Report: 19/11 Dillinger Escape Plan

Di Redazione - 24 Novembre 2004 - 17:30
Report: 19/11 Dillinger Escape Plan

Ogni evento legato al nome dei Dillinger Escape Plan sembra confermare sempre più l’ottima nomea che il gruppo ha costruito nel giro di una manciata di album. La massa di gente che si pigiava nel poco spazio dell’Estragon di Bologna è stata l’ennesima controprova di come il loro nome sia ormai un richiamo che non può lasciare indifferenti. Un richiamo che non è fatto su misura per nessuno, ma che attira hardcorer, grinder, metallari e chissà chi altro. E’ stato un pubblico eterogeneo e molto soddisfatto quello nel quale ero immerso durante l’esibizione degli autori di quello che, fin’ora, è per me l’album del 2004.

Sono arrivato giusto per sentire qualche pezzo dei Poison The Well, perdendomi le performance degli altri gruppi di spalla. In ogni caso preferirei passare direttamente agli headliner, che, dopo un breve cambio di palco, impugnano gli strumenti e aggrediscono il pubblico senza particolari preamboli. Una breve intro e poi lo sconcertante biglietto da visita: “Panasonic Youth“, piccolo gioiello di follia, ottimo per aprire lo show (così come ottimamente aveva aperto Miss Machine).
In tanti conoscono il pezzo, e, come auspicabile, davanti al palco è un delirio di corpi. Piccola pausa a fine canzone, giusto per lasciar sfogare i meritati applausi, e si prosegue nella scaletta con “Sunshine The Werewolf“. Sequencer, dunque cuffie per il batterista (Chris Pennie), che nonostante questo non rinuncia ad affiancare alla precisione del metronomo la complessità e la ricerca dei suoi ritmi. La parte centrale della canzone è perfetta, e sul ritorno del cantato il singer Greg Puciato trova il sostegno di tutto il pubblico.
Il gruppo non si ferma alla nuova release, ma spulcia anche nel vecchio repertorio, proponendo ad esempio “43% Burnt“. Nessun dettaglio viene abbandonato, la canzone è restituita in tutta la sua complessità: ma c’è di più, c’è la carica terrificante che il gruppo sputa fuori assieme alla precisione. In particolare Ben Weinman non manca mai, neanche nei momenti più impensabili, di creare un gran movimento sul palco: è impressionante vedere l’energia con cui durante l’esecuzione si butta da una parte all’altra dello stage, emulando col corpo la frenesia della loro musica.
Eccezionale “Baby’s First Coffin“, di grandissimo impatto come su cd. Peccato che sia la prima canzone nella quale Greg rivela qualche pecca nel cantato. Sui puliti infatti il magnetismo del singer si spegne un po’, e certe volte sembra dover arrancare per tirar fuori le sembianze della prestazione su album. Una faccenda evidente per esempio su “Setting Fire To Sleeping Giants“: la particolarità vocale del brano viene in un primo momento smorzata dalla sua prestazione. Tuttavia il ritornello esplode letteralmente, energico così come tutti ce lo aspettavamo.
Il riscatto arriva definitivamente su “When Good Dogs Do Bad Things“, dove Greg si trova a confrontarsi direttamente con la genialità di Patton: per nulla intimorito, affronta la canzone con grande energia e riesce a riprodurne ottimamente le sfumature. Da ricordare anche il carisma con cui interagisce col pubblico, il modo in cui domina il palco, la passione che dimostra, assieme al resto del gruppo, strizzando le canzoni per tirarne fuori la massima carica possibile.

Unica pecca dello show, l’esclusione di “Unretrofied” dalla scaletta, forse il pezzo più anomalo che abbiano sin’oggi scritto. Con un pizzico di malizia vien da pensare che il brano non sarebbe stato, a livello vocale, all’altezza dell’originale, il che spiegherebbe la sua esclusione. In ogni caso questo è un neo che non incide sul ricordo che serberò di questa stupenda serata.
Se siete soliti pensare ai gruppi divisi in due tipi, statue che regalano prestazioni impeccabili vs animali da palco dall’esecuzione grossolana, vi toccherà aggiungere i terzi esclusi, anzi, i terzi includenti: i Dillinger Escape Plan si sono dimostrati la perfetta unione di passione, tecnica, violenza e carisma. Di più, francamente, non oserei chiedere.