Report: Dark Funeral, Naglfar, Endstille, Amoral (TV)
Non è la prima volta che il New Age Club di Roncade ospita serate metal di livello, basterebbe citare la recente accoppiata Obituary + Samael per averne un’idea. L’appuntamento di giovedì 10 marzo 2006 non fa eccezione e vede in scena un cast d’estrazione black metal con gli svedesi Dark Funeral, i loro connazionali Naglfar ed i tedeschi Endstille, tutti supportati dall’interessante intrusione dei deathsters Amoral, giovani ma con una dose massiccia di idee chiare.
I finlandesi se ne saranno accorti mentre sbirciavano la platea prima dell’esibizione, capendo fin dall’inizio una cosa: la loro sarebbe stata una prestazione per pochi fortunati. Il quintetto sale sul palco in un clima tiepido, ma la carenza di audience non frenerà all’energia della band, meritevole di un premio ideale per aver sputato sudore e non solo (leggasi il singer Kalliojärvi prolifico come un lama ed in lotta con un tappeto), fregandosene della realtà. Di questi riconoscimenti teorici i nostri non ne avranno bisogno, basterà il loro death metal moderno per dimostrare delle qualità, spinte da una distorsione muscolosa, riff stoppati all’occorrenza, velocità sostenute e growl potente. Una prestazione vitale, relativamente precisa per favorire lo show vero e proprio, tra il buon movimento sul palco a sottolineare la musica dandovi dinamismo, e l’entusiasmo nel suonare “in faccia” ai presenti divertendosi. L’impressione finale è di una band tutt’altro che stupidamente debitrice ad un nome o filone, dotata di idee, inventiva, che mi ha interessato dall’inizio alla fine del breve set malgrado non li avessi mai ascoltati prima.
Che la serata fosse black oriented era evidente dal menù, dopo l’entrata degli Endstille diventa palese. Peccato che i tedeschi, a dispetto delle loro credenziali oltranziste, si presentino sul palco con un approccio scenico disomogeneo e fastidioso che ha deluso il cultore del “trucco e parrucco” black che vive in me. Malgrado le mie aspettative estetiche disattese (direte voi – affari tuoi), la sostanza sarà fatta di potenza, impatto sonoro e velocità esecutiva più che adeguati e sostanzialmente fedeli all’approccio su disco; condizioni fondamentali viste le loro caratteristiche. Scaletta ovviamente succinta ma positivamente variegata, dominata dalle tonsille slabbrate del singer Ibis, catalizzatore principale dell’attenzione con il suo aspetto true black e maglietta “culto” dei Bathory. Gli Endstille non sono un nome fondamentale del panorama, malgrado si presentino implicitamente sul loro sito come “la risposta al bisogno della Germania di avere una black metal band”. Sanno però difendersi egregiamente, giustificando la fortuna di suonare in un tour importante, con la scelta di una coppia brani validi per album tra cui “Frühlingserwachen“, “Ripping Angelflesh“, “Dominanz“, “I Bless You… God” e “Navigator“. A margine segnalo il rimarchevole esercizio fisico del simpatico batterista, impegnato a reggere una parte delle velocissima sezione ritmica roteando quasi costantemente il capo (anche se mostrare il sedere nudo e sorridere troppo non è black metal!), e la compassata staticità del chitarrista Wachtfels, immoto come una statua di sale.
Passata alla storia del concerto la prova degli Endstille, l’approfondito lavoro di cambio palco trasmette un messaggio sott’inteso: “ok, bravi tutti, ora però tocca ai quelli famosi”. E’ così che lo stage si svuota del superfluo per lasciare un adeguato spazio d’azione agli svedesi Naflgar, che io reputo qualitativamente pari se non superiori agli headliners. Malgrado non sia rimasto particolarmente soddisfatto dell’ultimo Pariah, ancora una volta si conferma la regola che un approccio live efficace è in grado di risvegliare pezzi quali “Spoken Words Of Venom“, “The Perpetual Horrors” e “A Swarm Of Plagues“, su disco un po’ sottotono ma qui spinti da tutt’altra energia, grinta, tonicità, compagni degni degli estratti da Sheol (“I am Vengeance” – “Wrath of the Fallen“). Doverosa per la band, la citazione dal poco apprezzato Diabolical con “Horncrowned Majesty” e “12th Rising“, mentre immagino delusi i fans degli esordi, per non aver sentito altro che “As the Twilight Gave Birth to the Night” tratto dal mitico Vittra. I Naglfar sono una band professionale, dalla tecnica musicale di primissimo livello, ottimo impatto (con una macchina da guerra alle pelli) e presenza rodata ed energica. Valido e scenico l’esaltato Olivius, prima chiuso nel suo nero e “stiloso” pastrano, poi lanciato in una maglietta targata Bewitched anche se, come su disco, la defezione di Rydén alla voce si è fatta sentire. Comunque, io ho visto dei Nagflar più che positivi.
E’ così la volta dei Dark Funeral, che, potrò anche non apprezzare su disco dai tempi di Vobiscum Satanás snobbandoli, ma che dal vivo rappresentano un’esperienza da provare almeno una volta nella vita. Lo scontro d’immagine con chi li ha preceduti è fortissimo, dimostrazione evidente del loro essere una sorta di “organizzazione” musicale, una macchina che può avvalersi d’un contorno non da tutti nel black metal, fatto anche di uniformi di scena in pelle (molto curate) ed un’aria di chi suona per mestiere. I Dark Funeral che ho visto sono un quintetto capace di un muro sonoro impressionante esaltato dallo spazio chiuso di un locale; annichilenti ed affascinanti per chi, come me, non li aveva mai visti prima. Resto sempre dell’idea che non ci sia paragone in fatto di genuina ed oscura blasfemia tra i “vecchi” Dark Funeral (quelli di The Secrets Of The Black Arts e Vobiscum Satanas) ed i più recenti, benché l’ultimo Attera Totus Sanctus riesca a rievocare in alcune sue parti lo spirito dell’esordio. Trattandosi degli headliner sarà lasciato ampio spazio ad una carrellata completa della loro carriera, cogliendo principalmente brani dall’album recente tra cui “King Antichrist“, “666 Voices Inside” e “Atrum Regina“, senza dimenticarsi della carica blasfema di “Ravenna Strigoi Mortii” o “Slava Satan“, richiamando il passato omaggiandolo con “Open the Gate“, “My Dark Desires“, “Bloodfrozen” e “An Apprentice Of Satan“.
Come già detto, i Dark Funeral non sono soltanto una formazione famosa, sono qualcosa in più e ne sono ben coscienti, soprattutto quel “piacione” che risponde al nome di Emperor Magus Caligula, attore ed interprete consumato sul palco che non ha perso l’occasione di “ruffianarsi” simpaticamente le donne nostrane, sprecandosi in elogi alla bellezza italiana (prontamente invitato ad andare “a quel paese” da uno dei presenti). Alla vigilia, mi immaginavo annoiato dopo qualche pezzo, invece, passato il primo momento di stupore per cotanto assalto ed una successiva fase di stanca, eccomi attento e per nulla nauseato da una velocità (se possibile) superiore a quella su disco. Una sensazione ho sentito palpabile: nonostante l’esecuzione efficace, nonostante l’evidente potenza stordente, dai Dark Funeral ho percepito molto controllo e la mancanza della passione tipica dell’underground, quella viscerale ed animalesca che accompagna i gruppi meno affermati nelle loro serate migliori. Avrei voluto veder scorrere più sangue.