il concerto vola in un attimo, brano dopo brano ascoltato in rispettoso silenzio, intervallato da fragorosi applausi.
Solo dopo quattordici brani le luci del teatro si accendono, il pubblico si lancia in una fragorosa standing ovation e il cantante per la prima volta si rivolge ai presenti. Prima ringrazia per la caldissima risposta, e poi racconta il significato e il valore dei Wardruna: nonostante le suggestioni antiche, la band non vuole “viaggiare nel tempo” ma dare valore a elementi del passato che possono ancora avere un significato importante e attuale.
“Molte cose del passato è giusto che rimangano nel passato, ma ci sono alcune cose che meritano ancora di avere una voce” dice, e poi introduce una canzone che richiama l’antica usanza di cantare per i morti. Ovviamente si parla di “Helvegen”, canzone diventata forse la più nota del gruppo, sicuramente tra le più amate, e che anche per il suo significato, oltre che per le sonorità, ha una carica emotiva fortissima. Al termine non può che seguire un lungo, lungo applauso che richiama sul palco Selvik, questa volta da solo, nuovamente con la sua Lira Kravik in mano, per concludere la serata con “Snake Pit Poetry”, canzone scritta per la nota serie TV Vikings che ripercorre gli ultimi momenti di vita della figura leggendaria di Ragnar Lothbrok.
Al termine il musicista si lascia andare ad una promessa, “So che l’ho detto anche l’ultima volta, ma ci fate venire voglia di tornare più spesso. Ci rivedremo”, e dopo una serata del genere siamo sicuri che non perderemo la prossima occasione.
Un concerto dei Wardruna è più di una semplice esibizione, è un’esperienza totale, profondamente spirituale ed emotiva, uno “spettacolo” che non può essere paragonato a nessun altro concerto nel senso tradizionale del termine. Semplicemente imperdibile.