Report: Edguy + Dragonforce a Milano

Di Redazione - 15 Febbraio 2006 - 11:49
Report: Edguy + Dragonforce a Milano

Ringraziamo Marco “Homer_Jai” Ferrari per il report del concerto milanese tenuto da Edguy e Dragonforce lo scorso 7 febbraio. Buona lettura.

La scatenata band di Fulda, dopo l’illusorio ep “Superheroes” mi ha, per la prima volta nella propria carriera, deluso con un album “Rocket Ride” che nonostante alcuni ottimi spunti è mancato di quella genialità che aveva sino ad ora caratterizzato i precedenti lavori.
Tale delusione si è velocemente trasformata in una spasmodica attesa nella speranza che, in sede live, gli Edguy facessero vedere di cosa sono realmente capaci e credo sia inutile spendere troppe parole e dire fin da subito che il concerto di Milano, unica data italiana di supporto al nuovo disco,  è stato un qualcosa che definire strepitoso è riduttivo.
Ma andiamo con ordine cercando di ripercorrere i momenti più intensi di questa serata che, causa problemi lavorativi, per il sottoscritto inizia con i Dragonforce essendomi perso l’opening act  rappresentato, nell’occasione, dagli heavy metallers svedesi Sabaton.

Una nutrita frangia dei presenti inizia a scandire il nome della band inglese che, irrompe sul palco carica di energia scaricando immediatamente sul pubblico tutta la velocità che caratterizza il proprio repertorio con le ottime “My Sirit Wll Go On” e “Fury Of The Storm” che, mettono in evidenza il vocalist ZP autore di una buona prova: è riuscito a seguire le linee vocali prodotte in studio con una certa naturalezza.
Onestamente non sono un gran amante dei Dragonforce ma, speravo che sul palco, i limiti che trovo nella loro eccessiva ripetitività venissero smussati, invece, dopo l’ottimo sprint iniziale il loro show perde subito di sostanza (e non è soltanto colpa loro).
I primi pezzi, caratterizzati da buoni suoni e precisa esecuzione lasciano spazio a “Storming The Burning Fields” , “Black Fire” e  “Through The Fire And Flames” nelle quali, complice  una acustica imbarazzante, si riesce a sentire solo un pastone di batteria ma, soprattutto, una diminuzione della precisione di esecuzione del talentuoso Lee e soci.
Che i Dragonforce siano dotati una grande energia è indubbio ma, quello che in questa sede è il loro marchio di fabbrica e che li rende unici, ovvero la loro velocità, diviene un’arma a doppio taglio se non coadiuvata da un suono al limite della perfezione e da una prestazione dei singoli priva di sbavature. Le doti tecniche del simpatico Herman Lee non si discutono, ma a cosa serve andare costantemente alla ricerca di nuovi record di velocità se poi dal vivo gli spettatori che hanno pagato il biglietto non se la possono godere e, se dopo le sfuriate di chiatarra, la band deve difatto fermarsi per riprendere il tempo? Se poi a tutto ciò sommiamo una set list mutilata del loro pezzo migliore, ossia quella “Valley of the Damned”  che nel 2003 fece urlare a più di un power fans al miracolo, ecco che il giudizio sulla serata degli inglesi non può che essere profondamente negativo, anche se, come detto, per colpe che solo in parte possono essere attribuite ai Dragonforce.

Dispiaciuto del fatto di non aver potuto apprezzare pienamente i Dragonforce mi preparo, con molte preoccupazioni riguardo alla qualità del suono, a godermi lo show degli Edguy che pur avendo promesso un palco fantascientifico con strutture mobili e mille sorprese presentano uno stage ridotto all’osso con il solo logo della band a presentarlo, ma sarà lo stesso Sammet a spiegare che a causa della rottura del TIR è un miracolo che siano arrivati gli strumenti.

“Ladies and Gentlemen…… welcome to the freak show”, ebbene sì è ancora l’intro di “Hellfire Club” ad accompagnare l’entrata sul palco dei nostri; ed è un inizio col botto, purtroppo per il povero Eggy in senso letterale, con tanto di caduta del simpatico e bravo bassista.
L’inizio è affidato ad una coppia di canzoni dall’ultimo lavoro, ovvero “Catch Of The Century” e la stupenda “Sacrifice” e si evince subito che sia l’umore che l’ugula di Sammet sono in serata veramente più che positiva.
Non si da a Tobias nemmeno il tempo di accennare al fatto che la canzone seguente sia sempre particolarmente richiesta dalle nostre parti che il pubblico inizia ad urlarne il titolo, per la felicità della band che comincia ad eseguire una delle versioni live più strane di “Babylon” che abbia mai sentito, intramezzata dalla prima parte della storica e devastante “The Trooper” degli Iron Maiden.
I divertenti siparietti con il pubblico sono immancabili e, un Tobias visibilmente divertito smentisce categoricamente le notizie che riguardavano la sua presunta omosessualità (anche se fa sorridere il fatto che lo dicesse con indosso un bellissimo paio di pantaloni neri attillati ornati con stelle luccicanti).
Ma si riparte e, sono le sonorità happy di “Lavatory Love Machine” a far scatenare e cantare i numerosi presenti prima della sempre bella “Tears Of Mandrake”. Ed è a questo punto che un’incontenibile Sammet spiega ai comuni mortali come si supporta il metal tedesco: comprando i cd, acquistando solo merchandaising originale e non la “mafia shit” che vendono fuori e se per caso si è ragazze e sigle passando una notte con loro… Il tutto arrossendo come un bambino… incredibile.
Ma tra una risata e l’altra (nel frattempo racconta che la scivolosità del palco è dovuta al fatto che prima del concerto era molto teso e non ha potuto controllare la sua vescica) si riparte con la musica, o meglio si tenta, visto che il buon Tobias non è riuscito a cantare l’inizio di “How Many Miles” causa incontrollabile crisi di risa.
Si arriva così al momento più “debole” della serata, rappresentato da “The Asylum” che non riesce a coinvolgermi dal collaudato drum solo sulla base di “Star Wars”; ma ecco subito tornare la band ad alti livelli con la bella “Superheroes” con tanto di maglietta di Superman che lanciata dal pubblico viene prontamente indossata da Sammet e con una “Save Me” che, con mia sorpresa, funge da piacevolissimo antipasto per la killer song “Mysteria” accolta e cantata da uno scatenato pubblico.
Pensavamo di conoscere e prevedere  la follia di Sammet e invece tutti, compresi i suoi compagni sul palco, prontamente smentiti dopo l’intro di “Vain glory opera” quando la prima strofa recita una “We’re living toogheter” sul ritmo della storica “The Final Countdown” degli Europe.
Il tempo di far smettere a tutta la band di ridere e si riparte con una sorprendente “Fucking With Fire” prima del culmine cabarettistico rappresentato dalla pazzesca “Trinidad” con tanto di kazoo e con Toby letteralmente piegato in due dalle risate.
Si arriva così all’encore che inizia con l’esecuzione di un estratto di “Avantasia”, ovvero “Sign of the Cross” che, per chi scrive, rappresenta uno dei migliori capitoli della metal opera.
I battenti si chiudono con “King of Fools” e dopo i doverosi saluti non ci rimane che il ricordo di una serata veramente unica.

Nel raccontare il concerto mi sono principalmente soffermato sui momenti ironici e divertenti, ma il tutto non deve assolutamente sminuire la prestazione professionale degli Edguy che, a parte qualche errore dovuto alle risate dello scatenato frontman, è stata maiuscola, con ottimi suoni, ritmiche appesantite al punto giusto e molto trascinante. Da sottolineare la precisione chirurgica di Jens Ludwing e di una sessione ritmica che non ha perso il proprio mordente per tutta la durata del lungo show.
Una band in gran forma ed in costante crescita dal vivo; ormai Sammet ha raggiunto la completa maturità professionale (quella personale spero non la raggiunga mai, è unico), trasformandosi da bambino prodigio a vero e proprio frontman di qualità.

Marco “Homer_Jai” Ferrari