Live Report: Yes al Teatro Tendastrisce di Roma
Parole di Francesco Maraglino.
4 novembre 2009
Roma, Teatro Tendastrisce
C’era molta curiosità, ed un po’ di diffidenza, intorno a questo tour europeo degli Yes (che segue i concerti statunitensi, in parte condivisi con gli Asia). Infatti, anche se gli Yes hanno cambiato decine di volte la propria formazione, era la prima volta, dai tempi del tour di “Drama”, nel quale il ruolo di cantante era stato assunto da Trevor Horn dei Buggles (alle tastiere c’era Geoff Downes, e qualcuno chiamava quella formazione “Yeggles”), che la storica formazione progressive inglese si esibiva senza Jon Anderson, purtroppo impossibilitato a seguire i suoi vecchi compagni a causa di motivi di salute. Il ruolo del tastierista nel tour 2009 è ricoperto da Oliver Wakeman, figlio di Rick, ed anche questo fatto lasciava adito a dubbi relativi ad un ipotetico “nepotismo artistico” (d’altro canto c’è pure il figlio di Blakemore che guida gli Over The Rainbow, per cui….) La data romana, che ha avuto luogo in un affollato teatro Tendastrisce, ha fugato la gran parte dei dubbi circa la validità dell’attuale line-up degli Yes, con particolare riferimento a Benoit David, proveniente dalla tribute-band Close to The Edge ma con un passato recentissimo quale ottimo singer dei canadesi Mystery. Il vocalist è stato protagonista, infatti, di una performance impeccabile, sia nelle parti solistiche che nelle armonizzazioni vocali con gli altri componenti della band. Si ha l’impressione a volte che la sua estensione vocale non sia forse in grado di raggiungere le vette angeliche di Anderson, ma per quello che si è ascoltato l’altra sera Roma, David appare come un eccellente successore del suo “maestro”, oltre che un misurato e signorile performer.
Più defilato, e certamente ben lontano dagli eccessi magniloquenti dell’illustre genitore, il funzionale nuovo tastierista.
Come da scaletta del leggendario disco live “Yessongs”, del quale ogni appassionato di prog rock del mondo possiede una copia, possibilmente nella sontuosa versione in vinile, la band sale suo parco del teatro tenda capitolino sulle note della “Firebird Suite”, accolta subito da una standing ovation del pubblico, per poi attaccare “Siberian Khatru”. E’ subito chiaro che uno dei perni di questa versione della band è il bassista Chris Squire, una macchina mostruosa di ritmo ma anche di raffinatezza e gusto melodico, il quale insieme al batterista Alan White, preciso ed estroso come sempre, riesce a rendere il sound del gruppo, ancorchè sempre ipertecnico e classicheggiante, carico di un feeling tipicamente rock che contrasta con l’età anagrafica dei musicisti. L’altro perno è ovviamente il chitarrista Steve Howe, come sempre magistrale sia con la chitarra elettrica che con quella classica (e con la slide della commovente e maestosa “And You and I”), autore anche di un immancabilmente mirabile assolo acustico. Molti i classici degli anni Settanta che vengono offerti al pubblico romano (ma qualcuno resta deluso per l’assenza di “Close to The Edge”) : subito “I’ve Seen All The Good People”, poi “Astral Traveller”, una suggestiva “South Side Of The Sky”, e quasi alla fine, la monumentale“Heart Of The Sunrise”. La scaletta offre altresì pure qualche sorpresa, come la melodica e celestiale “Onward”, tratta dal bistrattato “Tormato”, e, visto che Jon Anderson non c’è, ben due brani dal sottovalutato ma validissimo “Drama” (in cui, come si diceva sopra, al canto c’era Trevor Horn): la trascinante “Tempus Fugit” (quasi una prova generale di quello che sarebbe stato il sound dei primi Asia, in cui confluirono Howe e Downes), con una bella prova di Wakeman jr., e quindi una spettacolare, ora barocca ed ora oscura e solenne “Machine Messiah”. Non manca “Owner Of A Lonely Heart”, dai commerciali e edonistici anni Ottanta del ventesimo secolo (ma che differenza, ascoltandola dal vivo, rispetto a tanto inutile pop dell’epoca). Si chiude con una trascinante “Roundabout”, ma solo per finta, come sempre: c’è, infatti, ancora il tempo e la forza per un bis, la lunga “Your Is No Disgrace”, che per l’ultima volta, per questa sera, riporta indietro un pubblico non solo di reduci dell’epoca (molti, infatti, i giovani) alla magia irripetibile dei grandi capolavori di questi maestri del rock sinfonico inglese.
Francesco Maraglino