Report del MetalFest2003 (Vienna, 23-24/08/2003)
Parole di AlexTheProgman, Immanitas e Zac.
L’attesa per questo festival si è rotta proprio venerdi 22 quando Alex, Immanitas, Zac e Galadriel18 si accingevano a raggiungere l’immensa Vienna per assistere ad un’importante evento: MetalFest 2003 assieme a diversi ragazzi dell’Italian Blind Guardian Fan club.
Arrivati più o meno puntuali al camping (erano le 23 circa dopo quasi 7 ore on the road) montavamo le tende in un ambiente molto diverso da come i reduci del Wacken immaginavano. Pulito, accogliente e soprattutto tranquillo.
Primo giorno
I cancelli della minuscola arena (avevamo pensato ad una sorta di grande spazio aperto stile Arena civica di Milano) si aprivano e il lungo serpentone umano si dirigeva lungo l’ingresso.
Escludendo i Mystic Circle (la cui performance, in concomitanza con l’apertura dei cancelli, è stata persa da molti), sono stati gli svedesi Naglfar ad avere l’arduo compito di aprire la due giorni del festival. Il black melodico della band risulta evidentemente inadatto in un contesto come questo, che vede suonare il gruppo in pieno giorno e davanti ad un pubblico disorientato: il combo riesce tuttavia a far breccia nel cuore dei pochi appassionati, alternando brani dai due lavori più acclamati (Vittra e il recente Sheol), per un concerto tutto sommato positivo.
Il quintetto Die Apokaliptischen Reiter si presenta puntuale alle 17.00 per dare vita ad uno degli spettacoli più acclamati dell’intera giornata: i Reiter sono un gruppo più seguito da queste parti, e la risposta del pubblico di Vienna non faceva che confermarlo.
Assolutamente da menzionare la prova del frontman che si è rivelato un vero animale da palco, capace di aizzare la folla in ogni momento con le sue movenze e le sue espressioni circensi. La band non si risparmia, chiudendo il set con “Metal Will Never Die”, brano onesto senza grosse pretese, vero cavallo di battaglia della band tedesca e cantato a squarciagola dalle prime file. Uno show pittoresco e divertente.
Tra i gruppi chiamati sul palco nella prima giornata non potevamo di certo perdere i vichinghi Amon Amarth, ancora on the road a promuovere il convincente “Versus The World”, ormai uscito da un anno. Guidati dal possente Johan Hegg, che lancia subito la sua dichiarazione di guerra, gli svedesi partono alla carica con “Death In Fire”, opener dell’ultima release, da cui saranno estratte a breve distanza anche la granitica title-track e la splendida “Where Silent Gods Stand Guard”, a spezzare i ritmi forsennati del gruppo.
Non convince fin troppo il sound delle chitarre, che risulta disomogeneo (ma questa sarà una costante del festival) e rischia in più di una circostanza di sovrastare i ruggiti del vocalist. Non mancano ovviamente i richiami alle prove più blasonate dei nostri, con estratti da “The Crusher” e dal capolavoro “Once Sent From The Golden Hall”. L’episodio più convincente è però risultato la splendida “Sorrow Throughout The Nine Worlds”, che ha lasciato un segno indelebile nella memoria del pubblico.
Inutile nascondere la delusione dell’esibizione del trio tedesco Destruction che proprio quest’anno festeggia i venti anni di attività (pur considerando il breve periodo di silenzio che il gruppo ha conosciuto negli anni ’90).
La delusione non nasce tanto dalla prova del gruppo, come al solito aggressiva e convincente (e chi era presente anche solo al Gods Of Metal di quest’anno sa di cosa si parla…), quanto dal comportamento del pubblico austriaco, assolutamente ingrato e ingiustificato.
Schmier e soci aprono come al solito con la nuova versione della classicissima “Curse The Gods”, seguita a ruota da “Mad Butcher”: sotto il palco ci saranno sì e no quaranta persone. Una set-list piena zeppa di classici (solo per citarne alcuni: Bestial Invasion, Thrash ‘Till Death, Nailed To The Cross, o la sorpresa “Whiplash”, che non verrà suonata) non basta a svegliare il pubblico accorso all’Arena di Vienna, e alcuni problemi tecnici (primo fra tutti un costante problema alla chitarra di Mike) danno il colpo di grazia alla performance del trio, che chiude in anticipo e abbandona il palco visibilmente sconfortato e irritato.
Un trattamento simile per una leggenda del metal europeo è francamente inspiegabile… forse il pubblico italiano non è il peggiore come molti ritengono. Davvero un peccato.
Dopo la performance dei Paradise Lost tralasciata volutamente per l’amaro in bocca lasciato dalla questione Destruction (il malumore di Immanitas e di Alex cominciava a farsi notare a causa del taglio della scaletta interessante) arriva il momento dei Blind Guardian. Nel frattempo, stanchi e indeboliti dal solleone approfittavamo del momento per mangiare un boccone dato che i sottoscritti erano rimasti a stomaco vuoto dalle 9.00 del mattino.
Messe da parte le aperture atipiche del SummerDayInHell e del Metalmania
(Time Stands Still seguita da Banish From Sanctuary) i bardi di Krefeld sono
saliti sul palco del MetalFest carichi e determinati pronti a 80 minuti tra
i più classici possibili. Inizio adrenalinico con l’intro apripista War of
Wrath seguito come su album da studio da Into The Storm. La devastante
Welcome To Dying tiene alti i ritmi fino alla clamorosa magia di Nightfall.
Inizialmente (e purtroppo anche in seguito) il pubblico seguiva compiaciuto
ma troppo freddo di fronte ad un’esibizione e una grinta che meritavano ben
altro trattamento. Tranne in rari casi cori e movimento non si protraevano
oltre le prime dieci file, e nemmeno di fronte a brani del taglio e della
carica di The Script For My Requiem l’entusiasmo è riuscito ad andare oltre
a qualche focolaio qua e là, scatenato dal pogo e dal furioso headbanging
dei fan degni giunti sino a Vienna. L’arena era due volte un locale come
l’Alcatraz di Milano, eppure la partecipazione era a tratti vergognosa…
Per fortuna con due capolavori come Valhalla e Lord of the Rings c’è ancora
chi riesce a non vivere un concerto metal come un film al cinema… e di
questo rendiamo grazia agli dei del metallo. Con I’m Alive sale in cattedra
mister Thomen Stauch in veste di fabbro ferraio e dimostra per l’ennesima
volta le sue assolute capacità di drummer veloce, potente e impeccabile.
L’esecuzione dell’epica e coinvolgente Mordred’s Song è qualcosa da pelle
d’oca, grazie ad un grandioso frontman quale Hansi il viaggio attraverso
l’animo di Mordred il ragazzo cattivo è pungente e accattivante. I
quattordici minuti di And Then There Was Silence passano veloci e senza
errori a testomonianza di una tenuta non indifferente da parte della band.
The Bard’s Song (In the Forest) doveva essere quel momento in cui il
pubblico avrebbe fatto crollare l’arena a forza di cori, ma niente da fare…
uno scempio totale su quello che, per quelli che erano a Vienna, doveva
essere un inno da cantare col cuore. In Italia le cose sarebbero andate in
modo assai diverso… anzi sono andate in maniera totalmente differente.
Ovviamente non poteva mancare la classica Imaginations From The Other Side
uno dei pezzi migliori della produzione di casa Blind Guardian, a cui è
affidata la chiusura la prima parte di concerto.
E’ tempo del bis composto da un altro tassello tratto da Imaginations From
The Other Side, ovvero And The Story Ends e dalla conclusiva Mirror Mirror
che come è consuetudine nei live dei bardi mette la parola fine allo show.
Come sempre i Blind Guardian hanno dimostrato di saper fare a dovere il loro
mestiere con un Hansi in continuo progresso e una parte strumentale perfetta
con Andrè Olbrich preciso e pulito come su disco. Non si può certo dire che
la band fosse distaccata dal pubblico, la passione e la devozione con sui il
combo tedesco ha affrontato la sua 83esima data di questo World Tour è stata
la stessa vista un anno fa… è stato invece il pubblico austriaco a non aver
adempiuto al proprio dovere di fronte ad un gruppo ed a uno spettacolo di
questo calibro.
Dopo lo show Hansi e Thomen, all’esterno dell’arena non si fecero supplicare per concedere foto, autografi e strette di mano. Hanno dimostrato la stessa cordialità e affabilità esattamente come al Gods 2002 e Summer Day In Hell 2003. Tra l’altro Thomen restò entusiasta dell’esistenza di questo esiguo gruppo di italiani.
Secondo giorno
L’attesa per il secondo giorno è decisamente più forte: i Saxon erano l’unico gruppo di tutto quel bill cui tenevamo di più.
Gli olandesi God Dethroned, nome storico della scena death europea, sono chiamati sul palco a scaldare gli animi in vista di una giornata piuttosto interessante. Nonostante l’orario proibitivo, una discreta fetta di pubblico tributa i giusti onori al four piece guidato da Henry Sattler, pronto a mettere a ferro fuoco il palco. La band sciorina un brano più devastante dell’altro, come testimoniano i vari “Serpent King” (opener di Bloody Blasphemy), “Villa Vampiria” (da Ravenous) o alcuni brani dell’ultimo nato Into The Lungs Of Hell (la title-track e The Tombstone). Proprio dall’ultima release viene estratto anche il brano di chiusura, l’abrasiva “Soul Sweeper”, che suggella una prova violenta e convincente.
Più avanti i Within Temptation grazie alla voce della professionista e carismatica Sharon Del Adel che in tutta la sua bellezza si è presentata con indosso un vestito molto pittoresco proporranno uno spettacolo di buoni livelli, senza grosse pretese né esibizionismi vari. Degna di nota anche la coreografia che non si limitava a qualche telone spiegazzato in lungo e in largo. La musica in questione è molto delicata e piacevole; ad ogni modo pur non conoscendo bene la band è impossibile fornire un giudizio pessimo.
Tra le esibizioni più convincenti dell’intero festival c’è da ricordare quella dei violentissimi Napalm Death, indiscussi precursori del grind-core tornati recentemente alla ribalta con l’ottimo “Order Of The Leech”. Proprio dall’ultima release sono estratti alcuni brani che scaldano subito la folla, che sembra apprezzare la proposta del four-piece di Ipswich, preso per mano da uno scatenato Barney Greenway (che si alterna al microfono con Mitch Harris) e dallo storico bassista Shane Embury, il membro più longevo nella line-up del gruppo, martoriata per anni da continui split.
La band non si risparmia, e tra un medley e l’altro regala anche la classica cover di “Nazi Punks Fuck Off”, non prima di distruggere tutto con la devastante “Siege Of Power”, cavallo di battaglia dello storico Scum e ultimo episodio di una scaletta breve ma intensa.
L’esibizione di questi strani Letzte Instanz era ormai vicina:
Costoro se avessero lasciato spazio ai Saxon (giusto quell’ora in più che hanno letteralmente saccheggiato) sarebbe stato meglio. La loro proposta musicale faceva pietà, violini e contrabbassi tanto per fare un po’ di scena, scalzi e saltellanti per il palco hanno proposto uno show che a mio modesto giudizio sapeva più di cabaret inutile e fuori luogo. Il pubblico sembrava stranamente coinvolto da questi strani personaggi; a questo proposito non aggiungo altro.
Alle 19.30 inizia il concerto degli In Flames, senza dubbio il gruppo più atteso del festival, Blind Guardian permettendo. Il five piece svedese è tornato in auge con la pubblicazione del controverso ma acclamatissimo “Reroute To Remain” (da cui verranno proposte “Cloud Connected” e “Drifter”), di cui sta concludendo il tour promozionale: è chiaro che lo show della band di Gotheborg sarà incentrato sul materiale più recente, con estratti anche dal nuovissimo ep Trigger (la title-track) o dal celebre “Clayman” (un’energica “Only For The Weak”), a cui gli In Flames devono molto in fatto di popolarità. Lo show si snoda fortunatamente senza problemi tecnici, e c’è anche il tempo di gustarsi qualche effetto pirotecnico (niente di paragonabile tuttavia al set esplosivo che aveva condito l’ottima prestazione di Wacken), prima che gli ultimi brani (questa volta risalenti alle vecchie glorie del gruppo, Whoracle e The Jester Race) chiudano una performance convincente, come testimoniano i volti visibilmente soddisfatti dei fan giunti all’Arena.
Saxon: storia e leggenda allo stato puro. Dopo l’esibizione al Gods Of Metal 2003 la voglia di assistere ad un loro spettacolo in veste di headliner era davvero forte… l’occasione è quella della seconda sera al MetalFest di Vienna. In mattinata Biff Byford in tutta la sua grandezza, andando in giro per il pubblico. Non è stato affatto avaro di sorrisi e di strette di mano alla notizia che c’era gente dall’Italia per vederli, anche se onestamente era un po’ scontento del fatto che i suoi Saxon dovessero suonare soltanto 70 minuti scarsi. Purtroppo però l’atmosfera che si respirava tra i presenti era addirittura peggiore del giorno precedente. Pochi headbangers e rari i cori che si levavano esclusivamente tra i furiosi fan della prima fila sottostante il palco.La scaletta era quasi identica a quella del Gods of Metal, apertura affidata a Heavy Metal Thunder, la title-track estratta da Dogs Of War con tutta la sua grinta ed il suo tiro seguita dalla cover di In The Court Of The Crimson King dei progressivi King Crimson (se l’avessero conosciuta in 5 sarebbe stato tanto…)Esattamente come al Gods Of Metal Biff si è rivolto al pubblico accettando le richieste in merito a brani nuovi o vecchi da eseguire: Old song or New song? La risposta è piuttosto ovvia. Immancabili 747, Motorcycle Man, Princess Of The Night, Crusader e Wheels of Steel che ha chiuso uno show favoloso vincendo lo “scontro finale” con Denim & Leather.Non resta che rinnovare il disappunto per la fatiscenza e il menefreghismo del pubblico, indegno di poter assistere a ciò che i Saxon (e non solo) hanno dimostrato di essere in questo festival.
Il Direttore di questo portale a suo tempo disse: meglio ubriacarsi di un glorioso passato che di un presente di miseria. Coloro che hanno scritto questo report non possono fare altro che trovarsi in sintonia con questo pensiero.