Report: Agglutination Metal Festival 2007

Di Redazione - 18 Agosto 2007 - 18:41
Report: Agglutination Metal Festival 2007

Fotoreport a cura di Luca “NikeBoyZ” Palmieri

Il mio viaggio verso S. Arcangelo e la tredicesima edizione dell’Agglutination Metal Festival comincia verso l’ora di pranzo, e il sole che fa capolino da qualche nuvola solitaria fa intuire che non farà scherzetti come l’anno scorso. All’arrivo scorgo subito svariati gruppetti di metalheads che attendono l’apertura dei botteghini e nel frattempo si gustano il soundcheck delle band che si succederanno sul palco in questo paesino quasi dimenticato da Dio. Al mio orecchio giunge potentissimo il suono della doppia cassa, e non appena una chitarra sprizza fuori le note di una canzone ben conosciuta, scuoto le testa e penso: “Eccolo, Zimmerman… Stasera ci fracasserà i timpani…”
Il sole dà potenti mazzuolate sulle nuche delle quasi cento persone accorse in anticipo, chi si vanta di aver dato una mano a scaricare la strumentazione dei Tankard, chi dice di aver stretto la mano a Pino Scotto… L’atmosfera è elettrica e allo stesso tempo rilassata, tutti sentono che questo è un grande festival e che ci sarà da pogare e cantare dall’inizio alla fine, ma l’ambiente è accogliente e le forze dell’ordine e di sicurezza sono abbondanti (e meticolose, come vi dirò più avanti).

Come da programma, alle 16.15 si apre la vendita dei biglietti, e io mi fiondo dentro sperando che qualche artista di calibro grosso si sia fermato nel backstage. Nota positiva: la sicurezza ha effettuato dei controlli scrupolosi a tutti i partecipanti, controllando tasche e zaini. Ci sono persone a cui questo atteggiamento ha dato fastidio, ma Gerardo non ha voluto rischiare assolutamente nulla, e parer mio, ha fatto benissimo. Ma nonostante questo, la mia speranza di trovare qualche “nome grosso” nel backstage viene subito spenta. Tutti a riposarsi in albergo, e rimangono lì solo i due gruppi di apertura e i romani Kaledon. Colgo l’occasione per scambiare un paio di chiacchiere con loro, e mi fanno subito un’ottima impressione proprio i romani, molto cordiali e disponibili. Nel frattempo il grande (a dispetto della sua altezza) Gerardo sale sul palco, visibilmente emozionato, ed annuncia questa tredicesima edizione del festival, forse quella più gratificante, dato che sul palco in serata saliranno i suoi miti di sempre, i tedeschi Gamma Ray. Faccio appena in tempo ad acciuffare gli Infernal Angels prima che salgano sul palco e a scambiare due parole col cantante Xes, il quale mi racconta brevemente la travagliata storia della black-metal band dal 2002 ai giorni nostri (chi fosse interessato, può visitare il loro myspace myspace.com/infernalangels e il loro sito www.infernalangels.org). La band offre una prestazione senza sbavature, sputando in faccia al pubblico un black metal old-style, di chiara derivazione Dissection, con alcuni inserti acustici; la maggior parte dei pezzi derivano dal loro unico album, “Shining evil light”. Il tempo passa senza annoiarsi.
Notizia inaspettata: fin dalla prima canzone l’impianto sonoro sembra davvero perfetto, suoni chiari e cristallini, bassi potenti e ficcanti, batteria alle stelle e voci udibilissime. Non so, è indubbiamente difficile trovare al giorno d’oggi un fonico che sappia missare bene gli strumenti fin dalle prime note. Complimenti a lui!

Tornando alle performances, non appena gli Infernal Angels terminano il loro concerto, salgono subito i pugliesi Golem, ed iniziano immediatamente a tempestare il pubblico (tra cui un discreto gruppo di fan proprio per loro) con un death metal molto veloce e tecnico, con inaspettati inserti melodici ed assoli con un sapore spiccatamente maideniano; gli stessi Golem, che ho raggiunto al termine della esibizione, hanno confermato di divertirsi a mescolare sonorità violente a momenti più delicati e soft. Chi volesse approfondire il discorso su questi giovani, può raggiungerli su www.golemneverdies.it.

E dopo questa scarica di metallo estremo, è il turno di qualcosa di più melodico… Ed infatti salgono sul palco i bistrattatissimi Kaledon. E posso affermare con tranquillità che i suddetti hanno fornito una prova esaltante e superba, impreziosita tra l’altro dall’apporto continuo da parte dei metalheads di cori e incitamenti. Un po’ di difficoltà, in verità, i Kaledon l’hanno avuta verso la metà dell’esibizione, a causa di problemi con gli amplificatori-spie sul palco, peraltro ben mascherata dalla loro bravura e professionalità (infatti non m’ero accorto di questo problema, son stati proprio i romani a raccontarmi questo inconveniente, forse l’unico neo di una giornata praticamente perfetta per i tecnici del suono). I Kaledon hanno sfornato un power pomposo, velocissimo e atmosferico, in alcuni passaggi forse un po’ scontato, ma di sicuro impatto. A seguire, vi è stata una pausa prima dei Dark Lunacy, così ho avuto modo di approfondire il discorso con questi ragazzi, che mi hanno confermato l’uscita schedulata per fine marzo 2008 del loro quinto album, che sarà, a detta loro, molto più hard rock e progressivo rispetto ai precedenti lavori. Per altre info, www.kaledon.com e myspace.com/kaledonband.

E dopo questa pausa, seppure breve, torna il metal ad alto voltaggio coi parmensi Dark Lunacy. Il campo sportivo di S.Arcangelo comincia a riempirsi, e buona parte dei nuovi arrivati è proprio per loro. La folla li acclama, e loro rispondono con una prestazione molto buona e convincente. Mike in grandissima forma; e nel backstage mi ha confermato l’uscita del nuovo album per la fine del 2008, che vedrà le parti strumentali affidate stavolta ai fiati e non più agli archi, e le cui tracce si svilupperanno su un minutaggio più esteso.

Ancora una pausa, in attesa di Pino Scotto e dei suoi Fire Trails, in cui posso apprezzare la gestione della location: bagni abbastanza capienti, bancarelle musicali circa una decina, ma le buone impressioni le ho quando prendo un bicchiere di mezzo litro di birra, e ripeto, mezzo litro di birra, e lo pago soli tre euro, così come i saporiti panini con salsiccia paesana. E questa politica di prezzi contenuti credo che abbia pagato, vista l’affluenza di persone agli stand. Nota negativa: la maglietta del festival a 15 euro… Un po’ troppo, credo… Ma comunque scende la sera, e sulle note del sosia di Ozzy (nota di cronaca, in risposta a questa somiglianza il buon Pino Scotto risponde con un salace “Io ancora mi scopo tre fighe a notte, a quello lì non gli si alza nemmeno!”) la gente accorre per davvero. Prova maiuscola di Larsen alle tastiere e di Mario alla batteria… Non che il partenopeo dalla lingua biforcuta sia da meno, anzi, i suoi acuti scuotono più volte i cuori dei metalheads nella location. Spettacolo allo stato puro, condito da intermezzi coloriti, come nel suo stile, come ad esempio quando invita a sostenere la musica italiana invece di ingrassare le major estere, oppure da dediche serie e sentite come quella ai compianti Falcone e Borsellino. Dura poco la sua sosta post-concerto nel backstage, e trovo giusto il tempo di stuzzicarlo vedendolo bere dalla bottiglia del Jack Daniel’s: “Ehi Pino, non farai mica come i Guns che mettevano il thè alla pesca nelle bottiglie del Jack?”, e lui, con la voce dolce e suadente che nemmeno Satana in persona, mi fa “Vuoi assaggiare?”.

Ma ecco che vedo sempre più folla avvicinarsi alle transenne munita di grossi bicchieri di birra… Già, il momento dei Tankard si avvicina. E la sagoma del pancione del caro Geremia fa subito capolino! Enormi (nel vero senso della parola), una prestazione che mi ha lasciato di stucco, Geremia in particolare s’è divertito molto ed ha tentato più volte di spiccicare qualche parola in italiano, molto goffamente, come quando ha detto ad una procacissima ragazza dai capelli rosa in prima fila “Ehi, tuh, pella racazza!”. Applausi quando, per l’unica volta, ha fatto la faccia seria, e ha detto “25 years… And we are still alive… Thrash will never die…”. Spassosissimo quando è sceso dal palco ed ha tentato un mezzo stage-diving, fermandosi però alle transenne (per la fortuna dei ragazzi in prima fila!), oppure quando s’è infilato il microfono nelle mutande e poi l’ha sventolato sotto il naso del bassista. E dopo lo show, di filato allo stand della Heineken a rifornirsi di birra!

E nel frattempo cresce l’attesa per l’evento. Già, la gente comincia a tirar su gli striscioni, i primi cori si levano dalla sinistra. Tutto è pronto. E il putiferio si scatena sulle prime note dell’immancabile “Welcome”…
I Gamma Ray sono in forma straordinaria, si vede, e nemmeno il numero non molto consistente di partecipanti all’Agglutination li demoralizza, anzi, li rende ancora più allegri, Kai in particolare. “Gardens of the sinner” scivola via subito, e purtroppo la disgrazia sembra abbattersi su una giornata che si stava svolgendo in modo impeccabile; la chitarra di Kai (e, come si vedrà successivamente, la testata dell’amplificatore) fa le bizze, e i tedeschi devono passare di nuovo gli strumenti nelle mani di Piesel e soci, ed aspettare… La folla rumoreggia, e ci pensa Gerardo a calmare gli animi e, con la grandissima umiltà che lo contraddistingue, a ringraziare i presenti per il comportamento ineccepibile e il supporto continuo a questo che è rimasto l’unico festival metal del Sud degno di questo nome. La situazione nel frattempo torna alla normalità, ma Kai è costretto a lasciare la ESP V-Flying rossa dietro le quinte. “New world order”, “Man on a mission”, “Fight” e “Blood religion” dall’ultimo album, tutte cantata a squarciagola dai fans accalcati dietro le transenne. Solita scenetta su “Heavy metal universe”, con Dirk che non si mostra convinto della nostra prestazione sul coretto usuale, fin quando Kai non ci spinge ad urlare come dannati. E poi, lui stesso ci invita a cantare una stupenda versione acustica di “Fairytale”, che introduce la sempre magica “The silente”. Le prestazioni vocali di Kai son migliorate tantissimo, ed anche noi, immersi in quella terra di nessuno che è S.Arcangelo, lo abbiamo potuto constatare; dei piccoli sbalzi solo sulla iniziale “Gardens of the sinner”, ma una volta riscaldata l’ugola, non c’è stato più nessuno a tenerlo. Ed, anzi, superba prova anche sul solito trittico delle meraviglie “Ride the sky / Future World / I want out”. Piccola pausa, e le nostre richieste di “Rebellion” vengono esaudite prontamente: “Rebellion in dreamland”. E per continuare sulla scia, “Land of the free”. Ormai è mezzanotte, la polizia incombe, e Kai sulle ultime note si dilegua con un misero “Bye, guys!”. Esterrefatti, rimaniamo con la bocca aperta fin quando i Rayz non rifanno capolino sorridenti, pronti a regalarci le ultime perle di questo concerto. “Valley of the kings” ci fa riprendere dal momento di sbandamento, e a seguire una memorabile esecuzione di “Somewhere out in space”. A noi tocca cantare il ritornello, e il terreno trema sotto i nostri cori; Kai se ne compiace, e decide di continuare la canzone ad oltranza… Sarà durata un quarto d’ora, un quarto d’ora da infarto, da visibilio, da commozione. Ma ancora non eravamo paghi. Avevamo ancora un briciolo di forza, uno spiffero di corda vocale ancora sano, e non volevamo risparmiarlo. E i Rayz ci accontentano… “Send me a sign”, e alla fine, siparietto con Henjo a concludere un concerto stellare, una manifestazione da applausi, e una giornata da ricordare.



Premiazioni varie alla fine, e concludo questo report con una immagine, che voglio che rimanga ben impressa a chi ha avuto il coraggio e la pazienza di leggere fino in fondo questo resoconto. In tempi in cui i festival metal al Sud sono organizzati col contagocce, in periodi in cui il Sud viene criticato per la follia di qualche coglione che scappa via coi soldi (ogni riferimento è puramente voluto!), ci voleva questo Agglutination, che anche se ha contato poco più di settecento paganti e circa mille persone in totale, ha dato una dimostrazione chiara e tangibile che gli uomini, anche se piccoli di statura, possono fare grandi cose. E l’immagine di cui parlavo prima è questa: Kai Hansen, che riceve sul palco i complimenti di Gerardo, si inchina di fronte a lui, lo abbraccia, e ci dice: “Trust in this man…”