Report: Anthrax (28-29/04/2006 – Milano e Reggio Emilia)

Di Redazione - 4 Maggio 2006 - 21:52
Report: Anthrax (28-29/04/2006 – Milano e Reggio Emilia)

Dopo la reunion, dopo il Gods of Metal, dopo la data di luglio… gli Anthrax, quelli veri, tornano in Italia. Risultato? NICE. FUCKIN’. LIFE.

Live Music Club, Trezzo d’Adda (Milano) – 28 aprile 2006

In previsione del lungo weekend che si avvicina e dell’oscenità di traffico che si profila sulla tangenziale di Milano, decido di mettermi in movimento nel primo pomeriggio, con la mia vecchia Opel Ascona, la “rock car” mia fedele compagna di tanti viaggi e di tanti concerti: in tal modo riesco a limitare i danni, sorbendomi qualche coda peraltro sopportabile, ma arrivando al Live in tempo per assistere al sound check della band di supporto. Con piacere rivedo i miei amici della Niji Management, alle prese con le ultime date di questo lungo Tour europeo. I ragazzi stanno già pensando all’organizzazione dell’imminente Dio Tour europeo, ma questo è un altro discorso e non vorrei andare subito fuori tema!
Ogni tanto, nell’attesa, dall’alto di una scala esterna di emergenza do un’occhiata fuori e vedo arrivare, a frotte, metal trashers in tenuta nera di ordinanza che affollano la zona antistante alla cassa, mentre il cielo diventa scuro e minaccioso. Verso le 21.30 il locale è già quasi completamente gremito. Verso le 22.00 fa il suo ingresso la prima band della serata, ovvero Beyond Fear; ecco la line-up:

– TIM RIPPER OWENS voice
– JOHN COMPRIX lead guitar
– DWANE BIHARY  rhythm guitar
– DENNIS HAYES  bass
– ERIC ELKINS drums

L’eroe del momento è lui, T.Ripper! I più maligni fra i lettori non leggano “tripper” insinuando, così, che il mio sia un modo subdolo per sottolineare la “forma” fisica di Owens! Va detto che, a un aspetto sinceramente un po’ appesantito, fa riscontro l’ottima forma delle sue corde vocali, senza dubbio in gran spolvero, come peraltro ebbi già modo di notare durante le prove.
Tim canta proprio alla grande, non c’è che dire, conducendo i suoi compagni durante un’ora scarsa di metal tosto, a ritmo alquanto sostenuto, con le sue tipiche movenze che lasciano intendere una quantità enorme di energia che pare esplodere da un momento all’altro. Benché i suoni non siano una meraviglia, risultando anzi piuttosto “impastati” (chissà come mai questo fenomeno è così ricorrente: mistero!), la band offre una prestazione di ottimo livello, con note di merito per il drummer (preciso e velocissimo) e per John Comprix, chitarrista dalla buona tecnica, il quale (ma non c’entra nulla con la musica) nell’aspetto mi ricorda il fratello minore di Alexis Lalas, primo giocatore di calcio americano importato in Italia (che, guarda caso, suonava pure lui la chitarra). C’è un gruppetto di fans, proprio davanti a me. Uno di loro si gira e, forse perché mi aveva visto in precedenza parlare con il tour manager, mi chiede: “Ripper is English or American?”. Rispondo: “He is American” e poi mi domando per quale motivo io stia parlando in inglese con altri italiani. Mah!?
Osservo Ripper e non posso fare a meno di pensare, istintivamente, alla sua particolare (e per molti versi assolutamente invidiabile) storia, che lo portò – da sconosciuto cantante di una tribute band – ad assurgere a famoso vocalist dei suoi idoli (Judas Priest, a beneficio di quei pochi che non lo sapessero) e che per questo motivo ha ispirato lo straordinario film “Rock Star”. Il repertorio che ci viene proposto abbraccia un periodo di tempo che riguarda, appunto, i Judas’ e poi gli americani Iced Earth (ricordiamo il buonissimo album “The Glorious Burden”, grondante sangue e metallo, gloria e onore, nel rispetto della più rigida tradizione power), per finire con quest’ultimo suo progetto, Beyond Fear, il cui esordio avvenne nel 2005 in occasione del Monterrey Metal Fest, in Messico. Mi viene a questo punto un’idea: perché non organizzare un “Fear Festival” con la partecipazione di: Primal Fear, Fear Factory, Raising Fear e Beyond Fear? A parte questa battutaccia (sarà la stanchezza che ormai comincia a farsi sentire…), fra le canzoni cito, a memoria, BURN IN HELL, ONE ON ONE, RED BARON e SCREAM MACHINE. In definitiva, direi che la performance è nel complesso ottima, suggellata dall’intensa partecipazione di un pubblico tanto giovane quanto preparato!

È il momento di rifocillarsi con una birra: la zona del bancone sembra l’ufficio postale vicino a casa mia a fine mese, regolarmente preso d’assalto dai pensionati come Fort Alamo! A proposito di pensionati: guardandomi attorno devo ancora una volta prendere atto, purtroppo, del fatto che sono sempre il più vecchio in mezzo a questa folla di metallari; un giorno o l’altro incontrerò mia figlia ad un concerto: spero solo di non trovarla in compagnia di qualche derelitto!
Sono quasi le 23.00 e i preparativi sul palco sono terminati: ecco le note dei BLUES BROTHERS, che fanno da intro a quei burloni degli Anthrax, i quali arrivano uno a uno accompagnati, ciascuno, da un’ovazione.

– JOEY BELLADONNA voice
– DAN SPITZ lead guitar
– SCOTT IAN  rhythm guitar
– FRANK BELLO  bass
– CHARLIE BENANTE drums

Mi avvicino, facendomi largo tra la folla già scatenata ai massimi livelli: miracolosamente riesco ad arrivare fino alle transenne del lato sinistro del palco, senza riportare danni fisici a causa del pogo scatenato messo in pista da qualche centinaio di esagitati. I nostri eroi sono in forma smagliante e sprizzano energia da tutti i pori, specie il frontman, che agita la chioma corvina ammiccando come di consueto ed interagendo con le prime file, mostrando tutto il repertorio delle sue classiche espressioni cartoonesche.
Do uno sguardo panoramico e noto una partecipazione pazzesca e totale: durante AMONG THE LIVING e poi GOT THE TIME, ma soprattutto durante l’esecuzione di vecchi successi del passato quali METAL THRASHING MAD e ANTISOCIAL, ciascuno scatena i propri istinti ancestrali e mi rendo conto che la musica degli Anthrax è proprio la molla giusta per tirare fuori questa sorta di energia primordiale. La band propone con grande mestiere, una dopo l’altro, i momenti più significativi di una lunghissima e gloriosa carriera: AIR, NFL, CAUGHT IN A MOSH, DEATHRIDER, e ancora (cito a memoria) I AM THE LAW, e poi la storica BE ALL, END ALL, per il puro godimento degli aficionados. Tra i pogatori osservo un esemplare di metallaro un po’ datato, brevilineo e tarchiato, dall’età apparente di 35/40 anni, con occhiali spessi e pelatina tipica da impiegato del catasto: indossa un giubbotto di jeans molto vissuto e completamente borchiato, bracciali di cuoio rigorosamente borchiati che contrastano con i suoi lineamenti così poco metal. Col suo viso imperlato di sudore e gli occhiali appannati, salta e si dimena come un ossesso in preda al classico delirio da concerto. Ad un certo punto Belladonna, dopo essersi asciugato il sudore per l’ennesima volta, lancia l’asciugamani verso di me; istintivamente mi scanso, mentre il metal-impiegato ed altri tre assatanati si lanciano sulla preda come squali affamati. Ciascuno di loro tira a due mani il cimelio verso di sé e il gruppetto ondeggia in ogni direzione: un pogo nel pogo, un microcosmo nel macrocosmo! Nessuno intende cedere e nessuno molla la presa: never surrender! – direbbero i Saxon. Decido di disinteressarmi dello show sul palco, per assistere a questa lotta fra predatori degna del National Geographic Channel. Il tira e molla dura la bellezza di dieci minuti, fino a quando il pelato occhialuto (evidentemente l’individuo più evoluto del branco) estrae un temperino e lacera l’asciugamano, accontentando così ogni componente del quartetto, che può finalmente esibire con orgoglio l’anelato trofeo ai propri simili, suscitando in loro sentimenti di pura invidia.
Terminato questo delizioso siparietto, riprendo a occuparmi del concerto e faccio alcune riflessioni sui componenti di questa immarcescibile band. Charlie è tanto regolare e preciso, quanto pesante e massiccio nel suo drumming incessante. Scott è una vera macchina da guerra, tanto da essersi guadagnato degnamente la fama di migliore chitarra ritmica del metal. Frankie si distingue per la sua energia inesauribile e per un suono di basso molto presente, direi “secco”, essenzialmente metal, che ha pochi eguali al mondo. Danny è certo poco appariscente, ma tremendamente incisivo nel suo apporto: i movimenti lenti del capo, gli sguardi penetranti hanno un qualcosa di ieratico. Joey, infine, è un istrione irriducibile, molto tamarro nei suoi atteggiamenti, ma di immediata presa emotiva e di enorme simpatia. Per tutta la durata del concerto il pentolone della folla non ha mai cessato di ribollire di pogo; gli episodi di “people surfing”, poi, si sono succeduti con regolare costanza, per la gioia degli addetti alla sicurezza. Una nota di demerito va alla security, che nell’occasione non è stata in grado impedire l’irruzione di uno scalmanato che è riuscito a salire sul palco per abbracciare l’esterrefatto Joey!

La conclusione dello show si traduce in un meritato trionfo per i cinque protagonisti di questa serata. Ho la schiena a pezzi e avrei bisogno di un bel massaggio, ma ho anche un appuntamento da non perdere: l’after-show. Ho subito l’occasione di fare i complimenti a Joey per la sua “conquista” sul palco, ben conoscendo i suoi gusti di tutt’altro tipo e scatenando, così, la sua ilarità. Ci scambiamo poi qualche considerazione sulla serata e sul successo della band: l’inossidabile voce della band, che indossa una maglietta nera con il numero 8 ed il cognome stampato sul retro, ostenta una buona forma fisica e saltella come un grillo, più dinamico che mai. Scherziamo sul fatto che – a causa del tempo infelice – non abbiamo avuto la possibilità di stare spaparanzati al sole, come l’anno scorso in Grecia, in occasione del Rockwave Festival. A parte le battute, Joey si dichiara molto soddisfatto di questo tour che volge ormai al termine: tanta gente e tanto entusiasmo dovunque, insomma è indubbio che gli Anthrax stiano attraversando un ottimo momento.

Con grande piacere riabbraccio Dan Spitz, in camicia bianca, completamente rilassato dopo uno show che l’ha soddisfatto. Anch’egli si dice contento dell’andamento generale della tournée, la quale avrà una sua logica continuazione negli States. Dopo di che ci sarà un meritato periodo di riposo per tutti. Magari sarà l’occasione per tornare in Italia, visto che Danny è un fan del nostro Paese. Di seguito una breve intervista molto informale con l’ascia degli Anthrax:

Allora, Dan, come hai trovato il Duomo?
Magnifico, come sempre. E’ la terza volta che lo vedo, ma non mi stancherei mai di ammirare il Duomo, con quella fantastica architettura.
L’hai ammirato così tanto, che hai perso addirittura il treno per tornare al locale?
Ah ah! Guarda: io, Tim e gli altri (Beyond Fear, ndr) stavamo prendendo il treno, quando si sono chiuse le porte e così non siamo riusciti a salire a bordo. E dopo le 18.00 non ci sarebbero più stati altri treni, a causa dello sciopero, per cui abbiamo dovuto chiamare qualcuno per venire a prelevarci.
Allora: ho visto che siete tutti in grande forma. Toglimi una curiosità: quando non siete in tour, quante prove fate alla settimana?
Prove? Mah… forse una. Non servono tante prove… Vedi, ormai abbiamo un affiatamento tale e, soprattutto, la musica nel sangue. Il che ci permette di trovarci, anche dopo molto tempo, e di suonare come se fossimo stati in sala prove la sera prima!
Davvero, in un certo senso ti capisco. Quando a Londra Doug Aldrich mi ha rivelato che, per prepararsi alla parte finale del tour con Ronnie James Dio, ha avuto soltanto una settimana di tempo, sono rimasto a bocca aperta.
Infatti. Siamo gente con la musica nel sangue, eh eh! Quello che conta è la mano destra!
La mano destra? Pensavo la sinistra… A proposito di mani, come va la tua attività di orologiaio?
Bene, grazie. I miei laboratori (uno a New York, l’altro a Las Vegas, ndr) funzionano alla grande e la mia passione continua; come sai, fin da giovanissimo avevo la mania di aggiustare orologi e, quando ne ho avuto la possibilità, mi sono preso quel prestigioso diploma in Svizzera e mi sono buttato in questa attività che mi ha dato e mi dà un sacco di soddisfazione!
Ma come fai a trovare il tempo di suonare, tra un Rolex e un Panerai?
Il tempo si trova: come ti avevo detto, mi piace molto suonare nei club e quando c’è la possibilità non mi tiro indietro, la cosa mi diverte sempre.
Già. Il puro piacere di suonare. Per te è sempre stato così, giusto?
Esattamente. Fin dagli inizi della carriera, tutte le mie esperienze, a cominciare dai Judas’ Priest per un brevissimo periodo, poi Overkill e infine Anthrax, sono sempre state contraddistinte da una grande passione che mi animava. Ma dimmi, piuttosto: come sta Ronnie? Vedo che hai sempre il tuo plettro marchiato Dio al collo!
Ehhh… Ronnie: non lo vedo da ottobre dell’anno scorso, in occasione del concerto di Londra!
Sai che in Internet si parla di una sua reunion con i Black Sabbath? Da parte mia ti posso dire che ci sono stati dei contatti tra Toni Iommi e lo stesso RJD, per una collaborazione in un paio di canzoni. Certo che sarebbe fantastico se riuscissero a concepire… “Heaven and Hell 2”!
Mah… ho avuto notizia dell’incontro, però sinceramente mi sa che questo progetto rimarrà un sogno! E, sempre a proposito di Black Sabbath, come sta tuo fratello? (ndr: si tratta di Dave “the Beast” Spitz, bassista fra l’altro di White Lion, Impellitteri, Great White, nonché dei Black Sabbath, appunto, dal 1985 al 1987, partecipando a “Seventh Star”, “Eternal Idol”, “Sabbath Stones”)
Bene, grazie. Da qualche mese ha aperto uno Studio Legale indipendente, in Florida, e la sua attività sta procedendo alla grande.
E la tua famiglia?
Bene, grazie; anzi, mi fai ricordare che ora devo chiamare mia moglie. Accomodati pure, arrivo tra poco.
No, fai pure, Danny. Ti lascio tranquillo. Spero di vederti presto…
Guarda. io e mia moglie abbiamo intenzione di organizzare una vacanza in Italia. Ti farò sapere.
Ok, se me lo dici in tempo farò dare una spolverata al tuo amato Duomo, ah ah!
Tieni: questo è un regalo per la tua bimba.
Oh, un plettro bucato! Ma la tua firma?
E’ sul retro.
Ah, sì. Proprio come sulla cassa di uno dei tuoi orologi.


Dopo l’ultimo abbraccio a Dan, mi trascino con la schiena a pezzi verso l’uscita, scendo le scale, do un saluto al manager che sta cercando di infilarsi nel tour bus (la sua stazza è notevole) e mi dirigo verso la mia cra vecchia Opel, rimasta sola in mezzo alle intemperie; per raggiungerla devo dribblare un esemplare di metallaro completamente ubriaco, esile come il suo chiodo, che sta vagando nel piazzale dalle 16.00 del pomeriggio, bofonchiando discorsi incomprensibili persino a se stesso. Credo che non sia neppure riuscito ad entrare e vedersi il concerto..!
Finalmente salgo a bordo e mi metto alla ricerca del casello autostradale: una vera impresa, considerati i lavori in corso e le interruzioni. Sono le 3.30 e mi sento un po’ stordito a causa del volume devastante sprigionato dalle casse alle quali sono stato, praticamente, quasi incollato durante il concerto, per evitare il pogo! Per fortuna domani è sabato! Cosa non si fa in nome del Rock!!!

 

Tempo Rock, Gualtieri (Reggio Emilia) – 29 aprile 2006

Se c’è qualcosa che non è mai mancato agli Anthrax, presa qualsivoglia incarnazione, si tratta senza dubbio della micidiale potenza di fuoco con cui i Nostri devastano regolarmente il (malcapitato) pubblico di turno. Non fa eccezione la serata di Gualtieri, che riporta in Emilia lo stesso terremotante spettacolo apprezzato un anno prima al Gods Of Metal bolognese: uno show unicamente a base di vecchie glorie, in testa Among The Living, per la gioia dei nostalgici ma anche di coloro che, all’anagrafe, vent’anni fa ignoravano nella loro innocenza le gesta della formazione di New York. A onor del vero, negli undici mesi intercorsi Ian e soci hanno ulteriormente aggiustato il tiro, affinando un’intesa già pregevole nelle precedenti uscite; ciliegina sulla torta la prestazione di Joey Belladonna, che tra una lampada e l’altra ha recuperato un certo smalto, anche e soprattutto dal punto di vista canoro (se non altro in termini di resistenza).

Per la cronaca il sipario si apre con i Beyond Fear, neonato progetto di Tim ‘Ripper’ Owens – già sostituto di Rob Halford nei Judas Priest e voce attuale degli Iced Earth – impegnato nella promozione dell’omonimo debutto. Dal vivo resta l’impressione di un prodotto incompleto, che pesca dalla tradizione ottantiana ma affoga tutto in suoni distorti e pastosi, al punto da sprecare letteralmente l’ugola eccezionale di Owens; buone idee affiorano qua e là da The Human Race e Scream Machine (probabilmente il brano più efficace, nella sua semplicità, di un album piuttosto controverso), ma è all’ascolto di One On One e Blood Stained – dal catalogo priestiano – che si registrano le reazioni più calorose degli astanti. Elemento che, tenendo conto della relativa e diffusa repulsione verso l’era-Ripper, la dice lunga sull’effettiva bontà del materiale proprio. Le vendite e i commenti entusiastici di certa stampa sembrerebbero però premiarne la (fantomatica) freschezza… Misteri!

I presenti – almeno una decina di volte più numerosi di quelli che avevano presenziato lo show di Jon Oliva esattamente sette giorni prima – cominciano l’esodo per guadagnarsi i posti migliori. Tra grandi manovre collettive la pista centrale del Tempo Rock si riempie di una fauna piuttosto variegata: dal convinto thrasher con pantaloni attillati e giubbetto di jenas ricolmo di trofei, a personaggi usciti da aree musicali e culturali ben diverse; dall’alternativo al crossover. Fortunatamente la scaletta darà ragione ai primi (quelli con i jenas aderenti e il giubbetto smaniato, per intederci). A questo punto, il pubblico che ha osato sfidare le trame stradali della pianura padana si trova a fronteggiare il vero unico grande problema della serata: un allestimento poco felice del palcoscenico, allo stesso livello del pubblico, che ha garantito una discreta visibilità solo alle prime file, costringendo gli sfortunati possessori di un’altezza sotto i 175 centimetri a intravedere soltanto (per non dire ‘intuire’) gli eventi che prendevano forma sul palcoscenico.

Mezz’ora abbondante ed è il turno degli acclamati eroi, quegli Anthrax capaci di stipare il Tempo Rock con relativa facilità, a testimonianza del rinato interesse per certe, immortali, sonorità. La partenza è al cardiopalma, con la (pur prevedibile) doppietta Among The Living – Metal Thrashing Mad a scatenare la bolgia nella discoteca reggiana: ottimi i suoni sin dalle prime battute e combo newyorkese in piena sintonia. Il resto è all’altezza di un ipotetico best-of, con le immancabili Got The Time, Caught In A Mosh, Antisocial, NFL e gli innesti mirati di Skeleton In The Closet e Madhouse (che ha preso in controtempo chi si aspettava A.I.R.) a confermare, qualora ce ne fosse bisogno, l’ottimo stato di forma esibito dal quintetto statunitense. Promossi tutti, dal figliol prodigo Dan Spitz (che a una velata indifferenza ha contrapposto il suo tocco insostituibile) alla premiata ditta Ian/Bello/Benante, pacchetto ritmico tra i più devastanti della storia del genere. Su Belladonna si sono già spese parole di meritato elogio: basterà aggiungere in questa sede una nota sulla grande simpatia che da sempre contraddistingue il cantante italo-americano, che, a fronte di qualche posa equivoca, sa sempre come intrattenere i paganti, specie con qualche espressione colorita. O, come più si addice a un vocalist di razza, graffiando come ai vecchi tempi sulle note di Indians, assoluto masterpiece nella discografia targata Anthrax. Il brano chiude la prima, intensissima parte del set e concede una rapida boccata d’ossigeno prima del rush finale, affidato a Be All, End All, I’m The Man (divertente, accolta con una certa perplessità e con nessuno scambio di ruoli) e il manifesto conclusivo I’m The Law. Se i titoli si commentano da sé, non ci rimane che documentare l’ennesima prova di carattere e professionalità da parte di una band, che, per quanto negli anni sia spesso incorsa nelle ire dei più affezionati tradizionalisti (nella cui schiera non esitiamo a presenziare), dal vivo non ha mai deluso nessuno.

Si poteva sperare in uno show più lungo, si poteva bramare il rientro in setlist di un brano come Armed & Dangerous, si poteva chiedere qualcosa di più da Persistence of Time… ma resta il fatto che rinunciare a tale spettacolo ha il sapore del masochismo.

Setlist:
Among the living
Metal Thrashin’ Mad
Got the time
Caught in a Mosh
Madhouse
Skeleton in the closet
Anti Social
NFL
Medusa
Indians

Be All and All
I’m the Man
I’m the Law

Per la data di Trezzo d’Adda: Marcello Catozzi
Per la data di Gualtieri: Federico ‘Immanitas’ Mahmoud e Alessandro ‘Zac’ Zaccarini