Report: Circus Maximus e Seventh Wonder, 08/11/08, Argelato (BO)
Serata di grande progressive ad Argelato, in provincia di Bologna, con due delle formazioni più giovani e interessanti a dividersi il palco del Kememeo. Lo scenario scelto dall’ottima organizzazione di Bologna Rock City è un locale spazioso e piacevole: molto buona anche l’acustica, decisamente superiore a quella di altre location limitrofe. Come da previsioni la partecipazione del pubblico è piuttosto contenuta, ben al di sotto delle cento anime; non per questo i presenti macheranno di far sentire il loro entusiasmo tanto agli headliner quanto alle band che si avvicenderanno sul palco prima di loro.
CHAPTER ZERO
Il compito di scaldare il palco spetta ai Chapter Zero, band della provincia felsinea giunta al debutto dal vivo. La formazione si presenta mutila del tastierista, la cui mancanza finisce inevitabilmente per condizionare l’esibizione della band. Questa pare articolarsi in un rock/metal dalle molteplici influenze, moderno nelle intenzioni e diretto nelle melodie, anche a causa di un repertorio vocale che passa da un registro classico a uno più aggressivo. Nella consapevolezza di non poter valutare compiutamente una proposta forzatamente tronca di una sua componente fondamentale, si può mettere all’archivio una prestazione attenta ma alla lunga statica e non molto coinvolgente, vuoi per via della comprensibile inesperienza, vuoi a causa di brani che, senza tastiere, non sempre riescono a tenere viva l’attenzione. Azzardata a tal riguardo la scelta di tenere la band on stage per un periodo decisamente superiore a quello concesso in genere agli act di apertura. Non è ben chiaro se l’estensione superiore al solito del concerto fosse programmata o meno, fatto sta che fin dall’esibizione dei Chapter Zero si innescherà una catena di ritardi destinata a prolungare oltremisura la durata complessiva dei concerti.
BLACK WINGS
Poco dopo la discesa dei Chapter Zero, viene il turno dei giovanissimi Black Wings, autori di un power metal veloce e melodico, con chiare influenze Helloween, Gamma Ray e, soprattutto, Angra. Questi ultimi sono richiamati soprattutto dalla predilezione da parte del cantante per ottave particolarmente alte e per un timbro per molti versi affine a quello di Matos. Le affinità con i gruppi che seguiranno sono in questo senso limitate, dal momento che di progressive i Black Wings hanno ben poco. Comunque sia, nonostante la giovane età la band dimostra una certa confidenza col palco, riuscendo a conquistare l’approvazione di buona parte del pubblico in virtù di una proposta molto diretta e dinamica. I brani soffrono un po’ di eccessiva omogeneità a livello compositivo, endemica di un certo power metal europeo, ma l’impatto su chi segue dalle prime file è senza dubbio notevole. Nel finale tuttavia la setlist tende a dilungarsi un po’ troppo a lungo senza riuscire a proporre quella varietà che giungerebbe più che mai gradita. Il protrarsi dell’esibizione restringe sposta ulteriormente in avanti i turni degli headliner, cosicché quando i Seventh Wonder saliranno sul palco le lancette avranno già superato l’ora undicesima.
SEVENTH WONDER
Giunti in Italia grazie all’impegno e alla passione di un pugno di supporter dello Stivale, i Seventh Wonder celebrano il loro primo (mini)tour internazionale con un concerto che senza esitazione possiamo dire entusiasmante. La band appare fin da subito dominata dalle personalità del cantante Tommy Karevik, in ottima forma fisica e vocale, e del bassista Andreas Blomqvist, appariscente e carismatico al punto giusto. Non capita spesso in effetti di sentire le chitarre soverchiate in modo quasi sistematico dai pattern del basso, che dopo quanto udito su disco si conferma uno dei maggiori punti di forza del combo svedese. La proposta dei Seventh Wonder si concentra in modo particolare sull’ultimo album, il cui straordinario potenziale non ha mancato di attirarsi le lodi dei più attenti appassionati del genere, anche se non mancano alcuni piacevoli inserti da ‘Waiting In The Wings’ (giustamente acclamata ‘Not An Angel’). I brani di Mercy Fall confermano dal vivo tutto il valore espresso sul disco: da ‘Unbreakable’ a ‘Welcome To Mercy Falls’, passando per la meravigliosa ‘Hide And Seek’ gli svedesi appaiono perfettamente a loro agio sul palco, senza tradire minimamente l’inesperienza a livello internazionale, al punto che chi fosse giunto ignaro nel locale avrebbe potuto tranquillamente scambiarli per gli headliner. La sorpresa maggiore tuttavia sta forse nell’accoglienza del pubblico, caldo e partecipe fin dalle prime note e tutt’altro che impreparato di fronte alla prestazione maiuscola della band, al punto da intonare a gran voce buona parte dei cori. La soddisfazione così è bilaterale: gli appassionati hanno potuto godere di uno show di prim’ordine e i Seventh Wonder sono tornanti a casa con un’esperienza bella e preziosa per il loro futuro. Speriamo che vogliano ripeterla presto.
CIRCUS MAXIMUS
Già apprezzati la scorsa primavera di spalla ai maestri Symphony X, i Circus Maximus tornano in Italia da protagonisti per il loro primo tour da headliner nel nostro paese. Il loro turno giunge quando la mezzanotte è già passata da un pezzo: certo nessuno si aspettava un’esibizione di tre ore da parte loro, ma l’ora tarda è un dato senza dubbio non convenzionale. Rispetto a quella dei Seventh Wonder, la prestazione dei norvegesi appare più corale e meno incentrata sui singoli, anche se è impossibile non rimanere a bocca aperta di fronte alle mirabolanti evoluzioni del batterista Truls Haugen, autentico fuoriclasse del settore. Un Michael Eriksen per nulla dimagrito ma ancora in ottima forma scandisce uno dopo l’altro brani che ormai sono già classici del progressive moderno. Rispetto all’esordio, la setlist tende inizialmente a privilegiare il successivo ‘Isolate’: la scelta sembra orientata non tanto da differenze qualitative (difficile stabilire gerarchie fra i due album) quanto dalla maggiore personalità che emerge nelle composizioni più recenti. Questo non significa che per quanto derivativi pezzi come ‘Glory Of The Empire’ non siano accolti con grande entusiasmo dai fan, deliziati da una scaletta che sa alternare con maestria acrobazie musicali e melodie efficaci. La buona acustica del locale valorizza l’impatto sonoro delle chitarre, esaltando la componente metal della band, decisamente a proprio agio nei panni di prim’attrice. Viene spontaneo a tal punto azzardare quel genere di critica che in genere si riserva ai grandi e che va a pungere i dettagli: in questo caso, se proprio, si può azzardare un appunto al cantante, Mike Eriksen: la sua prova è formalmente ineccepibile ma l’esecuzione non riesce a tratti a dissimulare una certa freddezza, eredità forse del padrino spirituale Tate. Si tratta comunque di dettagli men che secondari in uno show pienamente riuscito, che conferma di meritare appieno il titolo di headliner. La conferma che di talento ce n’è a volontà l’abbiamo avuta anche dal vivo, ora aspettiamo il capolavoro definitivo in studio.
Riccardo Angelini
Foto a cura di Mara Munerati