Report: Behemoth, Kataklysm, Aborted, Lyfthrasyr – 28/09/07 – Mi
Una serata coi fiocchi al Rainbow Club di Milano, una serata da ricordare a
lungo. Protagoniste alcune delle migliori formazioni della scena, che
avrebbero fatto la gioia di ogni amante della musica estrema, premiate da un
pubblico “sorprendentemente” numeroso. La speranza è che questo non sia un
episodio isolato, viste le scarse affluenze che solitamente affliggono questi
tipi di eventi. Ecco il resoconto del concerto. Buona lettura.
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LYFTHRASYR
Tocca ai tedeschi l’onore e l’onere di aprire la serata, presentandosi sul
palco con buona parte del pubblico ancora fuori dal locale e con i pochi gia
all’interno non così partecipi all’esibizione. Del resto i nostri non fanno
molto per attirare su di sé l’attenzione dei presenti, presentando il proprio
black metal melodico in modo impeccabile, ma senza impressionare nessuno per
capacità tecniche e presenza sul palco, e non per ultimo, per la qualità dei
brani prodotti, abbastanza canonici e privi di particolari spunti.
A difesa dei Lyfthrasyr bisogna dire che confrontarsi con i tre gruppi
che seguiranno non è facile per nessuno e l’attesa per le successive esibizione avranno sicuramente fatto
passare in secondo piano i nostri, seppur volenterosi. Venti minuti circa di
musica ed è ora di lasciare libero il palco.
ABORTED
Sven de Caluwe aveva lasciato il pubblico italiano, dopo l’ultima esibizione
nel bel paese, con la promessa di rivederci tra un anno e con un nuovo disco.
Fedele alle proprie parole, ritroviamo gli Aborted freschi del quinto album e
con una formazione nuovamente rivoluzionata, apparsa molto più precisa e
compatta di quella un po’ improvvisata della prima parte del 2006. Per fortuna,
l’unica certezza indiscussa rimane la bravura del frontman, anche questa volta
vero mattatore dello show, dimenandosi come un ossesso in lungo e in largo e
sfoderando grugniti e urla di prim’ordine. Dopo un breve soundcheck si parte con
Meticulous Invagination (da
Goremageddon: The Saw and the Carnage Done) che
saggia subito le qualità dei “nuovi” musicisti, con un Dan Wilding alla batteria
a dir poco fulmineo. A dispetto di quanto mi sarei aspettato, il nuovo materiale
non viene proposto in apertura, ma per attendere la prima traccia estratta
dall’ultimo
Slaughter & Apparatus: A Methodical Overture, Avenious, bisogna
attendere un paio di pezzi. Nuovi brani che rendono bene dal vivo, ma non come i classici
storici della band, a dimostrazione che anche in sede live, l’ultima fatica dei
nostri si attesta (a mio avviso) leggermente sotto lo standard a cui la band ci ha abituato
negli anni.
Anche il pubblico in un certo senso sembra di questa idea,
inaugurando il primo pogo della serata con The Saw And The Carnage Done, a cui
ne seguiranno moltissimi altri, con Sven a far da regista in un paio di
occasioni, incitando i presenti a disporsi sui due lati del locale, lasciando
uno spazio vuoto al centro, per poi scontarsi violentemente al suo segnale.
Un’esibizione pienamente soddisfacente, condita da una buona resa sonora, si
chiude dopo tre quarti d’ora circa con una devastante Dead Wreckoning, e con
l’arrivederci di Sven al prossimo anno. Sarà un piacere accoglierli nuovamente.
KATAKLYSM
Pochi minuti di attesa e i Kataklysm sono gia pronti sul palco. Precisi,
rabbiosi, coinvolgenti, buonissimi suoni, insomma, c’è ben poco da obiettare
alla prestazione dei canadesi, con un Maurizio Iacono spietato e all’occorrenza
simpaticissimo nelle pause tra un brano e l’altro, intrattenendo il pubblico
con argomenti cari a noi italiani, come il calcio (ha ammesso di essere
juventino… “Non mi impiccate se dico di essere juventino?”), la famiglia
(“Come diceva mio padre dalla Sicilia… Minchia!”), e con altri siparietti
divertenti, incitando continuamente gli accorsi a scatenarsi il più possibile.
Consiglio preso alla lettera, a vedere la “tonnara” che si scatenava
sistematicamente a ogni brano. Una scaletta incentrata principalmente sugli
ultimi lavori della band canadese, estraendo dall’ultimo
In The Arms of
Devastation, Like Angels Weeping (The Dark), Let Them Burn e
Crippled and Broken.
Grande merito ai nostri nel rendere molto più efficace la propria musica dal
vivo piuttosto che su disco, lanciando bordate di “Northern
Hyperblast” e stacchi melodici a profusione. Nessuna sbavatura o calo di energia, con le
ottime 1999:6661:2000 da The Prophecy (Stigmata of the Immaculate),
In Shadows
and Dust, Beyond Salvation, Where the Enemy Sleeps… e Face the Face of War da
Shadows and Dust, omaggiando
Serenity in Fire con The Ambassador Of Pain,
The Resurrected, As I Slither e la title-track Serenity In Fire. Anche per loro
quarantacinque minuti abbondanti per un concerto tutto sostanza e passione.
BEHEMOTH
Tocca agli headliner porre il sigillo a una serata fin qui piacevolissima. Il
palco viene allestito con la poca scenografia necessaria: il bellissimo
microfono di Nergal, due loghi della band sugli amplificatori ai lati
della batteria, e un tappeto ben assicurato sul palco. Minuzioso soundcheck, col
solo Inferno a farsi vedere in borghese alle prese col proprio strumento
(lasciando poi il posto a un roadie per andarsi a preparare). Finalmente le luci
si abbassano e tuona trionfante l’intro Rome 64 C.E., i nostri si
dispongono sul palco, per primo Inferno, in seguito Seth, Orion
e infine Nergal. Gambe divaricate, sguardo verso il pubblico e via… Di
lì a breve comincerà una delle migliori performance a cui abbia avuto il piacere
di assistere. Per quanto convincenti possano essere state le formazioni che li
hanno preceduti, i Behemoth hanno spazzato via tutti quanti, dimostrando
di appartenere a una categoria superiore.
Quattro invasati che non si sono
risparmiati neanche per un istante, sprigionando un’energia e un’onda d’urto
spaventosa, perfetti sia nell’esecuzione dei brani, quanto nella
“spettacolarità” delle loro movenze, con la capacità di tenere il palco con
grande carisma, coinvolgendo il pubblico ma rimanendo sempre cattivi, a dir poco
indiavolati (giuro che in alcuni momenti lo sguardo di Orion faceva
impressione), mantenendo quel giusto distacco che, a mio avviso, è essenziale in
un concerto del genere. I sorrisi, i siparietti, e le battutine non sono nelle
corde dei polacchi, i nostri si calano completamente nella parte, e lo fanno a
meraviglia. L’inizio non poteva essere dei migliori, con Slaying the Prophets
Ov Isa (tratta dal recente
The Apostasy) subito si percepisce che
tutta la band gira a perfezione, senza lasciare al frontman le maggiori
incombenze sul palco (come era capitato con i gruppi in precedenza), ma
spartendosi il compito sia con efficaci backing vocals sia in fatto di pura
presenza scenica, mantenendo viva l’attenzione su tutti i lati del palco.
Antichristian Phenomenon (da
Thelema.6), e Demigod
(dall’omonimo album) sono spettacolari, a cui segue l’immancabile From the
Pagan Vastlands dedicata ai fan del repertorio più classico (parole di
Nergal) della band.
Con un salto di dodici anni si passa da Sventevith (Storming
Near The Baltic) a The Apostasy con Prometherion, passando da
Conquer All, per arrivare alla fantastica Christgrinding Avenue. A
questo punto i nostri si prendono una piccola pausa, lasciando Inferno a
esibirsi in un breve assolo di batteria, che non verrà ricordato certo per la
fantasia espressa, quanto piuttosto per la velocità sempre maggiore dei blast
beat eseguiti (con tanto di headbanging incorporato). Giusto per non far calare
la tensione, alla ripresa i Behemoth sparano una delle cartucce più
esplosive della propria discografia, ovvero Slaves Shall Serve, con un
brutalissimo
triplice assalto vocale sul finale. Non poteva mancare dalla setlist un album
come Zos Kia Cultus (Here and Beyond),
che echeggia nelle vesti di As Above So
Below, per poi ritornare al passato con Summoning (Of The Ancient Ones),
un estratto dall’ormai mitico e introvabile demo …From the Pagan Vastlands.
A questo punto Nergal annuncia l’arrivo di una lezione di storia con
Christians To The Lions, a cui seguono la distruttiva Decade Of Therion
e Chant For Eschaton 2000, entrambe da
Satanica. Come da
consuetudine, prima di eseguire quest’ultimo brano, i nostri si sono ritirati
per qualche secondo, lasciando ancora da solo Inferno in versione
“mangiafuoco”, per ripresentarsi sul palco sputando sangue finto (schizzando
ahimè chi gli stava davanti) e con un Nergal mascherato con la maschera
adottata per il nuovo disco. Stiamo per giungere alla fine e i nostri non
sembrano per nulla sentire la fatica, presentando una
maestosa Sculpting The Throne Ov Seth e sul finale, una cover dei
Turbonegro, I Got Erection, unica divagazione divertente a uno
spettacolo di rara violenza e ferocia. Poche parole e gesti di ringraziamento e
i nostri spariscono dietro le quinte.
Un’ora circa in cui i Behemoth
hanno dato l’impressione di aver trovato la quadratura del cerchio, con una
line-up finalmente stabile e completa sotto tutti i punti di vista, e con una
dimensione musicale ormai ben delineata e personale, perfetta sia su disco che
in sede live, dove i vari tecnicismi sfoderati durante i brani venivano eseguiti
con una naturalezza imbarazzante. Un leggero disappunto per i suoni, che a volte
hanno penalizzato specialmente la chitarra di Nergal, raggiungendo
l’apice in Sculpting The Throne Ov Seth, durante la quale il frontman ha
redarguito pesantemente gli addetti alla consolle alla sua destra. Poco male
comunque, dal momento che si è sentito di molto peggio in altre circostanze.
Rimane poco altro da dire, tranne constatare che attualmente i
possono considerarsi la migliore band estrema del pianeta.
Stefano Risso