Report: Dissection + Watain – 24/11/04
A Codevilla, un gelido (e nebbioso) mercoledì di fine Novembre, si
materializza quello che per molti “estremisti del metal” è un
assoluto evento: il ritorno live dei Dissection, storica band svedese di
cui tutti praticamente sappiamo tutto, vuoi per le memorabili uscite musicali,
vuoi per le meno storiche gesta del loro cantante e leader assoluto, Jon Nödtveidt,
che è uscito solo quest’anno dal carcere per complicità in un omicidio. Un
ultimo strascico della follia che ha coinvolto quasi tutti i gruppi più
importanti del filone black in Scandinavia negli anni ’90, e che non è questa
certo la sede per giudicare.Resta il fatto che davanti ad un gruppo capace di sfornare pietre miliari
assolute come The somberlain e Storm of Light’s bane,
per chi scrive album importantissimi anche per una crescita musicale personale,
i primi ad operare un crossover tra sonorità altrimenti incompatibili come il
black, certo death e molto heavy/thrash, non si può certo restare indifferenti.
Ma sono personalmente convinto che, come è naturale che sia, molti tra i
numerosi spettatori accorsi siano stati attirati anche dalla fama sinistra
creatasi intorno a Jon…
Il che non toglie che per il sottoscritto in primis questo concerto
rappresenti un momento musicalmente fondamentale: vedere suonare a pochi metri
capolavori prima visti solo sul nastro di una videocassetta è una sensazione
strana, vista anche la lunga attesa necessaria per la sua realizzazione. Attesa
pienamente ripagata, come vedremo.
A supportare il quartetto scandinavo vi sono per l’occasione i connazionali Watain,
autori di un black molto più canonico (ed impersonale), che si assesta
grossomodo intorno alle coordinate tracciate lustri fa dagli Emperor, ma che dal
vivo acquista maggiore rozzezza; l’ultimo album Casus Luciferi
aveva lasciato un discreto segno, anche se forse troppo incensato dai media
specializzati… sta di fatto che anche per loro una certa attesa era d’obbligo.
Peccato che il tutto sia stato vanificato da una performance sostanzialmente
scialba, anche se non da bocciare: una sufficienza che raggiungono in virtù
delle buone composizioni, ma che viene intaccata pesantemente da una piattezza
esecutiva purtroppo comune a troppi gruppi black metal, sul palco; e che rischia
di affondare di fronte a gesti da baraccone come il lancio di un volatile,
debitamente fatto a pezzi dal vocalist, sul pubblico all’inizio della gig.
Niente che dopo un decennio di dimostrazioni ben più serie di spettacolo possa
impressionare, come potrete immaginare.
Va anche detto che il gruppo è penalizzato dalle difficoltà riscontratesi,
dalla metà dello show in poi, con l’amplificatore della chitarra: per la
seconda parte del concerto infatti i Watain vedranno spesso sparire il
suono di P. Forsberg, che più di una volta deve fermarsi a controllare
il proprio strumento. Ma i difetti restano, anche se qualche pezzo emerge dalla
mischia per un’idea, un’intuizione melodica o un’aggressione ritmica da notare.
Ma è dopo l’interminabile cambio di palco che la folla si accalca contro le
transenne, riempiendo il Thunder Road quasi del tutto: la gente è ansiosa di
vedere Nödtveidt, che precedentemente si aggirava tra i fans facendo
foto e firmando autografi con grande disponibilità, all’opera con la sua
chitarra ed i suoi nuovi compagni d’avventura, visto che la band (ora
denominatasi “Rebirth of Dissection”) è cambiata in tutti i
suoi componenti, tranne che ovviamente per quanto riguarda il proprio
leader.
Logico quindi che quando le prime note dell’intro At The Fathomless Depths
vengono diffuse dalle casse si levi il boato tra i presenti: e l’entrata in
scena del gruppo non è da meno, visto che sa subito la ressa si fa quasi
insostenibile sotto al palco. Si attacca immediatamente con una delle highlights
di sempre del gruppo: quella Black Horizons che apriva anche il loro
album di debutto e ne costituiva uno degli episodi più affascinanti e
complessi. Epica e maestosa, con un chorus indimenticabile, ci mostra subito un Nödtveidt
in piena forma, sia alla chitarra che alla voce: è uno di quei cantanti capaci
di interpretare il pezzo, e non solo di cantarlo. Tutti gli occhi sono
quindi su di lui.
Normale che l’attenzione verso gli altri componenti della band vada
parzialmente in secondo piano, ma va detto che mi è parso ottimo il lavoro
dell’italiano Set Teitan, che conoscerete come chitarrista degli Aborym:
si sa che non è certo facile seguire le partiture e gli arrangiamenti dei Dissection,
ma il musicista romano fa il suo dovere con concentrazione e un ottimo
risultato, anche sulle parti più veloci. Ingiudicabile la prova del bassista Brice Leclercq,
che non ho di fronte (trovandomi all’estremità opposta del palco) e non sento
emergere particolarmente dagli speakers, mentre mi ha decisamente deluso
l’operato del drummer Tomas Asklund: si tratta, per intenderci, dell’Alzazmon
che aveva suonato sui primi albums dei Dark Funeral, oltre che con i Dawn,
ma qui non riesce a fornire quella potenza che i suoi predecessori dietro alle
pelli dei Dissection avevano saputo dare; molto meno tecnico sia di Ole Öhman
che dello stratosferico Tobias Kellgren, segue la velocità dei pezzi
senza alterarla (per fortuna!) ma non ha varietà, nè appunto una potenza
sonora convincente.
Cosa che passa comunque quasi inosservata quando il combo ci snocciola
classici di sempre come Night’s Blood, Soulreaper e la splendida Where Dead Angels Lie,
attesissima da tutti: brano su cui la verve interpretativa del singer raggiunge
i massimi livelli, così come l’interazione con le prime file, ormai in delirio.
Tra gente che sale sul palco e ne viene immediatamente cacciata, t-shirts che
volano e pogo selvaggio si prosegue con brani più vecchi, come In The Cold Winds Of Nowhere
e Frozen, e l’unico inedito della serata: il controverso nuovo singolo Maha
Kali, che oltre all’evidente cambio di tematiche a livello lirico mostra un
ammorbidimento che lascia interdetti, specie se raffrontato ai brani eseguiti
prima e dopo di questo: scarno, sostanzialmente banale, riprende la formula
dell’autentico sound del gruppo lasciandola però come una scatola vuota, senza
lo spessore di un qualsiasi brani dei dischi precedenti. E non aiuta di certo lo
stacco con le voci femminili preregistrate alla fine del pezzo…
Ma questo è uno show nostalgico, per forza di cose, e si torna alla storia
con canzoni immortali come Unhallowed (eseguita più lentamente che negli
shows di una volta… che sia la nuova versione, anch’essa presente sul singolo
e decisamente annacquata a livello sonoro?) e, poco prima della fine, The
somberlain, a grande richiesta dei fans. Non mancano inoltre la cover di Elizabeth
Bathory degli ungheresi Tormentor e la conclusione con la splendida A
land forlorn.
Una prestazione da incorniciare, quindi, un altro tassello per un’Italia del
metal estremo che non ha avuto sempre la fortuna di vedere i gruppi migliori di
questo settore passare nei propri confini: ora speriamo che l’avventura duri,
che si torni a parlare solo di musica, e di musica all’altezza del nome dei Dissection.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli