Report : Arrow Classic Rock Festival (Lichtenvoorde, NL) 12-13/6/2004
PREAMBOLO :
Dopo una giornata di viaggio e una notte in una pensione arrivo finalmente a Lichtenvoorde, paese praticamente immerso nelle campagne al confine fra Olanda e Germania, sede di quello che a tutti gli effetti è uno dei più grandi, e sorprendentemente fra i meno conosciuti (perlomeno da noi), festival rock europei, l’Arrow Classic Rock Festival, o più semplicemente Arrow Rock. Il posto, per chi volesse raggiungerlo a piedi (come me, ma per altri c’erano navette apposta) dalla stazione della cittadina, è piuttosto lontano (una mezz’oretta a piedi), ma visto che non sono il solo camminatore mi affianco a una “collega” spagnola per raggiungere la base delle operazioni. Diversi i motivi di interesse vista l’enorme quantità di talento e storia che si riunisce per questa due giorni, e la gente del luogo sembra capirlo, vista la grande quantità di persone accorse. Il tempo, come già al Gods of Metal e come sempre quando mi trovo ai festival all’aperto, non promette nulla di buono, ma per il momento tiene… appunto, per il momento. Infatti, all’apertura dei cancelli, vengo investito da un acquazzone che ben presto (faccio appena in tempo a ripararmi sotto una delle tante bancarelle) diventa una violenta grandinata che però, a differenza di 7 giorni prima in Italia, non lascia segni tangibili del suo passaggio. Scampato il pericolo mi incammino per esplorare ben bene il luogo. E’ molto diverso dalle mie aspettative che prevedevano un solo palco con le band a susseguirsi. Abbiamo infatti 2 palchi, uno all’aperto (Rock Garden) di grandi dimensioni, dove suoneranno gli headliner e buona parte delle band più importanti, e uno al chiuso (un po’ più piccolo ma sicuramente più sicuro dalle insidie del tempo ballerino), denominato “Rock Palace”. Il riassunto della due giorni sta tutto su un giornaletto, dove, articoli in olandese a parte (scomodo visto che delle circa 40 mila persone almeno la metà erano tedeschi con l’aggiunta di un buon 25% di inglesi, più un commando italiano rappresentato da me e una tenda di altri compatrioti, uno spagnolo e un aereo di americani giunti apposta per l’occasione), è presente la scaletta della due giorni. Raccolti armi, bagagli ed energie, si inizia.
p.s : mi scuso qui per le foto, che non allego, ma dei miei 3 rullini almeno metà sono uscite pessime (ah avessi avuto la digitale con me…) e le altre non ho potuto, per motivi tecnici, scannarizzarle.
SABATO 12/6/2004 :
E’ il giorno dedicato all’hard’n’heavy più puro, senza fronzoli di sorta, tantissimi i nomi che obbligano a continui spostamenti da un palco all’altro (mi spiace parecchio la storia dei due palchi, perché spesso vi erano in contemporanea band che avrei voluto sentire entrambe…. come assurdo contrappasso è quasi stato un sacrificio perderne una per vedere l’altra).
Plaeto (Rock Palace) : Tocca a loro aprire le danze, addirittura per un ora (al Rock palace si inizia un po’ prima che al Rock Garden, in modo che i concerti fra dentro e fuori siano sfasati di mezzora), a questa band approdata all’Arrow in quanto vincitrice di un contest che aveva come premio la partecipazione al festival. Ebbene, per quanto non li conoscessi devo dire che non sono mica male. Non conosco i pezzi la la loro musica è grintosa ma anche scanzonata al punto giusto. Visto che hanno suonato un’ora hanno avuto una grande possibilità di mettersi in mostra, e sembra siano piaciuti alla gente, una buona base. Peccato che li ho visti poco (una mezz’oretta) perché poi si iniziava di là.
Commento : In Rampa
Voto : 70/100
Ten Years After (Rock Garden) : Abbandono i Plaeto per andare a godermi una band poco conosciuta ma sicuramente longeva e di valore come i Ten Years After. Che si presentano alla folla con un gran bello spettacolo, concreto e dinamico, che ha intrattenuto i fans, a dire il vero non troppi, sotto il palco (saranno state un 15 mila persone). Oltre a presentare il succo delle loro migliori opere (“Let the Sky Fall”, “Uncle Jam”, “50000 miles beneath my brain” ecc..) i TYA lasciano molto spazio all’improvvisazione (molto bello un assolo che conteneva tante cose storiche fra cui il riff di “Smoke on the Water”) e anche ad una cover, eccellente, di “Hound Dog” di Re Elvis. Alla fine dello spettacolo mi sono detto : “Cazzo che figata, difficile batterli questi”… mi sarei ricreduto molto presto.
Commento : Solidi
Voto : 75/100
Y&T (Rock Garden) : lascio perdere i Montrose per portarmi nelle prime file del Rock Garden, che è teatro della prestazione degli Y&T (pronunzia corretta “uai en ti”). Ora, io ho sempre amato la band di Dave Meniketti, ma mai mi sarei aspettato che fossero così adorati fuori dall’Italia e soprattutto così incisivi dal vivo. Forti di una grande prestazione già all’Arrow 2003, gli Y&T tengono in pugno un pubblico gremito sotto l’ennesimo acquazzone (direi quasi il doppio delle presenze rispetto ai TYA). La band è carismatica, non risparmia pose, e tutti i musicisti saltano come pazzi al grido “We Want More”, comandati soprattutto dall’esplosivo bassista Phil Kennemore, forse esaltato dai seni al vento di più di una scatenata fan. La tracklist prevede classici come l’immancabile “From the Moon” (come opener), “Open Fire”, “Mean Streak”, “Black Tiger”, “Lipstick and Leather”, “Hurricane”, “I Believe in You” eccetera. La band poi se ne va per per tornare, sempre al grido we want more, con una grandiosa “Rescue Me”, che lascia ben più di un segno. Altro che morti, questi sono vivi, eccome (peccato che lo show fosse di giorno fosse giorno e senza luci di scena in risalto, sennò sarebbe stata la prova totale)!
Commento : Granitici
Voto : 85/100
Ora un gran dilemma, visto che il livello continua a salire : vado a vedere Eric Burdon e i suoi The Animals, o resto qui a godermi Paul Rodgers, ex Bad Company? alla fine opto per questa seconda soluzione (ammetto non reputando nessuno dei due tra i miei idoli e non essendo particolare conoscitore di nessuno dei due, ho fatto testa e croce), e mi fermo ancora al Rock Garden.
Paul Rodgers (Rock Garden) : Mi faccio circa venti minuti in compagnia dell’ex Bad Company che, pur rimanendo tranquillissimo sul palco, emana un alone carismatico davvero notevole. La gente presente è affascinata da questo “ragazzo” con gli occhiali, che, al pari di un direttore d’orchestra, riesce a zittire una platea senza neppure muoversi o fare cose insensate. Cose d’altri tempi che non riescono a tutti. Avrei voluto vederlo di più, ma sono dovuto scappare al Rock Palace per non perdermi uno dei motivi principali della mia trasferta, gli UFO. Non male comunque.
Commento : Carismatico
Voto : 75/100
UFO (Rock Palace) : Sono già quasi le sette di sera quando riesco a portarmi nelle prime file di uno stipato Rock Palace (qualcuno è rimasto fuori, sotto un diluvio universale, io mi sono salvato) per attendere l’arrivo della navicella che per guai tecnici aveva saltato il Gods. Ebbene Mogg e soci hanno letteralmente spaccato, complice un perfetto gioco di luci e un carisma d’altri tempi. L’interazione col pubblico è notevole, e non si limita solo alla proposizione delle canzoni. L’inizio è molto tranquillo, nonostante sia questo un termine da prendere con le molle, poi si cambia nastro. E il mattatore principale è Pete Way, che sembra un bambino per come gioca e salta sul palco (è stato visto sdraiarsi, giocare con Moore e Raymond, addirittura fare la sua Break Dance col basso che si vedeva girare da sotto il palco, eccezionale). L’eco del Rock Palace ha fatto il resto, ho visto gente rimanere in lacrime su Love to Love per poi, 5 minuti dopo esplodere in grinta con “Too hot to Handle”. Che
roba, signori, che roba. Peccato non siano rientrati dopo l’uscita, come la gente avrebbe voluto (anche se a dire il vero qualcuno era uscito verso metà esibizione per andare a uccidersi coi Motorhead).
Commento : Di un altro pianeta
Voto : 90/100
Tracklist : “Mother Mary”, “I’m a Loser”, song da “You are Here” (mea culpa non ricordo quale fosse), “This Kids”, “Only you can Rock Me”, “Love to Love”, “Too hot to Hanlde”, “Lights Out”, “Rock Bottom”, “Doctor Doctor”.
Motorhead (Rock Garden) : Corro fuori a Ufo (e diluvio) finiti per cercare di vedere almeno una ventina di minuti dei Motorhead, già visti mille volte ma che mai stancano. Ebbene qui ho avuto una gran bella fortuna, visto che la band eccede e sfora dagli orari, suonando circa un ora e un quarto (così i 25 minuti previsti diventano 40, ma tanto qui funziona diversamente, qua se una band sfora il concerto finisce, semplicemente, più tardi). Che dire, dopo aver visto Lemmy e soci al gods 2003, essi mi avevano lasciato una sensazione di vuoto, di vecchio. Qui invece si sono ristabiliti. A parte la fatica per arrivare là in mezzo (devo dire poco pogo ma tantissimo pubblico), ho riscontrato un vocalist in grande forma (vestito con occhiali da sole e completino cowboy alla “Hammered”). Un pochino più fermo Campbell, ma tant’è. Il muro sonoro (che è stato impressionante in tutti quanti gli show per qualità, mai uno stridio, ma una distorsione, perfetto!) è incredibile, saltano anche due amplificatori che il nostro commenta così : “Oh… another fuckin’ ampliphone is exploded, wait a moment guys!”. La coreografia è gustosa, con l’innesto di due ragazze che si spogliano sul palco durante l’esecuzione di “Sacrifice” (che gnocche tra l’altro), ma la ciliegina si ha quando, prima della chiusura (Overkill), Lemmy fa : “Oh io mi tolgo gli occhiali, almeno per una canzone riesco a vedere bene questa folla meravigliosa (!!). I Motorhead sono sempre i Motorhead.
Commento : (dall’ultima mia visione) Ringiovaniti
Voto : 80/100
Tracklist : io ho sentito, per quel poco che ricordo e tra le altre, “Bomber”, “Sacrifice”, “Deaf Forever” (mi sembra), “Ace of Spades” e “Overkill”.
Blue Oyster Cult (Rock Palace) : qui sono davvero in lacrime, non ho potuto vederli!. E’ stata questa la scelta più dura della giornata, ma dovendo scegliere la gli Scorpions e i BoC (alla fin fine dell’altro big che non ho visto, Alice Cooper, non mi importava un granchè), alla fine l’amore per la mia band preferita ha prevalso. Ho visto alcune foto e sentito un pezzo di Astronomy, e sembra abbiano spaccato, spero vivamente di non aver bruciato la mia occasione di vederli.
La calata degli Dei : Faccio un trafiletto a parte per descrivere le due singole prestazioni migliori che io abbia mai visto (con Manowar e Saxon), ovvero quelle di Scorpions e Judas Priest. A parte i valori affettivi che mi legano alle due band (sono le mie preferite), sono diversi i motivi per cui i loro spettacoli sono stati perfetti e superiori agli altri. I cantanti (Meine senza dubbio miglior voce pulita, Halford il migliore nell’estensione vocale, avvicinato da Tate il giorno dopo), il carisma, la storia, la classe… tutto trasudava dalle 3 ore e passa complessive di musica. Difficile dire la migliore delle due performance, le metto alla pari perché se dal lato potenza e anche della coreografia (tramonto per gli Scorps, notte per i Priest) vincono i Judas, i tedeschi stracciano i Metal Gods dal punto di vista del dinamismo e dell’interazione col pubblico. Ma è soprattutto un fattore a far vincere i due gruppi sugli altri, quello delle scalette. Infatti tutte le band precedenti, che da come potete leggere hanno preso grandi voti, hanno ottenuto tali voti mettendo effettivamente sul piatto le loro migliori canzoni. Preti e scorpioni invece, per quanto altrettanto mostruosi (se non di più), hanno incantato le folle con setlists che lasciavano fuori tanti pezzi a dir poco storici (per gli Scorpions assenti i pilastri “Holiday”, “Dynamite”, “No one Like You”, per i Preti fuori “Metal Meltdown”, “Freewheel Burning”, “Out in the Cold”). Questo fattore, che avrebbe ucciso quasi chiunque altro, ha pesato non poco, risultando decisivo ai fini del voto. Incredibile, come incredibile è stato quando alle mie follie in prima fila (aiutato da un altro simpatico tizio conosciuto sul posto), prima Jabs e poi Tipton hanno risposto al mio dito puntato indicandomi, facendomi l’ok col pollice e ridendo divertiti. Stavo male a dir poco.
Scorpions (Rock Garden) : In tour per il nuovo disco Unbreakable, la band ritarda il concerto causa la prolungata esibizione dei Motorhead, ma suona lo stesso più del previsto (poco più di un’ora e mezza). Mi porto in prima fila e mi trovo accanto ad un altro invasato come me, col quale metto in piedi un mini show, poi inizia l’inferno, fortunatamente senza pioggia (come le nuvole minacciavano), inferno che vede coinvolte persone di tutte le età, dai giovanissimi ai cinquantenni. La band ammalia, suona ben 4 pezzi di Unbreakable (devo dire che live spaccano, 2 in particolare moltissimo, non me lo aspettavo) mescolate ad alcuni dei grandi classici. Rudy, ormai senza baffi, si muove come un demonio, con energie insospettabili per un ultra cinquantacinquenne, Jabs lo segue a ruota, basso e batteria si sentono non poco(proprio alla batteria il mio rammarico, durante l’assolo di The Zoo sono riuscito a toccare una bacchetta lanciata da Meine senza, di sfiga, riuscire ad afferrarla). E poi Klaus, che ha dato lezione di canto a tutti i presenti, sempre a livelli eccelsi, magnetici, irraggiungibili, di fatto la miglior esibizione di una voce pulita dell’intero festival (e sempre a 55 anni passati). La band se ne va dopo circa un’ora e venti, ma in seguito alle urla delle folla inferocita torna per una divina “Still Loving You” (unica canzone dove ho visto davvero TANTI accendini accesi e fluttuanti) e una devastante versione di “Rock You Like an Hurricane”, che ha chiuso uno spettacolo che mi ha lasciato in lacrime.
Commento : Letali
Voto : 100/100
Tracklist : “New Generation”, “Bad Boys Running Wild”, “The Zoo”, “Love’em or Leave’em”, “Deep and Dark”, “Lovedrive”, “Tease me, Please Me”, “Coast to Coast”, assolo batteristico, “Blood too Hot”, “Six String Sting”, “Blackout”, “Big City Nights”, “Still Loving You”, “Rock you Like an Hurricane”.
Alice Cooper (Rock Palace) : non pervenuto, nel senso che non l’ho visto… in fondo non mi interessava.
Judas Priest (Rock Garden) : a circa quaranta minuti dalla fine degli Scorps, che avevano finito il loro show quando il Rock palace aveva già esaurito la “sua” prima giornata, inizia la leggendaria “The Hellion”. Appena l’ho sentita mi sono sentito un bambino indifeso in balia delle tempeste. Questo è l’effetto che hanno fatto i Priest, strabordanti se vi è un termine adatto. Tanti dicono che a Bologna non hanno reso al massimo. Io non posso dirlo vista la mia assenza, posso dire che nelle quasi due ore di show (finito verso la una e mezza, e dalla tracklist spaventosamente simile a quella del Gods) nulla di questo mi è pervenuto. La band si muove bene, camminando e al massimo trottando, questo si, ma dando quella sensazione di superiorità che solo le leggende danno. Halford non sbaglia uno scream che uno (che roba quando è uscito dal fumo cantando Electric Eye), nemmeno in pezzi assurdi come “Victim Of Changes”. La coreografia e il palco, oltre a un Ian Hill scatenato nelle retrovie, fanno il resto, e consegnano un concerto che ripercorre tutta la carriera del gruppo da tanti ritenuto padre del metallo (io non credo siano i padri, che siano i più grandi del metallo quello si), saltando poco e nulla (avrei tanto gradito Freewheel burning, ma che mi lamento a fare?). Tipton e Downing si complementano ancora a meraviglia, Scott Travis fa i miracoli e la folla passa dal pogo a scapellamenti di ogni sorta, chiudendo una prestazione, per succo e concretezza, da Metal Gods. Quando finiscono anche loro io non riesco più a cammianare e mi siedo per terra, stremato, prima di far festa nell’aftershow.
Commento : Metal Gods
Voto : 100/100
Tracklist : “The Hellion/Electric Eye”, “Metal Gods”, “Heading out to the Highway”, “The Ripper”, “The Sentinel”, “A touch of Evil”, “Beyond the Realms of Death”, “Breaking the Law”, “Victim of Changes”, “The Green Malinishi”, assolo batteristico, “Painkiller”, “Hell Bent for Leather”, “Turbo Lover”, “Living after Midnight”, “United”, “You’ve got another Thing Coming”.
POST SABATO :
Non dormo (e come potrei), faccio festa a suon di litri di buonissima Grolsh (birra del luogo nonché partner ufficiale dell’Arrow Rock) e attendo il giorno dopo, che mi dovrà vedere impegnato nella ricerca di un ostello (impresa durissima visto che sono ovviamente tutti prenotati) e nel godermi la domenica.
DOMENICA 13/6/2004 :
Fortunatamente non piove più e riesco a trovare un luogo dove alloggiare, a circa 20 chilometri da Lichtenvoorde, giustamente a voi non fregherà nulla, ma sta nella storia e quindi lo dico. Quindi torno all’ovile per vedere se la domenica, giorno dedicato ai virtuosismi e alla tecnica, sarà all’altezza del giorno precedente. I nomi ci sono tutti, bisogna vedere le prestazioni, che poi avrebbero ampiamente confermato le mie aspettative (pur non raggiungendo le vette, forse la media qualitativa degli show è stata più alta). Mi spiace tantissimo di aver visto veramente poco, solo il clou praticamente, ma causa esaurimento rullini, che mi portano a tornare in paese durante le prime esibizioni, e stanchezza mia dal giorno prima, non ho potuto fare di meglio. Andiamo dunque con questa seconda narrazione che vede protagoniste tante band e un po’ peno gente del giorno prima (anche se siamo sempre tranquillamente oltre le 30 mila persone).
Symphony X (Rock Palace) : è la terza volta che li vedo, e per la terza volta confermano le mie tesi. Sono ottimi e sanno suonare da Dio, eppure dopo 3 minuti di ogni loro canzone mi perdo via. Ciò non toglie che la band sia una delle colonne portanti del prog metal odierno, cosa confermata dal loro spettacolo, che mi sono gustato solo per una mezzora.
Commento : Virtuosi
Voto : 75/100
Heart (Rock Garden) : riesco a tornare, dopo la pausa rullino (che mi ha fatto perdere gente come Saga, Caravan, Iron Butterfly, The Godz, mi spiace un casino), per l’attesa esibizione delle Heart, molto più amate dalla folla di quanto io pensassi. Ann e Nancy Wilson riescono alla perfezione a miscelare fermezza e rock con la dolcezza, sprigionata in gran parte dalle loro immancabili (nelle ballate) chitarre classiche. La tanta gente accorsa apprezza e acclama a scena aperta le due sorelle (ma anche il resto della band) e le loro canzoni (“Barracuda”, “Dog and Butterfly”, “These Dreams”, “Magic Man”, “Kick it Out”, “Crazy on You” e altro ancora), che fanno un grande ritorno sulle scene musicali (il 22 giugno uscirà anche il nuovo disco delle Heart).
Commento : Decise ma seducenti
Voto : 80/100
Golden Earring (Rock Garden) : Torno al volo dalla noiosissima introduzione al G3 (della quale parlerò fra poco), per recarmi a vedere una grandissima band, appunto i Golden Earring. Da buoni padroni di casa queste vere e proprie icone regalano una delle migliori prestazioni della domenica e, sempre da buoni padroni di casa sono quelli più incitati dal pubblico, in tripudio per il quartetto. Lasciata stare la parte pop della loro carriera gli orecchini incantano non solo con la loro famosissima “Radar Love”, ma con una scaletta di solido hard rock che vede incluse le magiche “Quiet Eyes”, “Twilight Zone”, “Candy’s going bad”, “One shot Away from Paradise” (non ricordo tutte le altre). Da menzionare anche l’ottimo intrattenimento vocale col pubblico che il combo riesce ad ottenere. Ricorderò per sempre quando, non riuscendo a riprendere una bacchetta fatta roteare in aria, il batterista anziché fare una figura di merda si è semplicemente quasi ammazzato dalle risate, tirando l’altra fra il pubblico, un gran colpo di classe.
Commento : Sempreverdi
Voto : 85/100
Queensryche (Rock Garden) : Li ho visti tutti a cavallo fra Vai e Satriani, e, oserei dire, non ho fatto mica male. Vi ricordate la loro eccellente prova al Gods 2003 (fino all’ignobile taglio). Ecco, mettetegli un’ora piena di esibizione, mettete praticamente dentro tutto “Operation Mindcrime”, un pezzo nuovo, pezzi di “Empire” e “Rage For Order”, un vocalist in forma travolgente (miglior cantante della domenica e su un podio mio ideale con Meine e Halford, senza un particolare ordine) ed accompagnato dalla deliziosa ugola della “signora in bianco”, che duetta con Tate in maniera quasi commovente, ed ottenete questo spettacolo. Mancava DeGarmo, ma non se ne è sentita l’assenza, per quanto eretica possa sembrare questa affermazione, che posso utilizzare per chiudere il discorso Queensryche, visto che non c’era molto da dire.
Commento : Avvolgenti
Voto : 90/100
G3 (Rock Palace) : Ben 4 ore di concerto (ne ho viste circa 2 e mezza) per tre dei massimi virtuosi della 6 corde moderna, suddivisi fra le follie di Steve Vai e la “rockstarraggine” di Joe Satriani, con l’aggiunta della rocciosità di Robert Fripp (che non suonerà da solo, peccato davvero). Quando lo speaker li nomina c’è un boato crescente, dall’entusiasmo moderato per Fripp (probabilmente il meno conosciuto fra le nuove leve), ai boati per Satriani alle vere e proprie ovazioni per Steve. Devo fare un discorso a parte per questi 3 eroi, proprio in base a come hanno condotto il concerto, fasi che passano dal ridicolo al capolavoro.
Inizio : si presenta Joe Satriani che fa una delle sue melanconiche e misticistiche intro. Il che non sarebbe male se non fosse che dura quasi mezz’ora. Alla fine la folla (un 20000 belli e buoni) inizia semplicemente ad insultarlo, dicendogliene di ogni ed abbandonando ben presto il tendone (me compreso, che corro, come già detto, dai Golden Earring).
Commeto : Tedioso
Voto : 40/100
Steve Vai : torno quando l’eroe cresciuto sotto Zappa sta tenendo uno spettacolo da stropicciarsi gli occhi, accompagnato dai vari MacAlpine, Sheehan, eccetera. I virtuosismi e le pose si sprecano (chitarra suonata dietro la schiena, fra le gambe, a mani invertite, addirittura corde sfregate con una bacchetta per suonare il triangolo) e il guitarist passa in rassegna il meglio del suo repertorio. Non l’ho sentito tutto (circa un’ora), come già detto, ma ricordo versioni mostruose di “Attitude Song”, “Heart on Hand” e “Audience is Listening”. Poi esco (in mia presenza niente “For the Love of God”, ma si rifarà poi, il vecchio Steve) a vedermi i Queensryche. A risentirci.
Giudizio : Pazzo
Voto : 90/100
Robert Fripp : Non ha suonato da solo e francamente non so il perchè, è un grande vuoto per tanti che lo aspettavano e per tanti che non lo conoscevano e che avrebbero potuto scoprire un’icona, si rifarà nei “lavori di gruppo”.
Joe Satriani : Ritornato dopo la pessima intro Joe mette in mostra numeri (con l’aiuto prezioso di tale Bissonette al basso) che io non avevo mai visto fare a nessuno (mi sono stropicciato gli occhi, già distrutti nel periodo Vai, per una buona oretta). L’atteggiamento è diverso da quello del suo predecessore (nello spettacolo), vi sono minori pose ma un atteggiamento che è quello che più si avvicina al mio ideale di rockstar, il che me lo ha fatto apprezzare. La qualità del sound è splendida (come lo è stata per tutta la 2 giorni) e la gente, la stessa che lo aveva insultato all’inizio, questa volta non fischia più, se non per l’ammirazione sfrenata per un “vecchietto” incredibile e da idolatrare. Sento Satriani da solo per circa un’ora fino a che….
Commento : Rockstar
Voto : 90/100
Duo : …fino a che lo stesso Joe non presenta Steve Vai come suo secondo chitarrista. La coppia si produce in un muro tecnico e sonoro devastante. Viene finalmente riproposta “For the Love of God”, con subito in successione “Speed of Light”. Gli occhi ormai sono lividi causa mio sfregamento con le mani, ma per avere la prova perfetta manca un po’ di mordente sonoro e così…
Commento : magici
Voto : 95/100
Trio : … e così da dietro le quinte, a un certo punto, si sente irrompere una devastante chitarra ritmica, perfettamente integrata e sovrapposta al duo folle che sta imperversando sul palco. E’ ovviamente l’ex King Crimson Fripp, che se da una parte aumenta l’amaro in bocca per la sua mancata esibizione solista, dall’altra dà quel tocco in più a una prova già di per se mostruosa, il miglior singolo momento, a mio avviso, di tutta la domenica. Peccato duri solo una ventina di minuti, ma è l’ingrediente ideale per chiudere, per questo 2004, il tendone del Rock Palace.
Commento : Definitivi
Voto : 100/100
Yes (Rock Garden) : Arriva, anche per questa domenica che, come previsto, ha mantenuto il suo livello altissimo, il momento dell’headliner. E che Headliner, visto che il nome Yes non dovrebbe dire nulla di nuovo a nessuno. A dire il vero ero partito con l’idea (all’inizio dello show) di dare alla band il 100, però questa volta devo ricredermi. Intendiamoci, gli Yes dal punto di vista della prestazione hanno fatto spavento, gioca però sempre il fattore, questa volta in senso contrario, della scaletta, che aveva fatto la differenza per i Re del sabato sera. Una setlist estremamente spaziata nel tempo (han pescato tantissimo da Fragile e anche da 90125, ma mancava tanto di Close to the Edge, per fare un esempio) ha dato a mio avviso qualche pezzo “nuovo” di troppo, che ha “sporcato” (prendere con le pinze please) la magia di quella che ritengo, nel suo periodo d’oro, la miglior prog rock band di sempre. Anche il rapporto col pubblico non è stato eccessivo, c’è anzi stato un briciolo di freddezza, ma questo forse in minima parte me lo aspettavo. Ovviamente, poi, queste cose sono compensate e cancellate da un talento e una tecnica mostruosa (Wakeman e Anderson celestiali), e da dei classici che quando suonati (le varie “And You and I”, “Starship Trooper”, “Roundabout” eccetera eccetera), non possono e non riescono a non far commuovere chiunque ami la musica.
Commento : Maestri
Voto : 90/100
Tracklist : “Firebird Suite”, “Going for the One”, assolo batteristico, “Sweet Dreams”, “I’ve Seen all good People”, “Mind Drive” (prima parte), “South Side of the Sky”, “Footprints (sezione “My Eyes”), “Mind Drive” (seconda parte), “Long Distance runaround”, “The Fish”, “Owner of a Lonely Heart”, “Rhythm of Love”, “And You and I”, “O’er” (tratta da “The promise Ring” di Jon Anderson), “Roundabout”, “Starship Trooper”.
EPILOGO :
Si è chiuso anche il secondo giorno e prendo la navetta per tornare in albergo, conscio del fatto di aver appena visto il più grande festival che mi sia mai capitato di vedere. Ora non so se tutti abbiano fatto il concerto della vita o che cosa, certo è che se è sempre così l’anno prossimo mi ritrovano, a Lichtenvoorde. A costo di essere ancora l’unico (o quasi) italiano presente
Riccardo “Abbadon” Mezzera