Report: Evolution Fest ’06 – Domenica 16 luglio
Terzo e ultimo giorno dell’Evolution ’06…
Domenica 16 luglio
Sadist (Stefano Risso)
Dopo sei anni di pausa, sono pronti a ricalcare la scena i genovesi Sadist, un gruppo fra i più eclettici e talentuosi di tutto il panorama metal italiano e non solo. L’esibizione dei nostri è stata anticipata a causa del ritardo degli Ensiferum (il traffico non fa sconti a nessuno…) ma questo piccolo intoppo sulla tabella di marcia non sembra minimamente turbare i Sadist, che una volta sul palco gettano tutti problemi dietro le spalle dando vita ad un concerto davvero memorabile. L’emozione per un evento tanto atteso da parte di tutti i propri sostenitori si avverte minimamente solo nelle parole di Trevor durante le pause fra un brano e l’altro, altrimenti celata da una prestazione grintosissima, coinvolgente, che ci regala una band in splendida forma. Tutti quanti fanno il proprio dovere alla grande, ma ancora un volta (dopo la prestazione formidabile con i The Famili) il tuttofare Tommy Talamanca si distingue per classe, tecnica ed espressività artistica. Ottimi i suoi passaggi chitarristici, eseguiti con estrema naturalezza, come del resto si lasciano apprezzare le frequenti incursioni inquietanti di tastiere, con Tommy impegnato spesso e volentieri con tutti e due gli strumenti contemporaneamente. Il death metal estremamente tecnico, cervellotico e sperimentale dei nostri viene reso adeguatamente dall’impianto sonoro, con una setlist che abbraccia i momenti migliori della carriera dei Sadist. Un ritorno in grandissimo stile per una band che deve essere motivo di vanto per tutti i metalhead italiani, a volte fin troppo esterofili. Complimenti!
Ensiferum (Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
Il numero delle giovani band che la Finlandia ha saputo buttare nel calderone metallico negli ultimi anni è davvero impressionante. Questa tendenza traspare anche dal bill dell’evolution, dove troviamo alcune band tra le migliori di quel panorama. Tra questi vi sono gli Ensiferum, gruppo nato sotto il segno del power-viking più melodico ma poi dimentica della gloria del primo disco per aumentare sempre di più la componente di power-finnico della propria musica. In questo Evolution ’06 gli Ensiferum rischiano di saltare causa traffico, ma la loro esibizione è salvata dalla generosità dei Sadist, che rinunciano alla posizione in bill e a un paio di pezzi salendo sul palco prima della band finlandese e permettendo così al combo di Helsinki di esibirsi. La scaletta si muove abbastanza equamente tra tutti i dischi della band, da cui vengono pescate bene o male le hit alla Hero in a Dream. Concerto positivo ma non troppo travolgente, sicuramente inferiore a quanto visto in terra tedesca un paio di anni fa.
Finntroll (Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
Eccoci all’appuntamento con una delle band più folli e devastanti dell’ultimo decennio, una band energica e selvaggia che dopo pochi anni è già considerata il capostipite di quel filone folk metal che sta ridando vitalità e freschezza al metal del nuovo millennio. Unica pecca, non riuscire quasi mai ad avere suoni in grado di rendere giustizia alle composizioni da studio. Anche questa volta ci troviamo a fronteggiare lo stesso problema, soprattutto con la tastiera. Per fortuna nonostante questi difetti di resa, un virus influenzale che ha colpito mezza band e un nuovo singer che pare un po’ troppo impersonale, sia come presenza che come voce, lo show è godibile. Tantissimo del nuovo album, dalla fantastica Fiskarens Fiende alla ruffianissima Trollhammaren, dai funghi di Ursvamp a Människopesten, dalla title track alla conclusiva Det Iskalla Trollblod. Immancabile, a completare il lotto, la presenza di Jaktens Tid e una piccola rappresentanza di Midnattens Widunder guidata da Vätteanda. Con mia grande sorpresa però il pubblico non detona il putiferio visto in giro per l’Europa e anche in altre date italiche, anzi talvolta sembra quasi spiazzato da brani che invece esigerebbero lo scatenarsi collettivo. Non si può parlare di delusione quando una band pesca dal cilindro pezzi come Slaget Vid Blodsalv e Krigsmjød… ma diciamoci la verità: Wilska era tutta un’altra cosa, e questo Vreth, almeno dal vivo, non promette nulla di buono…
The Gathering (Mirco ‘Oas’ Aserio)
Nel momento più caldo della Domenica ecco salire sul palco i The Gathering. I meno metal della due giorni sono proprio loro, lo si nota già dal look e se ne ha la conferma quando cominciano a suonare. L’affluenza sotto il palco è veramente ridotta, anche a dimostrazione di quanto poco ormai la band non rientri pienamente nei canoni di un festival puramente metal… e soprattutto di quanto chiuso di vedute sia il pubblico metallaro. Polemiche a parte, la prestazione è ottima, con un Anneke sempre solare e protagonista di una prestazione vocale perfetta. La band propone alcuni pezzi dal nuovo album “Home” quali Shortest Day e Your Troubles Are Over. La reazione dei presenti non è delle migliori, ma Anneke & Co. sembrano aver capito cosa si aspetti un pubblico metal a un festival metal, ed ecco riproposti uno dietro l’altro “Eleanor”, “Leaves”, “In Motion #1” e “Strange machines” (tutti pezzi estratti da Mandylion) senza dimenticare la bellissima “The May Song” da Nighttime Birds”. Ennesima conferma, anche dal vivo, di un gruppo che ormai è saldamente ai vertici della scena rock mondiale. Peccato solo per il poco a tempo avuto a disposizione, ma torneranno presto…
Armored Saint (Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
Quando John Bush e compagni salgono sul palco la prima cosa che salta in mente è “i tempi sono cambiati”. Addobbati quasi come un gruppo hip hop dell’east-coast a questi Armored Saint non daresti un ghello, e invece ecco la sorpresa. L’abito non fa il monaco e se la band americana ha dimenticato il look più intransigente dei tempi addietro fortunatamente non ha dimenticato come suonare speed metal made in US. Altrettanto bene la formazione di Los Angeles ricorda quali furono i propri fasti passati e anche su quelli costruisce l’ossatura della propria esibizione, per un battesimo italico che sicuramente ha lasciato entusiasti tutti i fan della band.
Atheist (Stefano Risso)
L’evento più atteso di tutto il festival. La reunion di una delle band più geniali e talentuose della storia del metal, un evento atteso da parecchi anni da schiere di ammiratori, un concerto possiamo dire storico a tutti gli effetti che ha spazzato via tutti quelli che si sono esibiti durante la giornata di domenica. Di fronte agli Atheist anche musicisti affermati come Dark Tranquillity, Destruction, Amon Amarth (tra gli altri) si posizionano pazientemente, quasi come spettatori normali, a osservare i funambolici passaggi e le cascate di note che solo gli Atheist riescono a sviluppare. Mi trovo in difficoltà a descrivere la prestazione dei nostri… da dove parto? Dalla sontuosa abilità tecnica? Dalla setlist a dir poco spettacolare? Dalla grande carica cominucativa espressa per tutto il concerto? Dalla disinvoltura con cui i nostri hanno tenuto il palco? Dall’enorme professionalità dimostrata dalla band anche a fronte di un episodio increscioso accaduto a Tony Choy (per chi ancora non lo sapesse, un’asse del palco ha ceduto sotto i piedi del bassista. Fortunatamente, dopo attimi di paura, Tony ha ripreso a suonare come se niente fosse, salvo poi presentarsi a fine concerto con una vistosa fasciatura al polso destro. Questa sì che è professionalità e attaccamento nei riguardi dei propri fan!)? Nonostante l’assenza di Rand Burkey, i due chitarristi chiamati, Chris Baker e Sonny Carson, quest’ultimo un po’ troppo statico rispetto agli altri della band, danno continuo spettacolo senza far rimpiangere nessuno, come spettacolo puro sono i pattern di Steve Flynn, a cui si perdonerebbe tutto, anche la mise “discutibile” eheh… Per non parlare poi di Kelly Shaefer, manco a dirlo ottimo, e di mr Tony Choy, un fenomeno, un alieno, un musicista superbo che non manca di stupire ad ogni suo passaggio gli spettatori in delirio. Piece of Time, Mother Man, Unquestionable Presence, On They Slay, ecc… sono fra i capolavori che i presenti hanno avuto la fortuna non solo di ascoltare, ma di vivere, di assaporarne la magia e l’unicità. Un’altra cosa che mi ha moto colpito è l’attaccamento della band al pubblico italiano, come a voler ricambiare tutto l’affetto ricevuto, con Shaefer a mostrare più volte la bandiera italiana e Choy a sottolineare (come se ce ne fosse bisogno) di aver indossato con orgoglio una maglietta dell’Italia. Scrivo queste parole, dettate più che altro dall’emozione e dal ricordo di quei momenti, e mi ritornano in mente gli assoli di Flynn (per colmare il vuoto dopo il fattaccio del palco) e di Choy, i brividi lungo la schiena in svariati momenti dell’esibizione dei nostri, la classe, la simpatia e la disponibilità degli Atheist una volta finito il concerto. Grandissimi musicisti sopra e fuori dal palco. Chi c’era capirà… per gli altri dico solo che non basterebbero pagine e pagine per descrivere accuratamente quei momenti.
Amon Amarth (Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
I guerrieroni capitanati dal prode Johan Hegg tornano a far colare il loro sudore su un palco italiano. L’attesa e tanta e l’accoglienza per il drappello di Tumba è calorosissima. La band è precisa e coinvolta più di molte altre volte (per esempio il Wacken 2004) e trasmette questa convinzione e questa sicurezza alle teste scapoccianti che di là dalle transenne divorano letteralmente i riff della compagine svedese. In un’oretta gli Amon Amarth danno vita a uno show ottimo, indiscutibile dal punto di vista esecutivo, meno convincete dal lato Setlist. I nuovi fan escono storditi da mazzate come Victorious March, An Ancient Sign of a Coming Storm, When Silent Gods Stand Guard e l’epilogo Death in Fire; mentre per noi nostalgici mai dimentichi delle sferragliate vertiginose di Once Sent from the Golden Hall, The Avenger e Sorrow Throughout the Nine Worlds una scaletta incentrata sui pezzi più cadenzati e lenti, unita alla mancanza di brani alla Bleed for Ancient Gods ha lasciato un po’ di amaro in bocca…
Moonspell (Mirco ‘Oas’ Aserio)
Il sole cede un po’ di terreno all’imbrunire e giunge l’ora dei Moonspell. Il palco presenta uno sfondo che si rifà all’artwork di Memorial e come scenografia, almeno a parere di chi scrive, siamo tra le migliori in assoluto del festival. Mi reputo un grande fan dei Moonspell, ma ciò nonostante ero abbastanza scettico sulla loro prestazione live. Una breve intro (In Memoriam) introduce Finisterra, opener tratta direttamente dal nuovo disco, e lo scetticismo iniziale svanisce grazie a una prova vocale magistrale di Fernando e di tutta la band che sembra molto in forma. Si susseguono vari pezzi del nuovo disco, brani che live si dimostrano ancora più potenti. È poi il momento di passare al classico dei classici: Opium. Il brano viene sentito particolarmente dal pubblico. I Moonspell non hanno però finito di deliziare i propri fan, per la cui somma goduria la band propone due perle quali Wolfshade e Alma Mater, entrambe tratte dal primo disco Wolfheart. Il pubblico sembra apprezzare appieno. Si torna al nuovo disco con la strumentale Proliferation e altri due pezzi quali Upon the Blood e Sanguine. Manca poco ormai alla fine dell’esibizione ma i Moonspell hanno ancora tempo per stupire con pezzi quali Vampiria e Full Moon Madness, accoppiata che non mi sarei mai aspettato di vedere. Promossi a pieni voti, fra i migliori della domenica sicuramente.
Death Angel (Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
Grazie! Grazie! Grazie! Grazie Evolution di avere avuto le palle di concedere ai Death Angel una posizione che quasi mai nessuno ha avuto il coraggio di rischiare: avete fatto in modo che i presenti potessero assistere a uno show devastante, forse quasi irripetibile in un festival italiano. Una band divertente, folle e affiatatissima che con tanta voglia di suonare e altrettanta voglia di divertirsi ha dato vita a uno show strepitoso. In nome di un’attitudine profondamente radicata nel thrash anni ottanta i cuginetti hanno saltato come grilli capitanati dal buon Mark che ha guidato divinamente l’allegra combriccola americo-filippina alle operazioni d’assalto. In men che non si dica la folla viene stordita a suon vecchi classici e schegge del graditissimo ritorno The Art of Dying. È uno show senza punti deboli, ma su tutta la scaletta tuonano la loro onnipotenza i pezzi di The Ultra Violence: da Voracious Souls alla devastante conclusione affidata a una serratissima Kill As One. Grandiosi!
Saxon (Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)
I Saxon in Italia: non una novità di questi tempi, ma comunque un ritorno che fa sempre piacere, perché se ormai gli show dei Saxon non riservano grosse sorprese in positivo, altrettanto si può dire delle sorprese negative… e quindi avercene di band capaci di questa costanza e questa caratura! Come detto i Saxon sono i Saxon, ormai li conosciamo e sappiamo quanto il caro vecchio Biff si diverta a scherzare con i soliti tormentoni (old song/new song, fast song/slow song). La band è in discreta forma e con l’affiatamento di sempre, e anche se il pubblico non è dei più caldi per alcuni col metallo nel sangue è impossibile non esaltarsi quando, dopo la Lionheart di turno, la band comincia a sfoderare pallottole del calibro di Heavy Metal Thunder, Motorcycle Man, Strong Arm of the Law, Wheel of Steel e tutte le vecchie glorie di una carriera ormai più che ventennale. Alla fine, inevitabilmente, quasi senza accorgersene, ci ritroviamo sempre tutti a diteggiare nell’aria capolavori come 747 (Strangers in the Night). E così sia: lunga vita ai Saxon!