DARK TRANQUILLITY
KREATOR
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Buddha cafè, Orzinuovi - 22/02/2005
Mi trovo in questo Buddha cafè di Orzinuovi per assistere alla performance degli Asia in un'atmosfera piuttosto discutibile.
Dopo aver fatto conoscenza con Stefano Luciano della International Rock Agency (al quale vanno i miei ringraziamenti per la disponibilità dimostrata) ci dirigiamo entrambi da Ace, tour manager degli Asia per ottenere il permesso di scattare foto in mancanza dell'apposito pass.
L'apertura dello show è affidata a "wildest Dream", un ottimo flashback nei mitici '80 penalizzato da un centinaio di presenze che di sicuro non rendono onore alla storica band; tuttavia è quasi possibile parlare col proprio vicino senza dover alzare la voce.
Niente da aggiungere nemmeno sulle successive canzoni e soprattutto sul medley acustico dove si susseguono rapidamente (in ordine sparso) "Voice Of America", "Who Will Stop The Rain", "Open Your Eyes" tra le tante, piuttosto che l'allegro assolo del immenso Geoff Downes, il quale coglie l'attimo per ricordare una delle sue prime composizioni con i Buggles “Video Kill The radio Star”.
Troviamo anche posto per l'ospite d'eccezione Carl Palmer che esegue con grande tecnica e classe i due brani "Heat Of The Moment" e "Only Time Will Tell".
Tutto termina con il bis che consiste in "Go" (dall'album Astra).
Naturalmente i miei lettori si stanno chiedendo per quale motivo il report è così breve e striminzito.
Alla base c'è una sola motivazione. Cosa è mancato a questo concerto a parte le canzoni? Naturalmente rispondo io: il pubblico!
Com'è possibile che una band con carriera venticinquennale sia ridotta a suonare in un club dove a malapena ci sono quattro anime messe in croce? Tutto questo non fa onore ad una band che nel corso della sua carriera ha prodotto ottimi lavori dai quali le canzoni più blasonate hanno trovato addirittura spazio nelle compilation di one shot '80 ("Heat of the moment" per intenderci).
Per quale motivo nel nostro Paese le date di alcuni tour mondiali vengono organizzate in modo pressoché approssimativo in luoghi dimenticati da Dio? E' una cosa talmente difficile ospitare gli Asia a Milano almeno per le date del nord Italia? Di sicuro nel capoluogo Lombardo in un locale adeguato (anche martedì) ci sarebbe stato un quasi sold out e di questo ne sono più che certo, se si considera che Milano è dieci volte servita a livello di mezzi di trasporto e collegamenti stradali rispetto ad Orzinuovi.
A parte l'impeccabile performance della band e soprattutto la cordialità e gentilezza nel concedersi a quei pochi affezionati fan muniti di pennarelli e cover cd, assistere a questo evento è stata una grande delusione.
Stazione Birra, Roma - 27/02/2005
E' stata una piacevole scoperta quella di "Stazione Birra", locale dell'Hinterland romano a me sconosciuto fino a ieri, prima cioè che una delle band più importanti dell'Art prog facesse tappa da queste parti. Ci tengo a rimarcare la bellissima struttura, molto american pub, dalle rifiniture curate, la buona (e non costosissima) birra, ma, ciò che più importa, un bel palco attrezzato e un'acustica invidiabile.
L'evento attira anche per la presenza, come gruppo spalla, dei Metamorfosi, band di progressive rock italiano, di cui il sottoscritto ha recensito l'ultima fatica, "Paradiso". Ed è proprio il Paradiso nella sua interezza che i nostri ripropongono, con il suo frontman Jimmy Spitaleri a cui è affidato l'arduo compito di scaldare gli animi. La sua voce evocativa incide più di quanto il pubblico sottolinei con sporadici applausi, nonostante la forma non sia strepitosa (gli acuti stridono pericolosamente) e, stando alle sue dichiarazioni post-esibizione, il tecnico di palco non ha reso le cose facili alla band che soprattutto dal punto di vista strumentale incappa in qualche errore di troppo. Fortunatamente la resa dalla parte del pubblico è, come anticipavo, decisamente apprezzabile, molto più di quanto io abbia constatato negli altri locali capitolini.
Cambio palco abbastanza svelto, e gli Asia, nella formazione che ha suonato sull'ultimo album, "Silent Nation", fanno la sua comparsa di fronte ai convenuti, il cui numero fa un buon colpo d'occhio. Certo, l'età media non è quella di un concerto dei Rhapsdoy (e non me ne vorrà la band di Turilli & co.), tutt'altro, e questo si nota dalla compostezza con cui gode della performance, non per questo evitando di partecipare ai momenti corali. E' un peccato che l'audience giovane non abbia colto l'occasione di vedere delle vere e proprie leggende viventi, ma d'altro canto, non assistere ai soliti teatrini buzzurri messi in piedi da certi figuri dello zoccolo duro della scena metal underground romana ha sottolineato ancora di più la qualità della proposta nonché la classe della band.
Geoff Downes, founder degli Asia e unico membro a essere stato sempre in formazione, circondato da tre pareti di synth ammicca e lancia la classica opener, "Wildest Dream", tratta dal primo e indiscusso omonimo debut, da cui la setlist pescherà senza economizzare, tant'è che il brano viene seguito immediatamente da un'altra hit dello stesso album, "Here Comes The feeling".
Una breve pausa concede a John Payne, (che sostituì un certo John Wetton a partire dalla reunion del 1990) di fare i dovuti saluti e presentare l'ultima studio release con il brano "Ghost In The Mirror", per poi tornare subito ai classici di "Asia", con "Time Again". Dopo quattro brani pungenti e vivaci è il momento di passare ad un pezzo più intimo, e la title-track del nuovo album cade a puntino. Il pubblico approva, e questo significa che "Silent Nation" ha ottenuto un buon successo di critica ma soprattutto un buon livello di vendite, grazie anche alla nuova etichetta (Inside Out). Ma è ovvio che chi vede gli Asia dal vivo per la prima volta, brama di sentire le canzoni del 1982, e così ecco "Cutting It Fine", seguita dal solo di Downes, ormai un classico: "Video Killed the Radio Star" (The Buggles, 1979).
Si prosegue col singolo di "Silent Nation", la bellissima "Long Way From Home", preceduta da una breve spiegazione di Payne, che rivela di essere stato ispirato dai viaggi lontano da casa per le liriche dell'intero album, e la storia "seria" viene infarcita di battute e scambi di risate tra i membri della band, su tutte l'immancabile battuta sul titolo del nuovo CD, che stranamente non ha seguito la tradizionale parola di quattro lettere che iniziasse e terminasse per "A": "L'unica parola che ci veniva in mente era Asma, ma non ci è sembrato il caso"... E giù risate...
Segue un intermezzo acustico, con Payne che molla il basso e abbraccia un'acustica, accompagnando allo stesso strumento Guthrie Govan, nuovo giovane chitarrista che con tranquillità si diverte a non pensare al fardello che ha sulle spalle, ovvero l'eredità di Steve Howe... Così vengono eseguiti quattro brani dagli album meno fortunati, vale a dire "Open Your Eyes" da Alpha, "Voice Of America" da Astra, "Don't Call Me" da Aqua, e "The Longest Night" da Aura.
Gradualmente si arriva al clue, i brani si fanno più elettrici, dapprima con "Who Will Stop The Rain", tratto da Aqua, quindi "What About Love", da Silent Nation, aprono la strada alla mitica "Sole Survivor", in cui Chris Slade alla batteria (ex Ac/Dc e Uriah Heep) sfoggia una prestazione energica su un brano acclamatissimo.
L'atmosfera è cotta al punto giusto, ecco che Payne introduce "uno dei più grandi batteristi viventi", e in tenuta quasi ciclistica fa il suo ingresso sua maestà Carl Palmer, già annunciato special guest della serata. Carl, membro fondatore del supergruppo nel 1982, suona due brani, ovviamente dal debut, vale a dire "Only Time Will Tell" e la stratosferica hit "Heat Of The Moment", acme dell'esibizione, prima di salutare tutti ed uscire di scena.
La toccata e fuga lascia non poche perplessità, ma le richieste di bis vengono esaudite a metà, visto che gli Asia tornano sì sul palco (per eseguire "Go", tratto da Astra), ma senza Palmer...
Poco male, visto che subito dopo il concerto la band (Palmer compreso) si ferma a firmare autografi e fare foto con i fan, che sembrano apprezzare davvero l'iniziativa...
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Report e Foto di Mario Munaretto
Cliccate sulle foto per ingrandirle
Il viaggio di andata verso il Thunder Road di Codevilla, ridente località sita nell'Oltrepo Pavese, è foriero dell'apocalittico viaggio di ritorno verso casa, che mi avrebbe visto qualche ora più tardi, solo, perso e spaesato nel piatto deserto bianco della tundra padana. Nel bel mezzo quindi di una virulenta nevicata, che andava di minuto in minuto aumentando copiosamente d'intensità, raggiungo il locale nel tardo pomeriggio, grazie soprattutto all'aiuto e al supporto telefonico del collega Engash-Krul, oscuro e misterioso indigeno di queste inospitali lande, con lo scopo di mettermi subito al lavoro intervistando gli Enthroned, con i quali mi ero precedentemente accordato, e chiacchierare con un paio di persone di mia conoscenza. Dopo il sound check di rito e l'essere stato arruolato da Sabathan per un turno di piantonamento al banchetto dei belgi, il concerto ha inizio mentre la gente comincia ad arrivare alla spicciolata. C'è da dire però che a causa dell'abbondante nevicata e dello stato quasi impraticabile di strade e autostrade, le persone presenti si potranno poi contare intorno al centinaio scarso, un vero peccato per un appuntamento così ghiotto e ben organizzato.
Il concerto viene aperto dai milanesi Stormcrow, che avuto già modo di ascoltare nel recensire il loro ottimo demo Wounded Skies, sulle note dell'intro Keeping the Serpent's Path. Particolare la presenza del singer e drummer Goraath, che tra un blast beat e una rullata, urla come un forsennato i suoi scream, mentre i due chitarristi, Loki e Narchost, imbastiscono i loro muri di suono con il supporto di Zedar e del suo basso. Dalla loro violenta performance live, ho avuto la conferma di quanto ascoltato su dischetto ottico ( potete leggere la recensione a questo indirizzo ), e senza dubbio la band ha delle buone potenzialità.
Dopo una breve pausa è l'ora dei genovesi Sacradis. Ho avuto modo di leggere e sentire degli ottimi pareri su questo gruppo da parte degli addetti ai lavori, e nel tragitto da casa a Codevilla, ho potuto ascoltare superficialmente il loro recente debut Darkness of Our Souls, che avrò modo di recensire nei prossimi giorni. Sul palco sono una vera sorpresa e i cinque fanno sul serio coinvolgendo alla grande il pubblico, grazie al carisma dell'indiavolato cantante Kadath e al bassista Winternius, che sembra posseduto. I cinque indemoniati sciorinano con grande intesità il loro raw black metal, tiratissimo e monolitico, pescando a piene mani dal loro ultimo lavoro, che riproposto dal vivo sprigiona veramente un'energia primitiva, non immediatamente percepibile su cd. Niente da dire dunque, la prova del combo ligure è davvero convincente.
Terzo act della serata sono i siciliani Inchiuvatu, guidati dall'indiscusso leader Agghiastru e fautori di un concerto molto particolare e ricercato, con un impatto visivo minimale ma di sicuro effetto e una prova musicale che da una parte ha esaltato uno zoccolo duro di astanti, presente per tutto il tempo sotto il palco e pronto a cantare a memoria tutte le canzoni proposte da Astru e soci, mentre una parte del pubblico si è fatta coinvolgere meno, accogliendo più freddamente il set della band.
Chiudono la serata gli headliner Enthroned, in quella che per ora è l'unica data effettuata sul suolo italico, dopo l'uscita lo scorso autunno dell'ottimo Xes Haeriticum. Ed è proprio sull'ultima fatica discografica che la band belga imposta gran parte dello show, occasione anche per presentare la rinnovata line-up del gruppo, che al fianco dei veterani Lord Sabathan e Nornagest, vede il chitarrista Nguaroth e il drummer Glaurung. Gli Enthroned attaccano subito con un uno-due micidiale portato da Radiance of Mordacity e The Antichrist Summons The Black Flame, tratte rispettivamente dal precedente Carnage in Worlds Beyond e Towards the Skullthrone of Satan. Dopo aver deliziato i presenti con una violentissima Scared by Darkwings, dal leggendario Prophecies of Pagan Fire, i belgi inanellano una devastante sequenza di pezzi presi dall'ultimo album: Dance of Thousand Knives, Last Will, Blacker Than Black, Vortex of Confusion e Hellgium Messiah. Qui e là vengono dispensate perle pregiate come The Ultimate Horde Fights, Rites of the Northern Fullmoon e Evil Church, che mostrano il gruppo in serata, nonostante qualche piccolo inconveniente tecnico. C'è anche tempo per un bis, durante il quale gli Enthroned massacrano selvaggiamente i loro strumenti per una cover di Under the Guillottine dei Kreator, che chiude in bellezza la serata e il concerto, che se non fosse stato per il tempo oltremodo malevolo, sono certo che avrebbe riscontrato un maggiore afflusso di interessati.
[post_title] => Report: Enthroned - 20 febbraio - Codevilla (PV)
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Report di Alberto "Hellbound" Fittarelli e Matteo Lavazza
Foto di Alberto "Hellbound" Fittarelli
Cliccate sulle foto per ingrandirle
Si prospettava come un vero evento il concerto che vedeva, nella parte alta
del cartellone, i nomi di Kreator e Dark Tranquillity a tenere banco: e infatti
al Rolling Stone di Milano è accorsa mezza Italia, letteralmente, con un locale
presto riempitosi e grande attenzione del pubblico sin dalle prime battute del
concerto. Un locale perfetto, quello milanese, per questo tipo di eventi:
l'ampia sala si presta infatti bene, sia per acustica che per spaziosità, a
spettacoli che richiamino un certo quantitativo di persone, come accaduto in
questa serata; e permette anche a chi vuole prendersi un attimo di riposo di non
morire pressato nella calca. Detto che la puntualità non è mai una costante di
queste date, bisogna dare atto all'organizzazione che non si sono registrati
grossi ritardi, anzi: il tutto è terminato entro le 23, senza mai presentare
problemi di alcun tipo.
Iniziamo il report della serata parlando dei danesi Hatesphere, che
hanno aperto lo show con il loro solito set tritaossa, movimentato e
caratterizzato dalla grande interazione col pubblico: i pezzi scelti sono i
migliori mai usciti dalla loro penna, e Jacob sa come far partecipare le persone
già assiepatesi sotto al palco per rendere al meglio il concerto. Su tutte le
canzoni eseguite, per una mezzora scarsa, spiccano sicuramente Release the
Pain e Deathtrip, cavalli di battaglia proposti in fila all'inizio
della setlist che vengono accolti in modo clamoroso, specie considerando che si
tratta della band di apertura per un bill di 4 gruppi: e notoriamente il primo
gruppo è quello che in media si guarda con meno attenzione... assolutamente
coinvolgenti, quindi, e precisi: speriamo che non si inflazionino troppo (la
loro proposta musicale non è così varia, e il fatt che tornino tra un mese di
spalla ai Morbid Angel potrebbe quasi essere uno svantaggio, per certi versi...)
e che continuino a sfornare musica di qualità.
Continuo invece a chiedermi come una band come gli ungheresi Ektomorf
possa godere di tanta e tale promozione: è vero che il sound è abbastanza in
voga attualmente, ma questi cloni degli ultimi Sepultura non mi hanno convinto
nemmeno dal vivo. La band è stata infatti abbastanza statica, seppur supportata
da un'ottima scenografia di impronta orientaleggiante... ma anche se le ritmiche
incitavano al movimento, il pubblico non è sembrato in sostanza reagire con un
grande coinvolgimento. Pezzi come I know them dovrebbero avere la loro miglior
dimensione dal vivo, ma qui sembravano semplicemente una riproduzione della
traccia registrata, con scarsissima energia da parte anche dello stesso frontman.
Assolutamente superflui nella serata, e soprattutto non meritavano il terzo
posto nel bill.
Che cosa dire invece dei Dark Tranquillity? La cornice è stata
assolutamente azzeccata: una semplice ma intrigante scenografia, delle luci ben
regolate e che hanno saputo creare un'atmosfera adatta, e la solita scarica di
adrenalina data dagli svedesi grazie ai loro pezzi. Giganteggia come sempre Mikael
Stanne, un uomo nato per fare il frontman, che senza atteggiarsi in nessun
modo precostruito riesce a instaurare subiti un grande feeling coi fans e ad
interpretare al meglio ogni singolo pezzo. La scaletta prevede soprattutto brani
degli ultimi dischi, con un occhio di riguardo ovviamente al nuovo Character,
da cui vengono scelte le belle The New Build, Lost to apathy e Through smudged lenses;
viene decurtato completamente (a sorpresa) Projector, di cui non
è eseguita nemmeno la celebre ThereIn, a favore però di un brano
rispolverato dal debut: Of chaos and eternal night, che stupisce i
presenti, dato che non veniva rispolverato ormai da anni. Una Punish my
heaven finalmente eseguita alla giusta velocità corona un concerto
assolutamente riuscito, ma penalizzato dalla brevità: il tour infatti doveva
vedere i Dark Tranquillity come co-headliners, ma per questioni varie si è
lasciato questo ruolo ai soli Kreator, che suoneranno infatti addirittura per
due ore contro ai miseri 40 minuti degli scandinavi.
Tutti i membri della band svedese sono comunque da encomiare per la riuscita
dell ospettacolo: Jivarp è come sempre un orologio dietro alle pelli,
mentre la coppia di chitarre Sundin/Henriksson sembra addirittura più
affiatata che in passato, vista la velocità dei passaggi eseguiti sui 2 brani
più vecchi. Niente di nuovo nel bene come nel male, insomma, ma una
graditissima conferma per una delle band più importanti per la scena metal
estrema mondiale.
A.F.
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Le note iniziali della title track dell'ultimo disco, “Enemy of God”, aprono il concerto dei
Kreator, e da subito il gruppo mette in mostra una carica ed un aggressività davvero impressionanti, così come degli ottimi giochi di luce, mentre la scenografia è totalmente affidata ad un enorme telone che riproduce una versione ampliata della copertina del nuovo disco, davvero molto bello.
Con “Impossible Brutality” se è possibile la band riesce a crescere ulteriormente in quanto ad aggressività, ma la vera scossa allo show lo da la mitica
“Pleasure to Kill”, introdotta in maniera verbalmente davvero violenta da
Mille Petrozza, che da il vero via al pogo più duro nel pit.
La carica musicale della band è indiscutibile, quando si ha la possibilità di scaricare sul pubblico bordate del calibro di
“People of the Lie”, “Terrorzone”, “World Anarchy”,
“Extreme Aggression”, accolta con un vero boato, “Betrayer” o
“Violent Revolution” si parte sicuramente da una posizione di vantaggio, ed infatti il coinvolgimento dell'audience mi è parso decisamente alto, peccato però che il gruppo, con l'esclusione del leader storico Mille, non mi sia parsa altrettanto coinvolta, infatti se il bassista ogni tanto perlomeno si lanciava in un moderato headbanging, il biondo chitarrista sembrava avere i piedi inchiodati al palco, credo che a fine concerto non fosse nemmeno sudato, e questo a mio, parere toglie molto all'atmosfera del concerto.
Il gruppo non nega nemmeno un salto nel suo passato più lontano, con canzoni come
“Riot of Violence”, in cui il batterista Ventor rispolvera le sue doti canore, espresse sui primi dischi del gruppo, e l'accoppiata
“Flag of Hate/Tormentor” che chiude in maniera più che degna uno show davvero molto piacevole.
Il carisma del buon Mille Petrozza è davvero enorme, ed anche se forse non tutti capiscono i suoi discorsi in inglese tra una canzone e l'altra qualsiasi affermazione del leader viene accolta da urla della folla, soprattutto quando, in uno stentato italiano, il chitarrista/cantante dichiara il suo orgoglio per le proprie radici italiane, peccato però che, soprattutto nelle prime canzoni, la sua voce non sia parsa al meglio, a volte sembrava davvero in difficoltà mentre cantava.
La vera sorpresa del concerto è rappresentata da “Ripping Corpse”, non certo uno dei classici del gruppo, che infatti inizialmente è stata accolta in maniera piuttosto fredda, probabilmente non molti tra i presenti se la ricordava, ma quando il brano ha scaricato la sua potenza il pubblico non ha potuto far altro che farsi trascinare.
Le uniche due canzoni che non mi hanno pienamente coinvolto sono state “Phobia” e
“Voices from the Dead”, che pure su disco mi piace tantissimo, entrambe le song mi sono sembrate davvero poco in linea col resto dei pezzi proposti dal gruppo, e soprattutto davvero poco coinvolgenti in versione live.
In conclusione posso tranquillamente affermare che i Kreator hanno offerto ben due ore di sano e trascinante Thrash spaccaossa, il che è il massimo che si può chiedere a loro, peccato solo che la scarsa presenza scenica di un paio di elementi abbia fatto calare di parecchio l'impatto visivo dello show, ma dopotutto quello che conta è la musica, e quella offerta dalla
band di Petrozza è stata sicuramente di ottima qualità.
M.L.
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[post_content] => Per ragioni di praticità, in questo report, con la parola “Megadeth”, ci riferiremo a Dave Mustaine e i musicisti che si sono esibiti la sera del 21 febbraio 2005 all'Alcatraz di Milano…
La calata in terra italica del buon vecchio Dave richiama in via Valtellina circa 2000 persone, alcune delle quali costrette persino a restare fuori dal locale. Un sold out che, se da un lato può fare piacere, dall'altro lascia un po' di perplessità per la presenza delle solite (ahimè numerose) facce che poco e nulla hanno a che vedere con la serata. Immancabili gli abituali personaggi pronti a lasciare andare qualche scazzottata gratuita nella mischia (magari a tradimento) piuttosto che gioire per il riff improvviso di Hangar18… ma questo purtroppo è il prezzo da pagare quando ci sono in ballo i grossi nomi del mainstream.
Rimandando ogni possibile considerazione di carattere ‘logistico', c'è da dire che la serata parte bene con una calda esibizione dei Diamond Head, prevedibilmente incentrata sulle vecchie glorie che portarono in alto il nome della band inglese nei primi anni Ottanta. Brillano, tra gli altri, i vari estratti dal mitico Lightning To The Nations, un album che non ha perso un briciolo di fascino: come testimonia la buona risposta del pubblico sempre più gremito. È così che le varie It's Electric, The Prince, Sucking My Love, Helpless e la conclusiva, anthemica Am I Evil? – da sempre croce e delizia del combo capitanato da Brian Tatler – rimbombano in sequenza tra le mura del locale, regalando uno show energico e coinvolgente, l'ideale antipasto in attesa dell'headliner.
Buona la prova di tutti i componenti del gruppo (complice un assortimento di suoni squisitamente retrò), con una menzione speciale per Nick Tart , fresco sostituto dello storico vocalist Sean Harris, che, nonostante un look poco azzeccato, ha retto con bravura le assi del palcoscenico, dimostrandosi bravo frontman. Prossimi a celebrare tra alti e bassi trent'anni di attività, gli alfieri della N.W.O.B.H.M. non hanno dimenticato i segreti del buon vecchio heavy metal. Complimenti ai Diamond Head!
Setlist: Intro, Evil Edit, It's Electric, Give It To Me, The Prince, Mine All Mine, Heat Of The Night, Sucking My Love, Helpless, Am I Evil
Venti minuti scarsi di attesa, durante il quale – è bene ammetterlo – lo staff ha rapidamente risistemato lo stage-set e un Alcatraz sempre più affollato che saluta con una roboante ovazione mr. Dave Mustaine, assente da quattro anni sul suolo italiano (l'ultima esibizione tricolore risale al Gods Of Metal 2001) e tornato alla ribalta dopo l'infortunio che l'aveva costretto a una pausa di quasi due anni. Con un nuovo album che ha diviso pubblico e critica e una formazione completamente rimaneggiata, comprendente per metà membri dei canadesi Eidolon, il biondocrinito axeman rispolvera il monicker Megadeth e sfodera una set-list saggiamente bilanciata tra nuovi brani e super-classici, senza dimenticare qualche sorpresa che ha parzialmente risollevato le sorti di un concerto buono ma non spettacolare.
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Procediamo con ordine. Lo show parte in quarta con un'intensa esecuzione di Blackmail The Universe, opener dall'ultimo The System Has Failed, ma si ha subito l'impressione che, a livello di qualità sonora, qualcosa non quadri: inevitabile una bella tirata d'orecchie per i tecnici del suono, rei di aver spinto troppo in alto il volume delle chitarre, impastando il sound di parecchi pezzi e penalizzando non poco la resa di molti brani. A ogni modo il pubblico sembra gradire la carica della band, e tributa i giusti onori alla successiva Set The World Afire, prima chicca della serata: un MegaDave esplosivo macina un riff dietro l'altro con ghigno compiaciuto e si lascia andare ad un headbangin' continuo, mandando in delirio le prime file. Decisamente uno degli episodi più riusciti della serata. Skin O' My Teeth è un mezzo passo falso. Il brano ha per primo il merito di coinvolgere tutto il locale con il suo andamento smaliziato e l'accompagnamento della voce isterica di Mustaine, ma soffre per via di una pessima esecuzione in sede solista di Glen Drover, in grande difficoltà per tutta la serata sulle parti di Marty Friedman. Discreto intrattenitore – sicuramente più vivace sul palco rispetto ai suoi illustri predecessori, senza sconti per il già citato Friedman, fenomenale con la sei-corde quanto immobile come un pezzo di ghiaccio – l'axeman degli Eidolon pecca in termini di precisione esecutiva, rivelandosi una scelta poco azzeccata per un gruppo che colleziona sold-out ogni sera. La tensione non sale nemmeno con la successiva The Scorpion, che dal vivo conferma i propri limiti, specie se accostata a hit immortali come la spettacolare Wake Up Dead (dall'ormai ventennale Peace Sells…But Who's Buying?), a cui bastano pochi secondi per destare gli animi dei molti nostalgici sparsi per il locale. Fila tutto liscio anche con l'onnipresente In My Darkest Hour, secondo e ultimo estratto da So Far, So Good...So What! e vero cavallo di battaglia dei Megadeth: ottima la prova del frontman dietro al microfono e buona – per una volta – l'esecuzione di tutta la band, intelligente nel non voler strafare nelle parti più speed-oriented. Si ritorna alla produzione più recente della band con la ruffiana Something That I'm Not, terzo inedito dal vivo, che esibisce un Mustaine davvero in gran condizione, e She-Wolf, che arriva a sorpresa – e c'è chi già critica la presunta omissione di Tornado Of Souls, prontamente smentito – scaricando una bella dose di elettricità sui presenti. Su Á Tout Le Monde, unica testimonianza dal bistrattato Youthanasia, è il pubblico il vero protagonista, che canta a squarciagola l'ormai celebre refrain in francese, anche se il risultato globale non è il massimo; ma il peggio deve ancora arrivare e si chiama Die Dead Enough, singolo apripista per The System Has Failed: complici dei suoni osceni e un cantato così così il pezzo viene fuori un mezzo pasticcio, specie nella parte finale, dove si distingue poco o niente. Bocciato. Decisamente meglio la solida Angry Again (dalla colonna sonora di Last Action Hero), altro highlight assoluto del concerto, cui spetta l'ingrato compito di scacciare i primi sbadigli. Da Cryptic Writings è ripescata anche l'opener Trust, riproposta abbastanza fedelmente, poco prima che una sentita dedica all'amico Dimebag Darrell, axeman dei Pantera assassinato di recente, introduca Of Mice And Men, che dal vivo guadagna parecchi punti rispetto alla versione da studio.
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Un boato accoglie il riff di Hangar 18, prevedibilmente (e giustamente) uno dei brani più attesi, e, altrettanto prevedibilmente, una delle più grosse delusioni della serata, courtesy of Drover brothers: legnoso e insipido Shawn, completamente imbambolato Glen, i due fratelli degli Eidolon hanno letteralmente demolito un capolavoro, raggiungendo livelli infimi nelle parti più techno-oriented; paradossalmente, in parecchi hanno accolto con sollievo l'attacco a tradimento di Return To Hangar (da The World Needs A Hero), dove tutti se la sono cavata decisamente meglio. Fortunatamente, l'ultima parte del set ha riservato solo buone cose ai fan accorsi a Milano, allontanando un giudizio parzialmente negativo per via di alcuni pesanti passaggi a vuoto. Si riparte con una riuscitissima versione di Back In The Day – a giudizio di chi scrive tra gli apici qualitativi di The System Has Failed – che coinvolge anche i “ragazzi” dei Diamond Head ai cori, seguita a ruota da una stralunata Sweating Bullets, al solito interpretata da MegaDave con un mood schizofrenico inconfondibile. Chiusura illustre affidata ad un poker di canzoni mitiche, vale a dire la celebrata Symphony Of Destruction, Peace Sells, un'improvvisa Tornado Of Souls (per cui c'è chi teme il peggio, memore della fresca tortura comminata ad Hangar 18) e la maestosa Holy Wars..The Punishment Due (inserita in un medley con Kick The Chair) al solito involgarita dalla 6-corde di Drover e letteralmente salvata da un Dave Mustaine in gran spolvero nella sezione conclusiva. Quando le luci si riaccendono la parola Fine sembra scontata, ma l'ex-Metallica non è dello stesso avviso: c'è ancora spazio per un paio di ancore. Così, dopo un attesissimo riferimento a James Hetfield, tocca a Mechanix far tremare per l'ultima volta le assi del palcoscenico, affiancata da un'altrettanto divertente cover di Paranoid (reduce dalla vittoria al ballottaggio con Anarchy In The U.K.). Dopo 24 (!) brani e due ore piene di musica suonata, le luci si riaccendono per la seconda e ultima volta, seguite da un lungo, meritato applauso all'assoluto protagonista della serata: simpatico con il pubblico, bravissimo (ma non è una novità) con il proprio strumento, l'incontrastato leader dei Megadeth, Dave Mustaine è stato il vero spettacolo da premiare.
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Setlist: Blackmail The Universe, Set The World Afire, Skin O' My Teeth, The Scorpion, Wake Up Dead, In My Darkest Hour, Something I'm Not, She-Wolf, A Tout Le Monde, Angry Again, Die Dead Enough, Trust, Of Mice And Men, Hangar 18, Return To Hangar, Back In The Day, Sweating Bullets, Symphony Of Destruction, Peace Sells / Tornado Of Souls / Peace Sells (reprise), Holy Wars / Kick The Chair / The Punishment Due - Encore: Mechanix / Paranoid
Nel complesso un concerto piacevole, che ha messo in mostra un Mustaine in ottima forma - per la verità palesemente immerso in piena operazione “bravo ragazzo e recupero immagine”, ma va bene così – e che di contro ha esibito anche una band davvero al limite della decenza. Se James MacDonough se l'è cavata sufficientemente (gradevole anche il solo prima di Peace Sells, sebbene lontanissimo dal thrash) i fratelli Drover hanno toccato il fondo del barile. Rigido e in difficoltà Shawn, che ha semplificato diverse linee delle versioni da studio sprecando un suono di batteria che sembrava poter dare ottimi frutti. Inascoltabile Glen, che ha rovinato i pezzi migliori del repertorio Megadeth, stuprando letteralmente tutti gli assoli dei cavalli di battaglia che la band aveva riservato per il finale (ovvero i classiconi di Peace Sells e Rust In Peace). Velo di pietoso silenzio sul non commentabile aborto uscito dalle sue sei corde a metà concerto…
Per ultima cosa, come siamo sempre pronti a puntare il dito verso gli errori dell'organizzazione, questa volta siamo felici di dire che quasi tutto è filato liscio (a parte, ovviamente, l'inevitabile bolgia finale al guardaroba, dove la condizione di essere pensante viene meno a favore dell'animalità e della maleducazione più sfrenata).
Alessandro 'Zac' Zaccarini
Federico 'Immanitas' Mahmoud
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http://www.imagolive.com) per la gentile concessione delle foto. (Cliccare sulle immagini per ingrandirle)
Raising Fear + PlanetHard @ Inkubo Cafè di Milano
17 Febbraio 2005
PLANETHARD
RAISING FEAR
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Milano, 5 febbraio 2005
C-Side
Mi sono concesso qualche giorno di tempo prima di scrivere le righe che state leggendo, solo ed esclusivamente per riflettere e tentare di raffreddare il sangue diventato bollente esattamente alle 22.35 del 5 febbraio scorso, data nella quale, i brasiliani Angra sono tornati nel capoluogo lombardo per aprire il tour di supporto a Temple of Shadow, disco neonato ed in attesa di essere presentato dal vivo al pubblico delle “arene” di mezza Europa.
No, non è certo un errore l'aver virgolettato la parola arene, il fantomatico C-Side, sebbene dotato di una superficie quadrata sufficientemente credibile per contenere il migliaio o più persone presenti quel sabato, è il vincitore assoluto della classifica destinata ai locali detentori della peggior acustica. Rainbow, Alcatraz, Rolling Stone, Transilvania Live, Inkubo cafè, Black Crown, Woodstock e ci metto anche l'abominevole Supermarket di Torino tanto per allontanarci di qualche kilometro, al suo cospetto fanno un figurone inimmaginabile.
La torta non è ancora completa dei suoi ingredienti: e gli Angra?
Rewind, facciamo tornare indietro il nastro fino alle 18.30, orario della partenza dalla beneamata Como spedito verso la tangenziale ovest stranamente percorribile, e mandiamolo un po' avanti, sino alle 19.00, quando finalmente tra me e il C-side si frapponeva “soltanto” la strada che va dall'uscita di Famagosta all'entrata del localaccio (che ho scoperto solo 3 ore dopo, essere una discoteca frequentatissima).
1 ora esatta… Alle 20 in punto sono riuscito ad inquadrare all'orizzonte i soliti “baracchini” oberati dalle T-Shirt nere, ahimè non ero stato avvisato della presenza di un labirinto stradale e del fatto che avevo a disposizione una sola opportunità su un milione di riuscire a trovare il “bar” al primo colpo. Ritenta, sarai più fortunato recitavano le bottiglie di birra Moretti qualche anno fa.
Il tempo di una birra al freddo e al gelo e di un gustosissimo Kebab, eccomi baldanzoso davanti alla mega entrata con tanto di tappeto rosso srotolato ai fortunati possessori di un biglietto-accredito, mi ritrovo dunque nel bel mezzo della selva oscura rappresentata, in questo caso, da centinaia di cappotti che avremmo pototo appoggiare su “delicatissimi” stendi-abiti per la modica cifra di 3 euro ma, un “finissimo” suono di chitarra elettrica distoglie il mio sguardo e la mente dal pre-locale: mi sono bastati due brani per capire che gli Edenbridge hanno fatto una gran bella figura sotto il profilo visivo avendo tra le fila una splendida vocalist desnuda, stenderei un velo grande come lo Stadio San Siro sulla prova tecnica ed in generale sonora che hanno influito pesantemente sulla professionalità di quanto eseguito.
Mettiamola così: ritentate, sarete più fortunati!
21.15, una ventina o più di minuti dedicati al soundcheck stile Manowar ed ecco finalmente il tanto agognato abbassamento di luci e l'inizio di Gate XIII con l'aggiunta di Deus Le Volt, per un totale di 6 (sei) infiniti minuti di introduzione che hanno separato me e i presenti dalla stupenda Spread Your Fire qui riproposta interamente in versione strumentale…
No, anche qui nessun errore ortografico; Edu Falaschi, simpaticissimo nelle movenze e principale protagonista nell'ultimo album, è stato letteralmente umiliato in quanto provvisto di un volume al microfono pari a zero alla quinta e, non riuscire a sentirlo da 6/7 metri al centro del parterre non credo sia un problema riguardante le orecchie delle dozzine di anime che riempivano quella metratura, vero cara Crew?
Piccolo aneddoto: mi è giunta la voce da un uccellino alla fine del concerto che una parte consistente delle casse in alto alla nostra sinistra si sono fulminate in modo irreparabile qualche secondo dopo dal loro utilizzo, detto questo la Crew si scusa.
Di conseguenza, riesco anche a comprendere il motivo che ha portato i tecnici ad un missaggio ai limiti dello scandalo ed a suoni impastati e scoordinati ed a farmene una ragione ma, non posso giustificare un sound della batteria che si avvicina più a quello di una batteria di pentole lanciata dal decimo piano, non posso giustificare il fatto di non aver attaccato la chitarra classica quando il povero Edu ha tentato di farci almeno ascoltare come suona, non posso concepire il non riuscire a sentire la chitarra elettrica in un concerto heavy metal e non posso concepire che una data live di un tour di supporto ad un lp duri una settantina di minuti.
Provando a descrivere nel modo più ottimistico possibile, posso confermare che dal punto di vista squisitamente tecnico gli Angra si sono mostrati come sempre musicisti professionisti ed in grado di esaltarsi sulle parti sonore relative al “sangue brasilero” e splendidamente espressivi quando si è trattato di performare parti prog oriented con le chitarre di Loureiro e Bittencourt ed il basso di Andreoli.
Sebbene il suono orribile, anche Priester alla batteria ha fatto un'ottima impressione e l'unico elemento davvero incredibilmente danneggiato è senza dubbio Falaschi per i motivi già debitamente descritti in precedenza che sono intercorsi per l'intera durata dello show.
Deturpato l'alone mistico del brano che ho tanto amato, Carolina IV, ed abbattuto in precedenza dalla sensazione negativa che mi ha gentilmente concesso Nothing to say mi sono ripreso appena con l'innesto in scaletta di Rebirth, che perlomeno nelle parti acustiche ha fatto un'ottima figura.
Inutile raccontare il resto del concerto, sappiate che la scaletta finale è stata decurtata di 4/5 brani tra i quali spiccavano l'intramontabile Carry On che tutti sognavamo e la sprintosa The Temple of Hate… motivo? Eccone altri due: i concerti devono terminare non oltre le 22.30/23.00 come stabilito da leggi comunali, a questo si aggiunge che i proprietari del locale ci hanno praticamente buttato fuori per permettere una veloce pulizia per una repentina apertura della from disco to C-side disco.
Complimenti dunque alla Live, al C-side ed ai colpevoli Angra e Crew che se ne sono andati tra i fischi del pubblico, per aver trasformato una serata pregustata e sognata da tempo, in un incubo sonoro al quale, da quindici anni a questa parte, raramente avevo assisito. Non aggiungo altro.
Gaetano “Knightrider” Loffredo
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http://www.imagolive.com) per la gentile concessione delle foto. (Cliccare sulle immagini per ingrandirle)
Fire Trails + Pythons @ Transilvania Live di Milano
28 Gennaio 2005
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The Clairvoyants @ Rolling Stone di Milano
23 Gennaio 2005
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Daffogo! Metalfest 2005
Report:
Giorgio Vicentini
Foto:
Veronica Mariani
Location:
Teatro Tenda Estravagario - VeronaPrima assoluta per il sottoscritto al Teatro Tenda Estravagario, che avevo frequentato più di una volta per le fiere del disco ma che conoscevo soltanto di fama come luogo di concerti. Stimolante il programma che riserva nomi sconosciuti o emergenti (Shining Fear ed Eviscerate), altri affermati tra gli intenditori (Mind Snare), altri ancora ben più famosi quali Stormlord e gli storici Necrodeath.
Dopo un breve check di routine aprono i giovani Shining Fear, dispersi su un palco troppo grande per la loro presenza scenica tutta da affinare. Purtroppo, sia l'aria del teatro (fredda) che l'audience (scarso) non aiutano di certo il quartetto che con passione ed impegno si lancia in un classico gothic con voce femminile che in più d'un momento ricorda i Nightwish ma senza averne potenza e capacità (ovviamente). Esecuzione non proprio certosina, una chimica generale sufficiente per ora ma da perfezionare in futuro, pezzi dalle strutture spesso elementari ma di buona presa. Ottima la base di partenza della cantante, con una timbrica piacevole e melodiosa (Tarja docet) che non teme i momenti canori impegnativi dai quali ricava quasi sempre un buon risultato, ma restando decisamente senza fiato tra un pezzo e l'altro. Una prestazione positiva che si è lasciata ascoltare piacevolmente grazie anche alla bontà del genere stesso, che non adoro ma che male non fa. Sinceri e mi auguro anche in crescita per il futuro in fatto di personalità a 360°.
Altro mini check, qualche timido figuro in più tra la folla ed arrivano i bresciani Eviscerate, per i quali non nutrivo grosse speranze avendo sentito qualche sample... in tempo zero mi sono preso un sonoro pugno sul grugno che mi ha sbattuto a terra! Semplicemente grandiosi ed altrettanto semplicemente non erano il gruppo che credevo io, della serie “provaci ancora Giorgio”. Swedish death/thrash feroce, potentissimo, tecnicamente misurato ed efficace. Una sorpresa per il qui presente che si è sentito in obbligo morale di procurarsi il loro mini appena uscito ed intitolato Shadow out of time, dal quale sono stati estratti dei brani.
Troppo facile ed immediato ascoltarli e “scapoiare” tra accordature potenti, cambi di tempo, break stoppati e facce truci dell'ottimo cantante/chitarrista dallo scream graffiante e sicuro. Brani variegati tra violenza e melodia, impreziositi da assoli gustosi dell'altro chitarrista e sporadico corista (la cui voce era spesso coperta). Convincenti basso e batterista “cabarettista”, sicuro tecnicamente e ricco di espressioni comiche per gasarsi e vivere i pezzi, ma disperso solo-soletto dietro il suo strumento in una angolo del palco (come tutti i drummer delle band minori). Direi che notevoli è la parola che più calza, affiatati (suonano dal 1996) ed accattivanti grazie alla presenza del frontman. Peccato per il problema tecnico/audio all'amplificatore della seconda chitarra, motivo di leggera defaiance recuperata facilmente.
Energici, da sentire altre mille volte e più, olè!
Terza pausa, bar pieno all'entrata e platea che inizia a riempirsi per i Mind Snare, alfieri storici del death metal italiano in american style. Un set all'insegna della possenza e del buio che cala inesorabile sulle ali della musica distorta, cupa e dall'alone magmatico. Buoni pezzi, classica la strutturazione delle composizioni che in qualche frangente risente dei limiti tipici dell'essere old style; granitici i break rompicollo ed immancabili le sfuriate ultra fast. Per loro cd in uscita ai primi di febbraio 2005 ed intitolato From blood and dust.
Non eccelso il suono della chitarra, troppo aperto per i miei gusti, giustamente settato per fare “volume” (sono un terzetto) ma impastato e poco preciso, lasciando l'impressione che Chris Benso fosse fuori tempo…e in alcuni momenti lo è stato a mio parere. Tra tutti, do la palma di migliore a Gigi Casini, frontman che cerca ed ottiene la carica dall'audience, direttore d'orchestra che imbracciando il basso grugnisce fiero contro tutti. Onesto lavoro per il chitarrista che si sobbarca la sezione “sterminio e violenza” e prestazione con alti e bassi del batterista pesante come un maniscalco, ottimo quando lanciato nei blast beat ma non sempre chirurgico nelle rullate più tecniche.
Purtroppo, anche per loro qualche problema tecnico, stavolta alla cassa dal lato di basso a batteria, che da un certo punto in poi ha menomato a fasi alterne alcuni passaggi slabbrandoli. Molto convincenti per attitudine: loro suonano death metal con i contro “C” dal 1989 e si vede. Onore ai torinesi e buon massacro a tutti noi che ci siamo goduti la brutalizzazione di Reign in blood.
Ovviamente la serata era destinata a scaldarsi veramente con la coppia di headliners e così è stato, complice principale l'ottima attitudine dei romani Stormlord: un assalto d'energia ed entusiasmo. Ottima presenza scenica, un mare di movimento ed una chimica complessiva perfetta che non ha patito della mancanza di Giglioni, chitarrista in pianta stabile ma sostituito più che degnamente. Ovvio che tutta la lena profusa non ha garantito uno show da puristi dello stile e della forma che comunque ne ha risentito marginalmente. Non del tutto ottimali i settali della parte elettrica, che per buona parte dello show hanno coperto la voce. Scaletta completa e variegata a cavallo tra pezzi più duri ed altri più melodici nei quali le tastiere si prendono il loro spazio, il tutto estrapolato dall'ultimo lavoro oltre a vari capitoli ripresi dalla loro discografia, compreso il ripescaggio dal primissimo disco; scelte oculate e funzionali allo spirito del loro show.
Sono rimasto soddisfatto nell'ascoltare gli affondi growl estremamente profondi del minuto Borchi, che non si è risparmiato come nessuno dei suoi compagni, attirando l'attenzione anche per la sua mimica facciale, strillando e riuscendo anche ad uscire degnamente allo scoperto dopo qualche aggiustamento dei suoni che inizialmente lo coprivano. Una nota di colore: sinistra la somiglianza del tastierista Simone Scazzocchio con Sergio Muniz, paragone che credo possa soltanto fargli piacere.
Io non sono un loro fan e non credo lo sarò mai per gusti personali, ma assistere ad un set così volitivo e vigoroso è sempre un piacere che mi ha fatto scoprire un lato godibilissimo della band.
Capitolo finale: Necrodeath.
Che fossero l'EVENTO s'è capito all'istante: stage ripulito della strumentazione superflua, mini struttura lignea per sollevare ulteriormente la batteria di Peso, attesa tattica, intro ed intermezzi per coprire le pause e creare l'atmosfera malvagia tipica della band. Suoni calibrati fin da subito e corretta miscela tra la voglia degli Stormlord e l'efficacia nell'esecuzione.
Scaletta interpretata con generosità, ricca di riferimenti raccolti dagli anni di carriera, con predilezione personale per Mater tenebrarum e per i brani tratti dall'ultimo capitolo tra i quali "Last tones of hate" e "Perseverance pays". Estremamente graditi i due omaggi fuori programma quali Black Sabbath (indovinate di chi?), eseguita e rivisitata ottimamente riuscendo potente e fedele con un tocco malvagio in più e la conclusiva "Countess Bathory" dei Venom.
Band quadrata, con l'indemoniato Flegias in totale simbiosi col pubblico completamente esaltato al suo cospetto. Professionalità e competenza indiscutibili, senza particolari tecnicismi o picchi sopra la media eccezion fatta per l'iperattività del singer. Un plebiscito, sancito anche da alcune foto d'eccezione richieste esplicitamente da Flegias e scattate dal palco immortalandolo con il pubblico come sfondo.
Conclusioni.
Appuntamento decisamente positivo, soprattutto divertente ed appagante, nel quale non sono mancate delle ottime sorprese come gli Eviscerate ai quali assegno la palma di migliori insieme ai Necrodeath.
Soddisfacente la qualità dei suoni, quasi sempre correttamente rivisiti in corsa nei casi in cui ciò era auspicabile, buona l'affluenza e ben organizzato il tutto senza perdite di tempo fastidiose o lunghi avvicendamenti; un plauso all'attitudine di tutti i gruppi che hanno saputo regalarsi senza atteggiamenti, dimostrando qual è il lato positivo dei live.
Mini commento personale sull'ora d'inizio: a mio avviso l'apertura alle 19.00 è stata un'idea valida nelle intenzioni ma controproducente per le band minori, che non hanno potuto godere efficacemente dell'effetto traino che i grossi nomi hanno sugli show. Forse le ore 20.00 sarebbero state più adatte?
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Fire Trails + Guilty Method + Guado @ Motion di Zingonia (BG)
22 Gennaio 2005
GUADO
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http://www.imagolive.com) per la gentile concessione delle foto. (Cliccare sulle immagini per ingrandirle)
Thunderstorm + Lunae @ Inkubo Café di Milano
13 Gennaio 2005
LUNAE
THUNDERSTORM
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[post_content] => A distanza di sei mesi dall'ultima esibizione al Sitting Bull/Defender di Certosa di Pavia, i milanesi Progeny, tributo ai Dream Theater, si sono ripresentati sabato 8 gennaio 2005, esibendo una scaletta veramente valida e proponendo alcuni dei pezzi che hanno reso celebre il gruppo progressive americano. Ma i Progeny sono più di un semplice tributo: nella serata hanno divertito e entusiasmato il pubblico, purtroppo non molto numeroso, mostrando una tecnica e una padronanza degli strumenti degna del five-piece statunitense.
Il quintetto lombardo ha recentemente inviato una demo autoprodotta agli stessi Dream Theater, per partecipare al contest con cui La Brie e compagni nomineranno la band-tributo ufficiale nel mondo…e i Progeny hanno tutte le qualità necessarie per vincere il torneo.
Le canzoni regalate al pubblico ripercorrono quasi ogni passo della carriera dei Dream Theater, a partire dal secondo splendido full-lenght “Images & Words” (1992) fino a culminare nell'ultimo “Train of Thought” (2003); capeggiati da Fab DeVille, il “La Brie” della serata e vero intermediario con gli spettatori, i Progeny aprono il live con la potenza e l'aggressività di “As I Am” (“Train of Thought”), contrapponendo fedelmente i passaggi violenti a quelli più calmi: il brano non è uno dei più difficoltosi, ma riesce a coinvolgere da subito i presenti nel locale.
Lo show continua con “The Mirror”, tratto da Awake (1994), dove si distinguono gli ottimi riffs di chitarra e di tastiera, che creano una barriera di suono impenetrabile, ma che al tempo stesso permettono a ciascun strumento di emergere sugli altri. Le grandi doti di ogni singolo musicista affiorano nelle successive tre canzoni, tutte provenienti da quell'album che tanto ha appassionato la maggior parte dei progressivi degli anni '90, “Images & Words”: ecco quindi un vortice trascinante e complesso nelle sonorità con “Pull Me Under”, “Take the Time” e “Surrounded”, vere perle della serata, eseguite con precisione ed efficacia; nessun errore infatti da parte dei milanesi, che si dimostrano padroni della piccola folla di amanti del genere raccolti davanti al palco.
“Beyond this Life” rappresenta un nuovo salto cronologico nella discografia dei Dream Theater: le sonorità cupe e tenebrose di “Scenes from a Memory” (1999) si uniscono alla virtuosa tastiera e alla batteria ritmata, che garantiscono la buona riuscita del brano, prima della svolta melodica e piacevole portata da “Innocence Faded”, difficile per le parti di cantato espressivo e acuto, e dalla strumentale “Erotomania”, chiamata a gran voce dagli spettatori, sempre maggiormente coinvolti dai cambiamenti dei tempi dispari affrontati con sicurezza dai Progeny.
Immancabile è la ballata “Hollow Years”, la canzone migliore di “Falling Into Infinity” (1997), il full-lenght che non ha convinto troppi fans ma che racchiude idee musicali notevoli e non sufficientemente ampliate: il momento dell'assolo è realmente toccante e la chitarra di Marco Santaniello accompagna ottimamente la dolce voce di Fab per tutti i sei minuti di lunghezza.
Dopo questa si susseguono senza sosta “Under a Glass Moon”, “Wait for Sleep”, eseguita con maestria dal tastierista Nicola Leonesio, e la lunga “Learning to Live”, tracce conclusive di “Images & Words”; lo stacco commuovente e riflessivo è affidato a “The Spirit Carries On”, che nei sette minuti di durata combina la leggerezza dei temi di pianoforte sia con la calda voce sia con l'assolo sognante centrale di chitarra, trasformando il Sitting Bull in un piccolo teatro buio, illuminato solamente dagli accendini degli spettatori emozionati.
E per concludere la serata i Progeny non si accontentano di aver fatto trascorrere due ore piacevoli e gradevoli ai fans dei Dream Theater accorsi non solo dalla provincia pavese, ma preferiscono chiudere in bellezza suonando uno dei due pezzi mancanti proprio da “Images & Words”: ecco la celebre e contorta “Metropolis Pt II” in cui si distinguono i talenti del virtuoso bassista Luca Barducco e del sempre puntuale batterista Luca Arosio.
Personalmente i Dream Theater mi hanno entusiasmato in passato, ma in questi ultimi anni il mio interesse nei confronti della loro musica è sempre andato in calando…però devo riconoscere che i Progeny hanno contribuito fortemente a farmi accostare nuovamente ad alcuni loro album di eccellente fattura. In conclusione una serata unica e irripetibile che resta impressa nella memoria dei presenti per aver ammirato musicisti realmente dotati: i cinque di Milano hanno regalato due ore di esibizione di sano progressive, genere ancor vivo nei cuori dei fans settantiani che vedono nei Dream Theater e nei Progeny i moderni portatori dell'evoluzione del famoso stile rock.
Edoardo “Opeth” Baldini
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The Clairvoyants + Gli Atroci @ Live Club di Trezzo (MI)
07 Gennaio 2005
THE CLAIRVOYANTS
GLI ATROCI
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Intervistare Peavy proprio durante il tour che celebra i 20 anni dei Rage è una ghiotta occasione per andare a scavare nel passato e nel futuro del gruppo, un occasione che ovviamente non potevo lasciarmi sfuggire.
il leader storico dei Rage è una persona molto tranquilla e disponibile, che sembra quasi imbarazzato quando gli si fa notare che i Rage sono un gruppo storico dell'Heavy Metal, ma è anche convinto della bontà della sua musica, ecco quello che mi ha raccontato.(Matteo Lavazza) 20 anni di Rage Peavy, cosa provi quando pensi che è passato così tanto tempo?
(Peavy) Di solito non mi fermo a pensare a quanto tempo è passato dagli inizi, però in effetti 20 anni sono tanti, in pratica quasi tutta la mia vita. Quando ci penso comunque mi vengono in mente molti ricordi, momenti belli e brutti che ho passato con questo gruppo. In definitiva direi comunque che la prima cosa che penso quando guardo ai Rage è che la band è la mia storia, la mia vita!
(M.L.) Recensendo il vostro nuovo Live album ho scritto che uno dei punti di forza è che, almeno apparentemente, è un disco senza sovraincisioni in studio, mi confermi che è effettivamente così?
(Paevy) Sì, posso dirti che in studio abbiamo rimesso a posto solo qualcosa a livello di suoini, ma nessun overdubs, anche perché direi che come gruppo dal vivo non facciamo errori troppo marcati, certo qualche sbavatura c'è anche sul disco, ma in fondo questo album serve proprio per far capire quello che possono dare i Rage in sede live, quindi non avrebbe avuto molto senso reincidere tutto in studio. Ovviamente a livello di sound qualche ritocco c'è stato, ma solo per offrire la miglior qualità audio possibile.
(M.L.) Classificare la musica dei Rage non è mai stato semplice, c'è chi parla di Power, chi di Metal classico, chi addirittura di Thrash Melodico….tu come definiresti la vostra musica?
(Peavy) Io non la classifico e basta, è la musica dei Rage!
(M.L.) Ma non credi che questa difficoltà a rientrare in certi canoni vi abbia in qualche modo impedito di avere un successo ancora maggiore rispetto a quello che avete ottenuto finora?
(Peavy) Non saprei, però può essere. Sai la gente ha continuamente bisogno di trovare dei paragoni con altri, e quando non ne trova è quasi in difficoltà, sembra quasi che molti facciano fatica ad accettare un gruppo con un proprio sound, magari non facilmente inquadrabile. Però ti posso anche dire che io sono felicissimo del livello che hanno raggiunto i Rage nel corso degli anni, sia a livello di popolarità che, soprattutto, a livello artistico.
(M.L.) Se ti capitasse di incontrare un ragazzo che non conosce il tuo gruppo, e ti chiedesse una canzone per capire la musica dei Rage, tu quale gli consiglieresti?
(Peavy) Oh my god….questa è una domanda difficile…..Non saprei, non credo ci sia una canzone che racchiude tutto quello che i Rage hanno da offrire a livello musicale. Comunque se proprio devo scegliere direi un pezzo tipo “Don't Fear the Winter”, o comunque uno dei nostri classici.
(M.L.) Nel corso degli anni i Rage hanno cambiato parecchi musicisti, credi che questa sia la line up definitiva? Sinceramente credo che sia la migliore che avete mai avuto
(Peavy) Sì anche secondo me è la migliore di sempre, sia a livello tecnico che a livello umano.
Credo che i cambi di line up siano quasi fisiologici per una band, si passano mesi interi vedendo sempre e solo le stesse persone, quindi a volte nascono dei problemi. Anche a livello artistico ogni tanto qualche cambiamento fa bene, porta entusiasmo ed idee nuove all'interno del gruppo. Poi è ovvio che si spera sempre che una line up possa durare all'infinito, però purtroppo non sempre è possibile.
Adesso con Viktor e Mike va tutto benissimo, e sinceramente credo che insieme potremmo durare a lungo, molto a lungo.
(M.L.) Secondo te il fatto che arriviate tutti e tre da paesi diversi (Terrana dal U.S.A., Smolsky dalla Russia e Peavy dalla Germania, ndr) è un vantaggio per la band o potrebbe causare dei problemi?
(Peavy) Beh credo che per tutti e tre le basi, almeno a livello di Heavy Metal, siano le stesse, però ognuno di noi ha un background musicale decisamente differente, e questo per i Rage è solo un vantaggio, visto che la nostra musica ne esce arricchita di nuove sfumature. Anche a livello umano le nostre differenze sono un vantaggio, ognuno di noi ha la possibilità di imparare qualcosa di nuovo, un diverso punto di vista, dagli altri.
(M.L) Avete già iniziato a preparare qualcosa in vista di un nuovo studio album?
(Peavy) Abbiamo già dei pezzi pronti. Il prossimo disco dovrebbe uscire nel 2005, è ti posso già dire che sarà sulla falsariga di “Lingua Mortis”, ma in versione ancora più Heavy.
Per ora comunque non c'è ancora nulla di definito, diciamo che siamo ancora lavorando sulle basi, e dobbiamo ancora comporre qualche pezzo prima di inziare le sessioni di registrazione. Poi si dovrà lavorare sulle idee di ognuno di noi e cercare di farle combaciare, quindi siamo solo all'inizio del processo vero e proprio, l'unica cosa certa è che il disco uscirà nel 2005.
(M.L.) Com'è cambiata secondo te la scena Metal in questi tuoi vent'anni di carriera?
(Peavy) A livello musicale le cose sono cambiate parecchio, adesso è molto più semplice riuscire ad avere un contratto, ma è anche più difficile resistere nel tempo. Poi sai, quando si ripensa al passato si ricordano solo le cose belle, quindi sembra che all'epoca tutto fosse perfetto, ma in realtà non è così, c'era molta poca professionalità nell'ambiente di tanti anni fa, anche se forse c'era più entusiasmo.
Io credo che per ogni periodo ci siano i vantaggi e gli svantaggi.
(M.L.) A metà anni 90, quando sembrava che il Metal nella sua forma più classica dovesse sparire, non hai mai pensato di cambiare lo stile dei Rage, magari per vendere qualche disco in più, o comunque anche solo per riuscire a sopravvivere all'ondata Grunge o a quella Alternative?
(Peavy) Tutto dipende dal motivo che ti ha spinto a fare musica. Il motivo che h spinto me a cercare di intraprendere questa carriera è stata la passione, quindi non ho mai badato più di tanto a quanti dischi vendo, anche se non nego che l'aspetto commerciale abbia il suo peso, dopotutto questo è il mio lavoro, ma di sicuro l'idea di mettermi a seguire qualche trend, solo per guadagnare di più, non mi ha mai nemmeno sfiorato, onestamente non ho mai pensato a fare una cosa del genere. I Rage sono un gruppo nato per durare nel tempo, e solo l'onestà,prima di tutto con se stessi può permetterti di durare. La gente non è stupida, e si accorge se la stai prendendo in giro, in più noi abbiamo sempre avuto una buona base di fans, gente che ci apprezza per quello che facciamo e che conosce la band. Per me il Metal non è una religione, al massimo è un ideologia, in cui ci sono dei valori in cui mi ritrovo, e proprio per questo non ho mai pensato di abbondare la mia strada, fermo restando che i Rage non si pongono limiti a livello musicale, semplicemente fanno quello che vogliono e che si sentono.
(M.L.) Molti gruppi si lamentano del fatto che andare in tour a volte è troppo stressante, tu dopo 20 anni di carriera hai ancora voglia di partire per l'ennesima tournee?
(Peavy) Questa è la mia vita! Credo che non riuscirei a vivere senza certe cose!
Certo a volte è stressante andare in tour per mesi, lontano da casa, dalla famiglia, però è quello che amo, quello che ho sempre voluto fare, quindi credo che lamentarsi per certi inconvenienti sia davvero troppo (ride, ndr)
(M.L.) Come nasce una canzone dei Rage? Avete un modo di lavorare standard in fase compositiva?
(Peavy) Non abbiamo un modo predefinito per comporre una canzone. Ognuno propone le sue idee, i suoi riff, gli abbozzi di canzone, poi ci lavoriamo tutti assieme, ma non abbiamo una specie di ordine predefinito per costruire una canzone, semplicemente proviamo tutte le soluzioni che ci vengono in mente partendo da un idea di base, finchè non arriviamo ad una versione definitiva che piace a tutti e tre.
(M.L.) Una delle cose che mi ha sempre colpito di te è che quando sei su un palco, e la gente canta le tue canzoni, ti incita, tu sembri sinceramente emozionato, è realmente così?
(Paeavy) Beh sì….(anche qui è decisamente imbarazzato, ndr)
Sai è sempre molto bello vedere la gente che apprezza davvero quello che fai, che partecipa al concerto, che in qualche modo fa sua la tua musica. Lo considero un segno che faccio bene il mio lavoro, che è anche la mia passione, la mia vita, quindi quando mi accorgo che la gente apprezza l'onestà con cui faccio musica per me è sempre emozionante.
(M.L.) Visto che il tempo a mia disposizione è finito (e Mike terrana, che oltre a suonare la batteria nei Rage è anche il tour manager me lo ha fatto gentilmente ma fermamente notare, ndr) ti lascio concludere questa piacevole chiacchierata come vuoi!
(Peavy) Voglio ringraziare tutti i nostri fans in Italia, il loro supporto è sempre stato molto importante, e spero che lo sarà anche in futuro, noi faremo il massimo per poter dare ai fans la miglior musica possibile. Rage On!
In chiusura di questa intervista, con un gentilissimo e disponibile Peavy vorrei parlare brevemente del concerto svoltosi a Trezzo d'Adda, al Live music Club, il 26 novembre dello scorso anno.
La serata è stata aperta, mentre ancora il pubblico entrava nel locale, dai bolognesi Rain, che hanno scaricato sull'audience tutta la loro incredibile carica, fatta di un Metal melodico ed allo stesso tempo irruente. Divertenti e coinvolgenti come al solito.
Sui Deadsoul tribe mi trovo in difficoltà, visto che prima di questa serata non avevo mai sentito nulla di loro. La musica che la band ha proposto è una sorta di stranissimo mix tra Kyuss e Black Sabbath, il tutto condito da più di uno spunto prog. Sinceramente, anche se a livello personale posso dire che non mi hanno per niente entusiasmato, penso che non sia giusto da parte esprime su di loro un giudizio, visto la mia carente conoscenza della loro musica, e visto anche che il genere proposto non rientra nelle mie preferenze abituali.
Arriva quindi il momento che tutti i presenti aspettano, sulle note di “orgy of Destruction” fanno il loro ingresso sul palco gli headliner della serata, i Rage!
A sorpresa dopo l'intro del nuovo album la band attacca con la grandiosa “Don't Fear the Winter”, che manda in visibilio i fans presenti. La scaletta è ovviamente incentrata sui grandi classici del gruppo, e il pubblico sembra decisamente gradire questa scelta.
A mio parere i momenti clou della serata hanno coinciso con “From the Cradle to the Grave”, riproposta in versione meno orchestrale e più aggressiva, ed a mio parere migliore della versione in studio, la spettacolosa “Set this World on Fire”, la splendida “Sent by the Devil, davvero massiccia e cupa, pur senza mai perdere di vista la parte melodica, e soprattutto la conclusiva “Higher than the Sky”, tanto ruffiana quanto coinvolgente dal vivo, con tutto il pubblico impegnato a cantare a squarciagola.
Una nota a parte lo merita l'assolo di batteria di Mike Terrana, che oltre a mettere in mostra la solita potenza devastante e la tecnica incredibile di cui è dotato, riesce anche a divertire i fans facendo il giocoliere con le bacchette e cantando un pezzo di Frank Sinistra!
In definitiva posso dire che i Rage dal vivo sono un gruppo davvero esaltante, tecnicamente bravissimi, soprattutto il duo Terrana-Smolsky, coinvolgenti e potenti, insomma ancora una volta i Rage dal vivo non hanno assolutamente deluso! Rage On!
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Evento: Cadaveria + p f h
Report: Giorgio Vicentini
Foto: Veronica Mariani
Location: La Gabbia Music Club – Bassano del Grappa - Vicenza
Serata strana quella che ho passato alla Gabbia Music Club di Bassano del Grappa, non tanto per i gruppi sul palco, ma per una variabile banale ma capace di falsare entrambe le prestazioni: il pubblico “non pervenuto”. Il menù dell'incontro prevede due pietanze denominate p f h e Cadaveria, la seconda a me nota da tempo, l'altra tutta da scoprire grazie all'occasione che mi si presenta.
Purtroppo per i padovani, nemmeno la tipica attesa tattica del locale riesce ad ovviare a quello che sarà il must della serata (il non pubblico) e giunge inequivocabilmente il loro momento per salire in scena e cercare di trasmettere emozioni.
Il genere proposto mi lascia da subito perplesso, dandomi l'impressione di voler miscelare varie idee ed influenze di matrice metal, che ho trovato successivamente catalogate come “alternative metal” o “progressive metal”, per offrire un prodotto variegato ed in cerca d'innovazione ma che mi ha colpito più per i singoli elementi sparsi che nell'insieme.
Voce assai convincente del singer Nico nei tratti estremi col suo growl potente e sicuro, molto meno rassicurante la prova nel campo pulito/parlato anche a causa dell'equalizzazione dei suoni non del tutto amica (un leggero problema riscontrabile anche per l'act successivo). Positive le doti tecniche degli altri membri che non escono troppo allo scoperto eseguendo con buona precisione un classico break stoppato o un riff più veloce, uno spezzone più melodico ed uno più rozzo. In scaletta pezzi aggressivi nell'animo più che nel risultato, che cercano spesso di mostrare un grugno ringhioso oltre che spunti più ragionati, ma senza stupire troppo e lasciando l'impressione di essere poco esplosivi. Farebbe ben sperare l'inizio della cover dei The Cure “Lullaby”, che però prosegue in maniera confusa. Una prova sincera, poco accattivante musicalmente e scenicamente per il sottoscritto, ma non credo sia facile per nessuna band che si sta costruendo una strada, suonare di fronte ad una ventina poco più di tiepidi spettatori. Da vedere sicuramente altre volte per capirne veramente lo spessore.
Superato il gruppo spalla, che a prescindere dal risultato riesce a lasciare una sensazione più positiva che negativa, spero che la serata decolli in tutti i sensi con la specialità della casa: Cadaveria.
Il quartetto calca il palco e la minuta singer vi si posiziona al centro. La tracklist prevede vari brani da entrambi gli album pubblicati, prediligendo l'ultimo uscito ma garantendo un buon excursus. Per chi non conoscesse il progetto in questione (non che sia obbligatorio ovviamente), il suo scopo è quello di unire thrash, qualche vaga reminescenza black metal ed alcune atmosfere gotiche sulle ali della una voce femminile graffiante. A suo tempo mi colpì il primo disco solista, mi deluse notevolmente il secondo, ma i brani tratti da quest'ultimo e riproposti in sede live mi hanno soddisfatto più del previsto, lasciandomi una buona sensazione finale ed apparendomi più carichi e convincenti che su disco.
Purtroppo, anche se suonati con perizia e compattezza, i componimenti non mi hanno convinto molto per comunicatività, come privi di quel qualcosa che se da un lato poteva dare un giusto alibi ai giovani p f h, dall'altro risulta più negativo che altro per Cadaveria. Una prestazione senza picchi, che migliora leggermente via-via che la voce della leader si scalda dopo una partenza che definirei “cauta”; senza trasmettere un pathos particolare e facendo scivolare tranquillamente i pezzi sulla pelle dei quattro gatti presenti.
Buoni i suoni, anche se la predominanza delle chitarre sugli altri elementi (già riscontrata nello show d'apertura) ha coperto leggermente la voce, soprattutto nella fattispecie nella quale la cantante non sembrava in una forma smagliante ed un po' statica, oltre che poco energica/energetica. Anche dopo averla vista live, continuo a restare dubbioso riguardo le sue capacità vocali quando si allontana dai lidi estremi, preferendola di gran lunga quando strilla incattivita.
Di solito si dice “meglio pochi ma buoni” e sicuramente i presenti rappresentavano un pubblico selezionato in tutti i sensi, visto che molti cantavano o seguivano col labiale le canzoni, ma questa volta è prevalsa più che mai la componente “pochi” anzi “pochissimi” e che potevano ben poco. Purtroppo, se pubblico e musicisti mancano nello scambio reciproco per un motivo qualunque, rischiano di pestarsi i piedi a vicenda facendo sembrare il concerto come un compitino, svolto con senso del dovere, evitando di strafare e con una partecipazione sul palco moderata ed in linea con l'appuntamento andato tristemente “a buca”. Fortunatamente, senza atteggiamenti fastidiosi ed infastiditi, la cantante si è gentilmente prestata alle foto di rito con gli affezionati, dimostrandosi estremamente professionale e gradevole.
Peccato, ho assistito ad uno show spompato e senza mordente in una serata sfortunata sotto il profilo dell'affluenza malgrado fossimo nel weekend, partita male e che mi ha lasciato poche tracce. L'unica cosa sicura è l'aver visto dal vivo un mio personale mito musicale al femminile, al quale “concedo” delle riserve in attesa di un'occasione più stimolante per tutti quanti.
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Evil Bards + Lifend @ MotorockAS di Mozzate (CO)
18 Marzo 2005
EVIL BARDS
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