Report: Earthshaker Fest 2005
EARTHSHAKER FEST 2005
Report e foto a cura di Gaetano “Knightrider” Loffredo
DAY ZERO
Alla tenera età di 27 anni e, dopo quindici di morbosa dedizione alla causa, vi assicuro non è semplice commentare in maniera oggettiva quello che reputi fin dal primo momento dopo l’esibizione dei “Re dei Re” il miglior concerto vissuto nella tua vita.
Ecco, forse questo è il modo perfetto per dare lo start al report: cominciare dalla fine.
Facciamo un passo indietro, giovedì 21 luglio 2005, San Fermo della Battaglia (Como), ore 14.30…
Di ritorno da una mezza giornata lavorativa, ho il tempo di pranzare prima della partenza con la splendida compagnia formata dagli alleati di sempre, con l’aggiunta di una fanciulla intrepida che decide in meno di dieci giorni (anzi 10 ore) di affiancarci nell’avventura.
Meta Geiselwind, 700 km con la solita ed ormai mitica Peugeot 206 attraverso la Svizzera ed i suoi valichi, tagliando il bordo austriaco fino a squarciare sensibilmente il sud ovest tedesco sostando per le seguenti tappe:
2 ore a Gosseau (Switzerland) per un errore madornale di consultazione mappa;
20 minuti a Bregenz (Aus), pieno di benzina verde alla cifra di 1.015 al litro;
1 ora a Memmimgem (Germany), tappa obbligata per una cena a base di carne e verdure nella deserta ed atmosferica cittadina teutonica…
Raggiunta Geiselwind, alle 2.15 di notte (notare, 12 ore di viaggio…) ci si prospetta il lavoro più impegnativo: preparare le tende e gonfiare i materassini. Fortunatamente l’aiuto di qualche tedescone ubriaco (si, perché gli ubriachi erano più lucidi di noi) ci è servito per terminare il più in fretta possibile e ci ha permesso di riposare mente e corpo dalle 3.45 in poi, in attesa del venerdì di impegni e passioni…
DAY ONE
Risveglio alle 7.30 del mattino intirizzito da una pioggia che ha reso freddissima l’incantevole Geiselwind; colazione abbondante in uno splendido caffè al centro della cittadina (Thè nero e Croissants a valanga) e chiacchieratina con i primi italiani capitati sottomano; in tempo per capire che la serata precedente aveva visto Finntroll ma soprattutto i sorprendenti Turisas offrire spettacoli degni di tale nome: peccato aver perso completamente i due show.
Dopo un ritorno in tenda per recuperare ancora qualche oretta di sonno è tempo di pranzo e del maledetto Mc Donald’s; riuscire ad entrare nel parco concerti era cosa praticamente impossibile con centinaia di persone accalcate ai cancelli d’entrata e soprattutto con l’insistente pioggia che ci avrebbe ridotti sicuramente a potenziali “portatori attivi di influenza”. Cosa c’è di meglio di un Big Mac Menu in questi casi? (tutto oserei dire, anche se non troverò i compagni d’accordo col sottoscritto…).
Il tempo di conoscere qualche gruppo di tedeschi ed un nostro indomito utente (Groiso) e la gentil dolce metà ed ecco che la pioggia ci da un attimo di tregua; attimo utile per tentare l’entrata in quella che si prospetterà un’area concerti maestosa e straordinariamente organizzata per qualsiasi evenienza: i miei complimenti fin da subito allo staff che ha messo in piedi questo gioiellino organizzativo. (da sottoporre in fretta e furia alla Live in Italy please…)
Un urlo coglie la mia attenzione ed il mio sguardo che si riversa sull’abnorme palco posto al fianco di una chiesetta, avete capito bene…chiesetta: “We are Exilia from Italy”!!!! Concerto tutto sommato discreto per questo act milanese capitanato da una fanciulla indiavolata, tale Masha, che appassiona fin da subito il numeroso pubblico presente con una set-list rovente, anche se i non pochi accostamenti al nu-metal potrebbero far storcere il naso soprattutto al pubblico dello stivale.
Non avevo idea, invece, dell’attaccamento dei fan tedeschi per i Die Apokalyptischen Reiter, formazione di casa che ha sciorinato un’ottima performance d’innanzi ad almeno dieci mila anime (esaltate) anche se, ammetto, non mi hanno mai fatto impazzire musicalmente seppur dotati di un feeling e di una presenza scenica personale e sicuramente di grande spessore. Nei tre quarti d’ora a disposizione, il quintetto ha estrapolato dalla discografia brani tratti dall’ultimo “Samurai” e dall’ottimo “Have a Nice Trip”, purtroppo la vittima sacrificale è il full length “Allegro Barbaro”. Show assolutamente da rivedere.
La mia personalissima vittima sacrificale, invece, sono i giapponesi Loudness, formazione storica che ha all’attivo una discografia che oserei definire inenarrabile (vedere qui per credere: http://www.takasaki.net/Loudness/disco/) ma che ho dovuto abbandonare anzitempo a causa (o per merito che dir si voglia) del magnifico Metal Market appostato ad una certa lontananza dal palco che aveva tutto ciò che possa, oggi giorno, fare felice un metallaro che si rispetti:
1) Zona Nuclear Blast; con tanto di super offertona un cd 3 euro, 4 cd nuovi 10 euro (e parlo di dischi come l’ultimo Susperia, l’ultimo Sinner limited edition o l’ultimo Mystic Prophecy, prendendone 3 a caso su una cinquantina di esempi);
2) Zona Abbigliamento; questo era decisamente il settore meglio assortito, prezzi abbordabili per vestiti che andavano dal gotico meno esoso al militare più vistoso, con tutti gli intermezzi del caso.
3) Zona CD assortiti; questo era invece il settore più visitato; centinaia e centinaia di titoli nuovissimi alla modica cifra che andava dagli 11 ai massimo 14 euro per cd; qualche campione? 11 la ltd edition di This Godless Endeavor dei Nevermore, 14 euro la super confezione di Touched by the Crimson King dei Demon’s and Wizards, 12 euro il digipack di The Legacy dei Testament… Per ulteriori esempi c’è un forum apposito grazie ;).
4) Zona cibo; sezione meravigliosa che spaziava dalla culinaria orientale fino a quella italiana con tanto di spaghetti aglio olio e peperoncino, fino a concentrarsi sui soliti panini wurstel e crauti e fantastici Doner Kebab infarciti di quelle salsine che tanto ci piacciono… insomma, ce n’era per tutti i gusti e per diverse nazionalità… strano? In Germania no!
5) Zona Relax; assolutamente favolosa! Oltre agli svariati stand di rito, erano non poche le zone adibite a “rinfresco” con “ombra incorporata” e sedie confortevoli… Non dimentico nemmeno l’ottima disposizione dei numerosissimi bagni, oltretutto curati e puliti per quanto possibile in un festival di portata idilliaca.
6) Zona Camping; nulla da ridire nemmeno in questo caso; le cinque zone presenti erano controllate a vista d’occhio e disposte intelligentemente intorno allo stage del festival. Il verde praticello rendeva semi-confortevole le dormite nella tenda; a parte le mie in quanto odio profondamente questo metodo di “relax”. L’anno prossimo in albergo.
Ritorniamo ai concerti e concentriamoci sulla “usuale” eccitante prova dei Grave Digger stranamente non troppo osannati dai loro conterranei. Professionisti del palcoscenico, i Grave Digger hanno cominciato con la title track dell’ultimo (a mio parere non riuscitissimo) album, The Last Supper entusiasmando in successione i presenti con la magnifica The Dark of the Sun e l’onnipresente Exalibur, passando attraverso la recente Grave in the No Man’s Land, l’epica Maidens of War e l’immancabile Rebellion richiesta a gran voce dal pubblico. Promossi a pieni voti.
E’ il turno di una delle sorpresone del festival; i Children of Bodom di Mr Alexi “Wildchild” Laiho che mai mi sarei aspettato così in forma, devastanti è l’aggettivo giusto per commemorare la prova del quintetto finnico che, grazie al pass photo, sono riuscito a gustarmi per una decina di minuti ad un metro dal palco, in tempo per “rifocillarmi” con Needled 24/7, Everytime I Die e Follow The Reaper. La scaletta performata dal gruppo è stata lunga ed intensa, pochissime le pause durante lo show e sicuramente da notare è la splendida maglietta indossata da Alexi (dovrebbe esserci una foto qui da qualche parte). I brani estratti fanno riferimento all’intera discografia “Bodomiana” e non sono mancati Children of Decadence, Warheart, Hatebreeder ed addirittura pezzi estrapolati da Something Wild. Tecnicamente perfetta la prova dei cinque che non hanno sbagliato praticamente nulla ed onestamente non si può chiedere di più ad una band che, finalmente, sta per pubblicare il prossimo full length: “Are you dead yet?”.
Anche sul metal fest cominciano a calare le tenebre e la gente inizia ad assieparsi alla meglio nei dintorni del palco; i più fortunati ed irriducibili scelgono di fare la fila per entrare nel cosiddetto “pit”, sona antistante ed a pochissimi metri dallo stage. Tutta questa attenzione era rivolta al gruppo successivo, i nostri Rhapsody che, molti, attendevano al varco con una certa impazienza, tanta era la voglia di assaggiare un pochino della magia fiabesca che sono riusciti a riproporre in studio nel corso della loro carriera.
Squillino le trombe, rullino i tamburi… 5 infiniti minuti di presentazione con tanto di Christopher Lee sullo schermo (eh si, ci ha tirato il cosiddetto pacco a causa di un film che sta preparando ad Hollywood) ad idolatrare alla “Joey De Maio” il true heavy metal that will never die, ed ecco l’esplosione di luci e suoni con il sestetto che sale alla Rey Misterio (avete presente il lottatore di Wrestling?) sul palco facendo vergognare per qualche secondo i compatrioti all’interno del camp… Perché vergognare? Un fischio lunghissimo e potentissimo fuoriesce dalla chitarra di Turilli e dal microfono di Lione rovinando abbondantemente l’atmosfera ricreata dai suoni campionati; una quindicina di secondi interminabili che hanno fatto crescere a dismisura il sorriso sulle labbra dei circa venti mila presenti… Per fortuna, Staropoli & Co sono riusciti a riassestare il tutto ed a fornire una prova sufficiente. Sei, un voto non esagerato ma certamente nemmeno regalato, perché finalmente i ragazzi hanno eseguito il loro miglior show (questo è il quinto che vedo) dal 2000 ad oggi con la solita incognita della miriade di effetti sintetizzati e campionati ma con la tenacia di chi vuole far capire che i Rhapsody sono fatti di carne ed ossa, e non sono una semplice macchina sforna cd.
Certo, la professionalità della fantasy metal band è ben lontana dall’essere paragonabile alle restanti band capofila del festival, ma un Lione strabiliante (prova vocale fantastica, da lacrime) ed un Holzwart precisissimo hanno diminuito notevolmente il gap che li separa dai big, il tutto coadiuvato da una scaletta all’altezza, con Emerald Sword cavallo di battaglia ancestrale posta quasi alla fine del concerto. Molti i brani estrapolati dall’ultimo SOEL2: The Dark Secret – Ira Divina ed Unholy Warcry hanno aperto le danze, The Magic of The Wizards Dream, con uno strano duetto Lione – “Saruman” il primo dal vivo, il secondo su schermo; e la lunghissima Erian’s Mystical Rhymes a chiudere il lotto. Non sono mancati i classici come Land of Immortals (davvero splendida dal vivo), Dawn of Victory, The Village of Dwarves, Holy Thunderforce e The March of the Swordmaster. Resta il ricordo di un concerto godibile con la speranza che continui a crescere, magari con l’aiuto di De Maio, la professionalità dell’esibizione a discapito della esagerata teatralità che ha condito il live show. Un ultimo appunto: dov’era la chitarra di Turilli?
Stanco morto dalla giornata ricca di eventi, mi appresto a seguire gli headliner della serata, (saltando in toto Force of Evil, Dragonlord e Cage; non me ne vogliano i rispettivi fan) i Nightwish della splendida Tarja Turunen che hanno svolto degnamente, come in tutti gli ultimi concerti da un anno a questa parte del resto, il loro lavoro da band di testa presentando una set-list esattamente uguale a quella programmata per l’Evolution Fest e non molto distante dalla stessa del tour di Once che li ha visti protagonisti nella splendida serata milanese in quel del Mazda Palace. Il suono pulitissimo ed in generale lo spettacolo dei finnici hanno elettrizzato le migliaia di persone al loro seguito, tutta un’altra musica se si prende come metro di paragone lo show della band precedente; rodati da decine e decine di concerti in giro per il mondo, Tarja & Soci hanno strappato applausi sin dalla opener Dark Chest of Wonders alla quale sono susseguite praticamente tutte le hit che appartengono loro, c’è spazio anche per il singolo Nemo, Wish I Had an Angel e la stratosferica Ghost Love Score a chiudere il finissimo concerto. Ora la prova del nove con il prossimo album: riusciranno a ripercorrere le orme del fortunatissimo Once?
DAY TWO
Dopo una nottata difficilissima; davvero una fatica bestiale per riuscire a prendere sonno, la stanchezza mi porta a riposarmi fino all’inizio del concerto dei Masterplan decidendo per me che Primal Fear e Destruction, due gruppi che mi sarei gustato più che volentieri, li avrei seguiti nei miei sogni… Poco male perché la prova dei galletti amburghesi aiutati dal poliedrico cantante norvegese; grandissimo Jorn Lande, ha davvero scosso i presenti con un esibizione spettacolare incentrata sui 2 notevoli full length che rappresentano per intiero la discografia dei teutonici. Certo, Grapow non è l’ultimo degli “imbecilli” tanto per dirla tutta, e sul palco, onestamente, questa cosa appare chiarissima. The Spirit Never Die ha il sapore della rivincita sugli Helloween e Crimson Rider non è certo da meno col fantastico break centrale preso in prestito dalle zucche più famose del mondo. Wounds è un altro brano che ha regalato emozioni d’altri tempi, i tempi di Keeper of The Seven Keys tanto per intenderci, ed il singolo Back for my Life si è saggiamente alternato all’altro Enlighten Me, aprendo infine per la favolosa Heroes. La sensazione è che i Masterplan si “gasino” al massimo quando si trovano di fronte migliaia di persone, e si lascino non poco andare quando queste ultime sono solo poche centinaia. Questa è la quarta volta che mi capitano sott’occhio e, chi come me ha potuto assistere ad entrambe le situazioni, non potrà far altro che confermare, non è così?
Ahimè non conoscevo la “war machine” che stava per succedere ai Masterplan sul palco: gli Hypocrisy. Che dire di loro? Non ho nemmeno un cd, nemmeno conoscevo un brano eppure era da tempo che un death metal di questo stampo non mi coinvolgeva così tanto, distruttivi è dire poco… e pensare che il batterista ha passato la mattinata al pronto soccorso per motivi che si rifanno ad un attacco influenzale… sarà vero? Vero o non vero, prova devastante da parte del drummer, peccato, almeno per quanto concerne il mio gusto, per il growl del cantante sin troppo accentuato, un ruggito che dopo qualche brano mi ha fatto perdere la lucidità necessaria per seguire al meglio una band che, prometto, comincerò a non sottovalutare partendo proprio dall’acquisto del prossimo “figlioletto” in arrivo: Virus.
Altra pausa obbligatoria, questa volta i prescelti sono i JBO che mi hanno disgustato anche per il solo fatto di averli sentiti in lontananza (eh beh, mica mi possono piacere proprio tutti no?), il tempo per un pranzo del tardo pomeriggio ed ecco salire sul palco un’altra formazione che mi ha letteralmente impressionato anzi di più: ipnotizzato.
Non so a quanti di voi piacciano i Dimmu Borgir (sembra il nome di un panino del Mc Donald’s, lo so, amen) ma il signor Shagrath dal vivo è una creatura soprannaturale, capace di sferrare acuti micidiali e consapevole di avere una presenza scenica da paura. Il face painting ed i costumi della band non hanno fatto altro che accrescere lo spettacolo della serata e sottolineo innanzitutto la fantastica scaletta portata on stage; i moltissimi effetti sintetizzati sono stati riproposti con una cura minuziosa per i particolari e così, non è stato difficile suonare la bellissima Allegiance seguita a breve dall’altrettanto maestosa e teatrale Progenies of the Great Apocalypse tratte entrambe dall’ultimo (ed a mio parere capolavoro) Death Cult Armageddon. La felicità sul volto della quindicina di migliaia di persone presenti è sbocciata non appena le note delle tastiere delle storiche Mourning Palace e soprattutto di Spellbound (by the devil), estrapolate da Enthrone Darkness Triumphant (mio cd preferito della band), si sono rese riconoscibili. Naturale il movimento sul palco dei cavalieri dell’Apocalisse, innaturale l’atmosfera che regnava sovrana su Geiselwind. Quasi indescrivibile. Inutile starvi ad elencare tutti i brani suonati dal gruppo, basta semplicemente ricordare che sono stati presi in considerazione tutti gli album della band, da Stormblast a Spiritual Black Dimension per finire con Puritanical Euphoric Misanthropia ed il binomio che letteralmente adoro: Fear and Wonder e Blessings Upon the Thron of Tiranny… Dimmu Borgir solenni!
Ok ok, fermiamo un attimo l’adrenalina e rientriamo in noi stessi, ci sono gli Stormwarrior da seguire con uno special guest.
Credete davvero che mi sarei perso Kai Hansen anche sapendo che 3 minuti dopo la sua esibizione nell’Event Stage (che solo in quel momento capii che si trattava di quella chiesetta della quale vi ho parlato prima, anche io sono senza parole :D), distante dallo stage immenso, avrebbero iniziato i Manowar? Giammai!
Mi fiondo a capofitto nello spettacolare palazzetto riservato alle band di “basso” rilievo in tempo prer capire che il quartetto tedesco ha appena cominciato con And The Northewinde Bloweth seguita dalla potentissima Heroic Deathe entrambe estrapolate dall’ultimo Nothern Rage. Lineare ed agevole il compito degli Stormwarrior, i brani proposti sono relativamente semplici da affrontare on stage e proprio per questo mi sento di definirli i “fabbri” del power metal, grezzi, primitivi, rustici ma con tanto, tanto cuore che adoperano per il “truemetal”!
Dopo un’esatta mezz’ora, un omino minuto, sorridente e con bandana nera comincia a saltellare allegramente sul palco sostituendo il frontman Lars Ramcke: Kai Hansen è tra noi!
Chi si sarebbe mai aspettato di assistere ad un concerto degli Helloween? E chi si sarebbe mai aspettato di assistere ad uno show incentrato tutto su Walls of Jericho?
Kai ha esaltato la chiesetta stipata (attenzione, chiesetta grande quanto l’Alcatraz di Milano e con diversi piani per poter osservare dall’alto) all’inverosimile offrendo una prova commovente, irresistibile. Il suo visone ultra simpatico e l’irrefrenabile gioia con la quale ha cantato le top-songs dei tempi d’oro hanno intenerito e coinvolto al 100% me, e tutti i testimoni di quello che rimarrà un ricordo indelebile nel tempo… Attendiamo il nuovo Gamma Ray, “Majestic”, e prepariamoci per l’ennesimo show capolavoro al Rolling Stone di Milano; il tre ottobre vi aspetto lì!
Distrutto da uno show memorabile; è giunta l’ora degli unici Headliner, dei “Re dei Re”, è giunta insomma l’ora dei…
ManOwaR
-30 mila fans;
-Centinaia di bandiere da ogni nazione del mondo;
-Palco ingigantito dalla presenza dell’orchestra di 100 elementi;
-Membri passati e presenti tutti sullo stage;
-3 ore di concerto;
-Decibel su Decibel;
-Nuovo DVD in vista;
-Nuovo singolo King of Kings;
-Fuochi d’artificio finali…
Naaaaaaaaa; non è il trailer del nuovo DVD dei Manowar, è il riassunto dell’Apocalisse apparsa in Geiselwind, ricordate quando vi dissi: “concerto più bello al quale abbia mai assistito?”
Ho la netta sensazione che solo i ManowaR con Joey De Maio si possano permettere di fare il sound check tra un brano e l’altro… come? Beh, basta recitare la tipica frase no? “Loro hanno pagato, e loro devono avere il concerto migliore possibile; maledetto colui che mi ha venduto tutta questa roba per la quale ho sganciato una marea di soldi… fuck you!”. Indovinate chi l’ha enunciata?
Torniamo all’inizio; esco dalla chiesetta e mi ritrovo di fronte ai miei occhi una folla oceanica… come fare a raggiungere una buona posizione? Semplice, parto da mooooolto dietro il mixer e comincio a scavalcare i tedeschi, loro sanno bene che se un italiano vuole passare avanti, o lo fai avanzare, oppure avanza lo stesso… giusto? Ehhhh, il sangue latino non tradisce mai…
5 minuti esatti per riuscire a prendere un posto davanti alla transenna appena prima del pit, transenna che era tenuta in piedi da un asse di legno largo un metro circa ed abbastanza spesso per poterci salire sopra e per godersi lo spettacolo “faccia a faccia coi Manowar”, incanto…
Ladies and Gentlemen… From United States of America, all Hail… ManowaR…
Intramontabile esordio Manowariano con la track autocelebrativa, seguita a ruota da Brothers of Metal e dalla recente Call to Arms, utili per scaldare il cuore dei migliaia di supporter presenti solo per loro. My Spirit Lives on da Louder than Hell è il preludio dell’anthemica Kings of Metal che ha fatto scuotere tutte e 30.000 le teste presenti, tanto quanto l’evocativa Sign of The Hammer e l’ormai mitica Blood of My Enemies song capace di far registrare non poche lacrimucce.
Da notare e da annotare l’incredibile potenza dell’impianto acustico che ha determinato una specie di terremoto lungo tutta la durata del concerto, braccia, gambe, e cuore, tremavano sotto i colpi inferti da Kill With Power e dalla favolosa Metal Warriors suonata per l’occasione dagli storici Rhino (il migliore della serata dal punto di vista tecnico) e David Shankle, membri emozionati quanto la folla che li incitava.
Fallito il Joey Solo a causa dei problemi menzionati in precedenza, la svolta è cominciata con The Glory of Achilles (era la quinta volta che vedevo i Manowar, mai con la fortuna di poter assistere a questa opera d’arte) e continuata con Metal Daze e Dark Avenger che hanno protocollato la presenza degli altrettanti mitici Ross the Boss e Donnie Hamzik. Che diavolo chiedere di più?
Come dite? Un’orchestra? E magari Heart of Steel versione tedesca?
Avete indovinato! Ma solo e soltanto dopo esserci spaccati le ossa con Outlaw e House of Death ed il suo break centrale da morte cerebrale… questo sia ben chiaro!
Giù i teloni ai fianchi del palco ed ecco l’orchestra, vestita di tutto punto, Herz Aus Stahl riecheggia sovrana (l’orchestra era campionata?) e noi italiani la intoniamo in versione inglese, visto e considerato che i tedeschi sono fastidiosamente restii nel cantare i brani dei loro beniamini… Grrrrr… perché?
E’ il momento del singolo, King of Kings, traccia che raggiunge i livelli di The House of Death, con un cantato struggente nella fase centrale da parte di Eric Adams (a proposito di Eric: fantastico e voce ancora sorprendente) ed una fase di solos travolgenti con il basso infuocato di Joey De Maio e la chitarra infervorata di Karl Logan a supporto della frenetica batteria di Scott Columbus.
Siamo ormai giunti al termine quando la cadenzata Warriors of the World, segna il passo e lascia il suo posto a favore di una Hail and Kill da capogiro, finalmente un pezzo con il pubblico in delirio e pogo incluso…
Dopo Black Wind Fire and Steel, brano che solitamente chiude i concerti dei Manowar, c’è spazio per una decina di minuti di saluti ma, soprattutto per due cosine importanti:
Le prime date del prossimo Tour:
4 aprile 2006 Francoforte
6 aprile 2006 Monaco di Baviera
7 aprile 2006 Stoccarda
8 aprile 2006 Norimberga
10 aprile 2006 Berlino
11 aprile 2006 Dortmund
… e Battle Hymn con tutti i componenti della band sul palco a suonare, un putiferio artistico che ha introdotto pianti a dirotto e favolosi fuochi d’artificio a chiudere in bellezza la serata. Mi perdonino Abandoned ed Haematom, ma per il sottoscritto, il festival si conclude qui, all’una di notte.
DAY +1
Solita insolita dormita (ossimoro :D) e risveglio pesantissimo a causa del sole che stavolta picchia sulla povera tenda con conseguente ammanco di aria fresca all’interno di essa.
Ultima colazione al caffè di fiducia e ripartenza per l’Italia; felici e contenti almeno quanto quel pazzo scatenato di Kai Hansen che ha fatto dell’espressione del suo viso, il banner ufficiale del mega festival: impossibile non ritornarci.
Ringrazio nuovamente i compagni di “sventura” per il supporto e le decine e decine di persone, italiane e non, che ho conosciuto durante questi 3 magnifici giorni, questa volta è proprio il caso di esclamare: “German Festivals are much better than all Italian ones”
Gaetano “Knightrider” Loffredo