Report: Cryptopsy, Grave, Dew Scented, Aborted, Vesania, Hurtlocker (21/2/6, Mi)
Prima data italiana per il Domination Tour 2006, succulenta occasione per
tutti gli amanti dell’estremo di gustarsi alcuni fra i nomi più importanti della
scena metal mondiale, supportati da gruppi giovani ma come si suol dire di belle
speranze. Inutile girarci attorno, il nome messo ben in evidenza sul flyer del
concerto è quello dei canadesi Cryptopsy, reduci dall’ultima fatica
Once Was Not,
che hanno ripagato la lunga assenza dal suolo italico con uno show di fattura
superiore. Ma procediamo con ordine, passando in rassegna i gruppi in ordine di
apparizione.
Hurtlocker
È difficile
aprire qualsiasi concerto, scaldare il pubblico, farlo entrare in clima
concerto; dare il massimo suonando davanti a spettatori che attendono i propri
beniamini diventa un’impresa impossibile quando davanti agli americani
Hurtlocker si presenta il vuoto della sala. Scena piuttosto triste che apre la
serata quella del cantante Grant Belcher che richiama all’attenzione i
pochissimi presenti, con un’espressione quasi di rassegnazione e di sconforto.
Nonostante tutti gli sforzi per coinvolgere il pubblico con siparietti
divertenti (alla ricerca di un po’ di birra) il clima è quello che è, quindi
meglio mettersi sotto e cominciare a suonare. Prestazione più che sufficiente da
parte dei nostri, che grazie al conforto (almeno quello) di un buon suono,
sfoderano una ventina di minuti di sano thrash di stampo americano, con qualche
leggera divagazione hard core (più che altro nell’uso della voce). Niente di
nuovo, ma canzoni che si lasciano ascoltare molto volentieri, veloci, dinamiche
e molto potenti. Qualche imprecisione qua e là non intacca più di tanto la resa
dei brani, che scivolano veloci verso la conclusione.
Vesania
Tocca ai polacchi Vesania, autori di un sorprendente, a mio avviso, God The
Lux (uscito nel 2005) proseguire la serata. Un disco di black sinfonico, con
divagazioni death metal e inserti industrial che avrebbe ricevuto sicuramente
maggiori consensi se fosse stato pubblicato sotto un monicker più famoso. A
capitanare il quintetto polacco ci sono Orion (bassista dei connazionali
Behemoth)
qui in veste di chitarrista e di cantante e Daray, velocissimo batterista
dell’istituzione Vader. Sicuramente i due sono abituati a ben altre platee, ma
nonostante questo dimostrano grande professionalità, sfoderando una prova
soddisfacente, in cui le tracce dell’ultimo disco (che hanno la netta prevalenza
rispetto a quelle presenti nel disco di debutto) vengono riprodotte fedelmente,
fra cui si riconoscono fra le altre Path 1-Rest In Pain, Path
2-Posthuman Kind (maestosa) e Path 4-God The Lux. I ragazzi
tengono bene il palco, dimostrando una certa naturalezza nel suonare e dimenarsi
in headbanging e “facce truci da blackster”, sui quali spicca l’imponente figura
di Orion, che noncurante del pubblico ancora latente, dimostra di essere un
musicista alquanto poliedrico. Nulla da eccepire sulla sua prestazione vocale, che
attraversa un po’ tutti i regimi tra growl e scream, sia su quella alle prese
con le sei corde. Anche per loro poco più di venti minuti ed è gia ora di
liberare il palco. Una band con ampi margini di miglioramento gia dotata di un
discreto carisma. Da tenere d’occhio.
Aborted
Fra lo stupore generale dei fan accalcati alle transenne, che non si
aspettavano di vedere i belgi così presto, salgono sul palco gli Aborted,
o meglio quello che ne è rimasto. Infatti recentemente la band ha subito un
radicale cambio di lineup che ha visto l’abbandono del chitarrista Thijs
“Tace” de Cloedt e del bassista Frederic “Free” Vanmassenhove
sostituiti rispettivamente da Seb Purulator (Genital Grinder,
Barlog) e da Olivia Scemama (Barlog). Inoltre, siccome i guai
non arrivano mai da soli, l’altro chitarrista Stephane Soutereyand non ha
potuto partecipare al tour per motivi familiari, al posto del quale è stato
reclutato Matty Dupont (Emeth). Quindi una formazione decisamente
rimaneggiata, che dopo un breve sound-check, attacca il massacro con Dead
Wreckoning. Ebbene sì, parliamo proprio di un massacro vero e proprio,
quello che le casse gettano sugli spettatori è un sound tagliente e
pesantissimo, che nonostante la furia della musica proposta riesce ugualmente ad
essere sufficientemente fedele e preciso. Grandissima la prova del singer
Sven de Caluwe, che ripropone, estremizzandole ulteriormente, tutte le linee
vocali di cui è capace. Si passa dai grugniti più profondi alle urla più
sguaiate con una facilità disarmante, dimenandosi a più non posso e interagendo
con il pubblico per tutta la durata dello show. Esibizione che viene sorretta
dal drumming devastante Gilles Delecroix, semplicemente perfetto, dal
momento che le uniche note negative le possiamo riscontrare nei nuovi arrivati.
Io non ho potuto ascoltare gli Aborted nella formazione originale, ma
quello che si evince dall’esibizione dell’altra sera è che i sostituti avrebbero
avuto bisogno di qualche prova in più per affinare meglio il proprio feeling con
le canzoni. Finché si procede a tutta velocità non ci sono problemi, le
difficoltà insorgono durante gli assoli e le parti più ragionate in cui piccole
imprecisioni rovinano un po’ la realizzazione dei brani. Per carità sono
comunque delle sbavature, che la maggior parte degli spettatori non avrà nemmeno
colto, impegnati a farsi del male nel pit. La setlist proposta si concentra
principalmente sugli ultimi due album della band,
Goremageddon e
The Archaic
Abbattior, lasciando la sola The Holocaust Incarnate
(probabilmente la più “rovinata”…peccato) ad
Engineering
The Dead. Meticulous Invagination, Parasitic Flesh Resection,
The Saw & The Carnage Is Done macellano tutto il possibile, Blood
Fixing The Bled, Threading On Vermillion Deception (oltre alla gia
citata Dead Wreckoning) mettono in mostra tutte le capacità di una band
in grado non solo di assalire l’ascoltatore, ma di avvolgerlo anche con melodie
e suoni meno esasperati. Tutto sommato una prestazione più che buona, anzi molto
buona direi, se trascuriamo le piccole pecche descritte sopra. Una band in
continua ascesa che non ha intenzione di fermarsi di fronte a nulla, ci lascia
dopo circa trentacinque minuti abbondanti di musica, con l’arrivederci di
Sven al prossimo anno e con un nuovo disco. Speriamo in bene!
Dew Scented
Dopo l’apparizione del settembre scorso in supporto ai Nevermore, i
Dew Scented ritornano con il loro thrash/death tanto potente quanto monotono
a lungo andare. Esibizione che mi è parsa identica a quella vista nella data
milanese qualche mese fa, e per assurdo potrei anche dirvi di andare a
rileggervi quel report. I cinque tedeschi si riconfermano come una band molto
solida, che dimostra una certa esperienza nel tenere il palco e nello scaldare i
non pochi (si fa per dire) fan accorsi vicino al palco. Tanta energia, brani
veloci e facilmente assimilabili che a mio avviso tendono un po’ ad appiattirsi
se inseriti nel contesto di un concerto. Buona anche l’intesa tra il cantante
Leif Jensen e gli spettatori più vicini al palco. Insomma una prestazione
che personalmente avrei anche evitato, dopo la botta presa con gli Aborted
precedentemente, ma che ha raccolto comunque consensi, regalandoci una band nel
pieno delle forze e nel suo ambiente naturale, il live.
Grave
Si fanno attendere a lungo i Grave, band storica del panorama death
nord europeo; l’attesa cresce sempre più davanti al palco, passano lunghi
minuti, quando finalmente si posizionano i nostri e iniziano senza fronzoli uno
show crudo, terribilmente concreto, in puro stile svedese. Il trio macina riff e
pattern di batteria quadrati e lineari ma che colpiscono il bersaglio; un
pubblico molto caloroso sembra dare la carica ai nostri, che con il passare dei
minuti acquistano maggiore confidenza con il palco. I brani vengono estratti da
un po’ tutta la discografia della band, dal lontanissimo Into The Grave
(del 1991) sino al più recente Fiendish Regression (del 2004). Canzoni
mai troppo veloci, che contengono una carica ed un groove unici, unite alla
buona prova dei nostri danno vita ad un esibizione che trasuda death metal da
tutti i pori. Poche chiacchiere da parte del cantante, ma tanta sostanza e
passione. Certamente non si sopravvive così a lungo se non si hanno le capacità
per riuscire a farsi apprezzare in tutti questi anni, e i Grave hanno
dimostrato si sapere benissimo il fatto loro, chiudendo il concerto con una
granitica Into The Grave, salutata dai fan con vero e proprio boato.
Cryptopsy
Quando viene levato il telone dall’enorme batteria di Flo Mounier, e
il logo della band diventa ben visibile sul fondo del palco, è segno che i
canadesi stanno per arrivare. Dopo poco tempo, si abbassano le luci e un’intro
strumentale dai caratteri epici introduce i nostri, che uno ad uno si sistemano
imbracciando gli strumenti. Per ultimo giunge Lord Worm, che si
posiziona, come gli altri, mostrando le spalle al pubblico. Pochi secondi ancora e i
nostri si voltano tutti insieme, passi decisi verso il pubblico e via, parte
velocissimamente, con White Worms (da
Whisper
Supremacy) uno show degno della loro fama, rovinato inizialmente da
suoni pessimi (tant’è che riconoscere la prima canzone è stata proprio dura),
prontamente ritornati a livelli accettabili con il brano seguente. Mi risulta
difficile descrivere per prima che cosa mi abbia impressionato di più. Partiamo
dalla prova di Lord Worm, che attendevo con grande curiosità dopo la
prestazione non troppo esaltante dell’ultimo disco Once Was Not: non sarà
più ai livelli di
Non So Vile,
ma riesce comunque a catalizzare su di sé l’attenzione generale. Una prova direi
quasi teatrale, sofferta, in cui la prestazione vocale, molto buona a dir la
verità, viene accompagnata da movenze fameliche e mimica facciale di grande
impatto, accompagnando con grande energia i passaggi strumentali delle canzoni,
prodigandosi in cenni d’intesa con il pubblico in visibilio, e dando l’idea di
un frontman in buonissima forma. Alla sua destra vi è Alex Auburn,
impegnatissimo in esecuzioni funamboliche, fulminei assoli e backing vocals, il
tutto eseguito con una facilità disarmante, stando ben attento a coinvolgere
anch’egli i sostenitori. Lo stesso dicasi per Eric Langlois al basso e al
secondo chitarrista Christian Donaldson, entrambi perfetti ed
estremamente coinvolgenti. Questa è appunto la cosa più sorprendente, nonostante
la difficoltà esecutiva dei brani, i nostri si dimenano il più possibile in
lungo e in largo, come se stessero suonando “canzonette”, dimostrando (come se
ci fosse bisogno di una conferma) un bagaglio tecnico mostruoso. Per ultimo,
Flo Mounier, che dire… Le qualità di questo musicista sono ormai
conclamate, inutile quasi sottolinearne i pregi; uno stile unico che lascia
semplicemente senza parole. I brani proposti sono prevalentemente estratti
dall’ultimo album, Carrionshine, Adeste Infidelis, The
Pestilence That Walketh In Darkness [Psalm 91 : 5-8], Endless Cemetery,
sono vere e proprie bombe ad orologeria pronte a detonare, eseguite se possibile
ancora più velocemente rispetto alla versione su disco, che mi hanno fatto
definitivamente apprezzare il mood violentissimo di Once Was Not.
Intrattenendo brevemente il pubblico fra una canzone e l’altra, Lord Worm
annuncia la splendida Abigor (da
Blasphemy
Made Flesh), insieme a We Bleed (da
And Then
You’ll Beg) durante la quale il frontman scende a contatto diretto con i
fan assiepati alle balaustre, passando da Graves Of The Father sino alla
conclusiva Phobophile, estratte dal seminale Non So Vile. Un
concerto splendido a mio modo di vedere, che purtroppo si è rivelato un po’
avaro nel minutaggio complessivo. Tre
quarti d’ora abbondanti in cui i Cryptopsy si sono confermati come una
delle migliori band a livello mondiale, a cui proprio non manca niente: ottime
canzoni, grande carisma e tecnica sopraffina. Un vero peccato che uno spettacolo
del genere, oltre alle band di tutto rispetto esibitesi in precedenza, abbia
radunato così poca gente. Una serata iniziata in modo grottesco e salvata in
parte solo
nel finale, che invita a riflettere sulla (presunta?) fame di metal che
attanaglia noi ascoltatori. Fame di metal o fame di grossi nomi?
Stefano Risso