Report: Caliban, Bring Me The Horizon, Guests – 06/07/2008 – Pinarella
Giunto dopo un intreccio degno di Beautiful ad assistere a questo concerto, arrivo al Rock Planet verso le dieci di sera e lo spettacolo che mi si para davanti è quantomeno singolare: davanti ai cancelli del locale si accalca una folla eterogenea e variopinta, con ragazze e ragazzi frequentanti probabilmente i primi anni delle superiori accanto a gente molto più grande, magliette dei Death e dei Cradle of Filth accostate a frangette sbilenche e facce, non necessariamente femminili, ricoperte di eyeliner e fondotinta. Consapevole che per un metallaro andare ad un evento emo probabilmente è straniante esattamente come può esserlo per una persona qualsiasi presentarsi ad un concerto dei Dimmu Borgir o anche solo al Gods of Metal, evito di fare ulteriori considerazioni sulla “fauna” ed entro nel locale attendendo l’inizio dei concerti.
HOPES DIE LAST
Evitando di spendere parole sulla prima band della serata (hardcore garage-band di qualità più che scadente composta da ragazzini dalle scarsissime capacità tecniche) passiamo direttamente ai capitolini Hopes Die Last, act italiano sulla scia degli ultimi Alexisonfire che ben si difende sfoderando una buona prestazione aiutata da un pubblico partecipe che più di una volta si mette a cantare le canzoni dei nostri. Pur essendo la band più melodica della serata i nostri sfoderano una carica di aggressività non indifferente che si mostra soprattutto nei breakdown, durante i quali il pit comincia a scaldarsi in vista degli headliner della serata. Ottima soprattutto la prestazione di Nick, il cantante, sulla quale tuttavia non ci dilunghiamo in quanto i nostri sono ben lontani dalla concezione di true metal alla quale questo sito vorrebbe ispirarsi.
BRING ME THE HORIZON
Nuova sensazione del Brutalcore proveniente dal Regno Unito i Bring Me the Horizon hanno una capacità che solitamente appartiene solo agli intellettuali scomodi: quella di dividere le opinioni. Da notare è tuttavia in virtù di cosa essi si creino fans e detrattori… può essere forse la loro musica l’oggetto del contendere? Ma non scherziamo, il mattatore, il torero, il fomentatore d’animi della serata è il loro frontman Oliver “Oli” Sykes il quale, non appena sale sul palco, causa uno smottamento trasversale in platea, con ragazze che gridano, svengono, si strappano i capelli e ragazzi che danno via al coro da stadio “Scemo, scemo, scemo!”. I Britannici cominciano a suonare e si capisce immediatamente come mai il pubblico non trovi di meglio da fare che accapigliarsi sulla figura del cantante: escluso il frontman Oli infatti, screamer e growler abbastanza bravo, nonché intrattenitore di talento, la band non ha assolutamente nulla da offrire. Fautrice di una versione semplificata della formula Black Dahlia Murder, con zero tremolo e molti più breakdowns, essa non riesce nemmeno a tener dietro ad essa a livello esecutivo: se infatti nei rallentamenti i nostri, sebbene disuniti, risultano ancora intelligibili, nelle parti per così dire tirate essi si squagliano completamente riuscendo a creare solo qualcosa di molto simile al rumore bianco. Poco male comunque… con maschi impegnati nel pogo e ragazze intente a scattare foto la musica diventa un fattore secondario e non a caso l’unica canzone che viene riconosciuta da una buona parte del numerosissimo pubblico è Pray For Plagues, non più bella delle altre, ma semplicemente traccia numero 1 del loro disco di esordio. Tra gli sbadigli del sottoscritto e le botte da orbi in centropista lo show finalmente si conclude e si arriva agli headliner della serata: i Caliban.
CALIBAN
Che si sia fan o detrattori della band tedesca capitanata da Andy “Lord of the Eyeliner” Dorner bisogna ammettere che essa è una delle due o tre che ha contribuito a creare quello che oggi viene definito Metalcore. Siamo di fronte ad un act storico dunque, che è sulla scena da dieci anni e passa e che ha realizzato qualcosa come sei dischi nella sua carriera. E allora come mai la pista è vuota? Ebbene sì signori, dopo il concerto dei Bring Me The Horizon, soprattutto a causa della defezione del pubblico femminile, ma anche di molti maschi, il locale si è svuotato sensibilmente, tendenza che continuerà per tutto il corso del concerto fino a quando, durante l’ultima canzone, solo uno sparuto gruppo di fans della prima ora sarà rimasto ad inneggiare ai nostri sotto al palco. Veramente un peccato in quanto i cinque teutonici danno una vera e propria lezione di come i generi -core debbano essere suonati, ottenendo un impatto devastante ed una pesantezza degna delle migliori band del metallo passato e presente. Nonostante tutto bloccati sulla formula breakdown-cassarullante-breakdown i nostri riescono tuttavia a risultare molto più vari di coloro che li hanno preceduti sul palco, anche grazie ad una gestione dello show sapiente che mette tra le varie parti delle canzoni degli stop nei quali il frontman richiama il pubblico ed incita coloro che si stanno uccidendo dentro al pit. Nonostante tutto però la gente continua ad andarsene, lasciando la pista agli invasati del pogo e ad elementi ancor meno raccomandabili, i quali non mancano di sgambettare coloro corrono nei cirlepit, tirare spallate con tanto di rincorsa ai malcapitati delle prime file che altro non vorrebbero fare se non godersi il concerto ed anche elargire calci in faccia a una delle poche ragazze rimaste, sebbene “inavvertitamente”. Si arriva dunque alla conclusione di uno show nonostante tutto abbastanza corto che, cominciato parecchio tardi, deve comunque rispettare degli orari e dunque non concede nemmeno un bis. Prima della fine i nostri suonano canzoni come It’s our burden to bleed, I rape myself, Life is Too Short, Together Alone, Forsaken Horizon e In My Heart in una scaletta che cerca di pubblicizzare le nuove uscite senza però dimenticare i fasti del passato e soprattutto Shadow Hearts. Peccato dunque per coloro che se ne sono andati, perchè si sono persi uno show davvero convincente… sempre che fossero interessati alla musica.
CONCLUSIONI
Se qualche tempo fa, raccontando il concerto di Aborted ed Heaven Shall Burn proprio al Rock Planet, avevo fatto qualche considerazione sul fatto che ai concerti -core la musica diventi una colonna sonora sulla quale pogare e quindi la varietà e la bellezza artistica delle canzoni passi un po’ in secondo piano, dopo aver assistito alla venuta di Caliban, Bring Me The Horizon e compagnia sono costretto a portare le mie considerazioni all’ennesima potenza, aggiungendo ad esse anche una serie di note critiche. Il pubblico infatti non solo si è scatenato allo stesso modo sulla musica di tutti i gruppi, compreso l’obbrobrioso opening act iniziale, ma ha anche mostrato di ignorare totalmente la parte artistica della faccenda cominciando a pogare non appena i vari musicisti salivano sul palco e facevano un po’ di casino con gli strumenti, dunque addirittura prima che i concerti cominciassero! Se dunque solitamente il mosh vuole essere la concretizzazione di ciò che la musica esprime in questo caso si è persa totalmente questa dimensione, trasformando il concerto solo in una scusa per farsi male a vicenda, tirando calci volanti ufficialmente al vuoto, ma in realtà nella speranza di beccare qualcuno in faccia, come effettivamente è successo. A riprova di questa considerazione posso portare il fatto che il miglior gruppo della serata (i Caliban) è stato anche quello che ha visto meno pubblico assistere al suo spettacolo in quanto la gente, oramai stanca, se ne voleva tornare a casa ed aveva ben poco interesse a stare ad ascoltare le canzoni. Nessun bis è stato chiesto ai tedeschi, nessun tentativo è stato fatto per cercare di farli rimanere sul palco dopo che essi hanno salutato la prima volta.
Discorso a parte deve essere fatto per la questione, per così dire, femminile. Personalmente io sono felicissimo che le ragazze oggi come oggi stiano sempre di più avvicinandosi ai generi estremi, e se questo avvicinamento deve avvenire al prezzo del successo di bands piene di figaccioni di caratura artistica modesta ben venga, accanto ad essi otterrano la meritata gloria anche coloro che non sono così belli, ma suonano buona musica e potranno giovarsi del fatto che le ragazze, invaghite dal bello di turno, a forza di ascoltare la sua musica cominceranno anche ad abituare il proprio orecchio alle sonorità più estreme e dunque ad apprezzare il genere in toto. Ma al Rock Planet non è avvenuto nulla di tutto questo: il pubblico femminile è arrivato, ha inneggiato al suo idolo e se n’è andato senza colpo ferire e dimostrando un totale disinteresse per la musica. Ma siamo davvero in un’epoca così vuota?
In un ambiente in cui ai maschi interessa la violenza ed alle ragazze la piacenza fisica non stupisce dunque che facciano successo gruppi incapaci di suonare e che altro non fanno che accostare breakdown-accelerazione-breakdown-accelerazione chiamando questa catena di note “canzone” e sbattendola su un disco. Come in una discoteca la bellezza delle singole note non conta, ma basta che si senta la cassa battere ed un’atmosfera congeniale al proprio stato d’animo (c’è chi vuole la house allegra, chi invece preferisce la goa oscura e psichedelica), per mettere in piedi un concerto metalcore oggi sembra che basti trovare qualcuno che sappia fare un paio di accordi a fondomanico per far scapocciare la gente ed un paio di blastbeats (o anche semplici cassa-rullante se non si ha la tecnica per andare oltre) per farla pogare. E’ davvero così? Vogliamo che diventi davvero questo un concerto metal?
Naturalmente con queste considerazioni ho voluto essere molto provocatorio ed andare anche oltre a quello che sono stati i semplici fatti del Rock Planet il 6 luglio 2008… ma se andiamo avanti così non è detto che tra qualche anno le cose non diventino veramente nella maniera che ho descritto. E allora svegliamoci e cominciamo a farci una cultura musicale, sarà meglio per tutti.
Davide Iori