Report: Bonfire + guests (Bologna, 26/11/2006)
Per la calata italiana dei Bonfire, freschi autori del buon Double X, lo staff di BolognaRockCity ha organizzato un party che ha coinvolto cinque band nostrane, per un pacchetto piuttosto eterogeneo. Ecco il resoconto completo della serata: buona lettura!
Embryo. [Federico ‘Immanitas’ Mahmoud]
Condizionata dai ritardi che hanno ritoccato l’ordine del giorno, l’esibizione degli Embryo si consuma in pochi minuti davanti a qualche volto distratto. Un vero peccato, perché i quattro bolognesi sono rinomati nel circuito locale per la sincera fedeltà nel tributare i miti Black Sabbath (Ozzy-era): Children of the Grave è l’apice di una toccata-e-fuga che merita comunque un giudizio positivo, se non altro per la tecnica e la professionalità dimostrate. Arrivederci a repliche più generose.
Apnea. [Federico ‘Immanitas’ Mahmoud]
Altra formazione emergente di Bologna, gli Apnea risultano forse (e senza offesa, sia chiaro) il gruppo più anomalo inserito nel pacchetto della serata. I loro spunti moderni ispirati a Tool e Soundgarden non incontrano evidentemente i favori dei presenti, che assistono per lo più tiepidamente al set allestito dal quintetto. Voce ed energia non mancano, ma il materiale presentato denota qua e là una certa ripetitività di fondo: con un po’ di lavoro a monte, arriverà anche il primo contratto. Da rivedere in contesti più congeniali.
Apnea in azione sul palco del Kindergarten
Trick or Treat. [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Giovane stellina del panorama power-metal italiano, i Trick or Treat sono una delle band più divertenti e genuine degli ultimi anni, pronte a mettersi in discussione e a prendere sottogamba tutto l’immaginario classico del metal in nome della musica come puro divertimento. I ragazzi sono cresciuti a pane ed Helloween, e si sente: tutti i loro brani sanno di zucca, a partire da quel Like Donald Duck che conquista da subito un audience ridotto ma attento. Nei pochi minuti a propria disposizione il gruppo modenese cerca, guidato dall’ugola impressionante di Alessandro Conti, di presentare al meglio il proprio primo disco da studio Evil Needs Candy Too. C’è anche spazio per una cover delle muse ispiratrici, quella ostica Eagle Fly Free su cui tutta la band si muove egregiamente a eccezione del drummer: la sua prova negativa è una costante di tutto lo show e purtroppo condiziona non poco la resa di alcuni brani, non ultimo proprio il classico del Keeper II. Finale a dir poco adorabile per un amante del pop-rock anni ’80 come il sottoscritto, con la cover di Girls Just Want to Have Fun primo successo della cotonata Cindy Lauper.
Triple Axe Attack per i simpaticissimi (e bravissimi) Trick or Treat
Merendine Atomiche. [Federico ‘Immanitas’ Mahmoud]
Freschi reduci dal successo di Raw (a partire dagli States), i veneti hanno il difficile compito di succedere ai positivi Trick or Treat, i primi a infiammare il pubblico del Kindergarten. Serata non facile per il quintetto di Cittadella, ormai lanciatissimo sui binari di un thrash moderno e contaminato che non sembra entusiasmare la maggioranza dei paganti, anche se il gruppo si danna in tutti i modi per coinvolgere i più curiosi. Tra un lancio di merendine e qualche siparietto goliardico, il set procede senza particolari intoppi, puntando principalmente sul binomio aggressività / melodia ben esposto nell’ultima fatica; buona la prova di Zanda (vocalist potente e versatile) e David Bisson, in evidenza nei passaggi solistici. Vale quanto detto per gli Apnea: in altre circostanze avrebbero senz’altro guadagnato maggiori consensi.
Merendine Atomiche: per loro una serata non indimenticabile
Rain. [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Episodio positivo anche per i Rain, animali in gabbia – nel vero senso della parola, vista la rete metallica che circonda il palco del Kindergarten – pronti come sempre alla chiamata alle armi. La ricetta dei Rain è la solita: grinta, sudore e passione. Anche questa sera il plot non cambia se non per diversi brani del nuovo disco in prossima uscita, come Mr. Two Words, che fanno capolino tra le vecchie glorie (Heavy Metal, Born to Kill…) e le ormai confermate realtà di Headshaker (Blood Sport, Energy, Only for the Rain Crew…). Il tempo a disposizione è meno dei 90 minuti “da headliner” e permette ad Alessandro ‘Tronco’ Tronconi di buttare tutta la propria energia in un concentrato che stupisce anche chi ha già avuto modo di vedere la band più e più volte, nelle circostanze più disparate. Tutto sembrerebbe filare liscio non fosse per la pedaliera di Alessio ‘Amos’ Amorati, che decide di lasciare a piedi il chitarrista solista dei Rain costringendolo a rinunciare a una buona dose di effetti. La band, in primis lo stesso Amorati, riesce fortunatamente a limitare i danni e alla fine lo show risulta dinamico e coinvolgente, nonostante qualche riff venga abbandonato alle mani e alle corde dell’ultimo arrivato Luca ‘Cisco’ Enei e gli assoli vengano privati di un po’ di spessore sonoro.
Bonfire. [Federico ‘Immanitas’ Mahmoud]
L’ingresso dei Bonfire avviene a motori caldi, quando i Rain hanno già fatto il lavoro sporco. La prestazione del quintetto da Ingolstadt (Germania) – va detto subito – è superlativa e ripaga con gli interessi l’attesa del centinaio di fan accorsi. Il giudizio non si basa tanto su considerazioni tecniche (Claus Lessmann non avrà forse la voce di quindici anni fa, ma si difende bene!) quanto sulla bontà di uno show emozionante e sincero, in cui il sesto membro della band è il pubblico; interazione che non nasce solo dall’intimità del locale (che permette persino scorrazzate giù dal palco, tra gli spettatori), né dalla massiccia presenza di ballad, ma soprattutto dal contagioso trasporto che la band mostra anche dinanzi a una platea ben inferiore, per numeri, agli standard cui è abituata in patria. La scaletta pesca opportunamente dal trittico Don’t Touch the Light – Fireworks – Point Blank, anche se non mancano richiami alla discografia più recente, come Under Blue Skies o l’ottima opener Day 9 / 11. L’apice del set è però racchiuso nelle note di American Nights, Hard On Me o S.D.I., tanto per citare tre classici che hanno riscosso applausi copiosi e meritati; da rimarcare anche l’esecuzione di Tony’s Roulette, hit resuscitata dopo anni di silenzio. Chiusura in grande stile con la trascinante Bang Down the Door e Sweet Home Alabama, tributo a un brano immortale che fonde in un unico coro le voci dei presenti.
La serata ha mostrato un collettivo in buona forma, con la coppia Lessmann – Ziller ispirata e promossa anche all’esame delle ballad (Give It A Try e You Make Me Feel le più acclamate, seguite a ruota da Proud of My Country); si è avvertita forse l’assenza di un tastierista (Ready 4 Reaction o Sweet Obsession ne avrebbero giovato non poco!), ma nelle intenzioni del gruppo è prediletto un approccio live e più incentrato sulle chitarre.
Look e suoni di vent’anni fa sono irrimediabilmente perduti, ma il cuore dei Bonfire è pulsante e la band lontana dal pensionamento. Dopo la produttiva tappa in studio (Double X), ecco la conferma dal vivo: keep the Bonfire burning!
… Bologna Nights!