Report: Gods of AOR – Music Drome (MI), 27/2/2009
Per la gioia di tutti gli amanti dell’AOR (acronimo di “Adult Oriented Rock” o “Album Oriented Rock”, termine coniato negli anni 70 e poi universalmente diffusosi per definire quella sorta di “melodic rock”, destinato a vivere i suoi maggiori fasti negli anni 80 e 90), stasera il Music Drome di Milano si accinge a ospitare un interessante quanto inconsueto evento: il Gods of AOR, che presenta alcuni tra i migliori gruppi italiani assurti, negli ultimi anni, a veri portabandiera del genere, grazie alla produzione di dischi di ottima qualità e alle più o meno frequenti apparizioni sui palchi della penisola. Mi riferisco a: MYLAND, EDGE OF FOREVER, BRUNOROCK e HUNGRY HEART.
Il bill appare indubbiamente di grande interesse, alla luce dei discreti successi riscontrati in termini di vendite degli ultimi prodotti discografici firmati dai protagonisti di questa rassegna, tanto appetitosa quanto coraggiosa, visti i tempi che corrono! Quindi: complimenti sinceri a chi ha voluto e messo in piedi l’evento.
Purtroppo, una volta giunti al locale, ci attende una brutta sorpresa: alcuni cartelli disseminati sulle pareti segnalano che gli HUNGRY HEART non saranno presenti al festival. Poiché la notizia era nell’aria già da qualche ora, il tam tam dei presenti fa rimbalzare notizie provenienti da fonti diverse e, pertanto, contrastanti fra loro: quanto se ne deduce è che, ancora una volta, le controversie intervenute fra band e organizzazione hanno impedito di portare i piacentini sul palco del Music Drome, con gran dispiacere di tutti coloro che ci tenevano ad assistere al loro show; fra l’altro parecchi amici (fans della band), che ci avevano dato appuntamento al Music Drome, all’ultimo momento hanno deciso di rinunciare a mettersi in viaggio per Milano, disertando il concerto, con ovvie conseguenze negative in termini di audience.
Il gossip sui retroscena concernenti la mancata partecipazione degli HUNGRY HEART ci accompagna fino al momento cruciale dell’inizio, allorché, finalmente, la musica prenderà il sopravvento sugli inevitabili risvolti polemici della vicenda: ecco gli EDGE OF FOREVER, con la formazione leggermente rimaneggiata:
– ALEX DEL VECCHIO: vocals, keyboards
– WALTER CALIARO: guitar
– NICK MAZZUCCONI: bass
– FRANCESCO JOVINO: drums
Partenza sparata con “Against the Wall”: tiro robusto e preciso, farcito da trame tastieristiche neo barocche e da potenti riff di estrazione metal, il tutto impreziosito da melodie vocali pulite; questi gli elementi essenziali del valoroso quartetto capitanato da Alex Del Vecchio.
Il pubblico accompagna l’esibizione dei musicisti con totale partecipazione, contribuendo così a riscaldare l’atmosfera durante la presentazione dei primi brani previsti dalla scaletta:
– AGAINST THE WALL
– FEEDING THE FIRE
– DISTANT VOICES
– PRISONER
– LONELY
– CRIME OF PASSION
I più attenti lettori osserveranno che la setlist comprende canzoni tratte dal primo album (Feeding the fire) e dal secondo (Let the Demon Rock and Roll), oltre a una chicca esclusiva, che il frontman ha voluto regalare agli spettatori, ovvero la ben costruita “Distant voices”, che sarà una delle tracce del nascituro disco.
L’esibizione si svolge con agilità e disinvoltura, grazie all’esperienza dei giovani ma navigati protagonisti, a parte qualche problema tecnico iniziale, occorso alla vecchia testata di Walter.
I momenti di maggiore spessore, oltre alle song già citate, si sono avuti con l’intensa “Prisoner”, dall’effetto corale degno della migliore tradizione dell’Hard Rock di stampo melodico, e con la tiratissima “Crime of passion”, che vede il duo Del Vecchio – Caliaro sugli scudi.
L’apporto di Nik è tanto discreto quanto importante nell’economia del suono, mentre il guitar-hero appare finalmente libero di esprimersi al di fuori da qualsiasi schema, con assoli incisivi che dimostrano buona creatività, deposto – per una sera – il costume da schoolboy con il quale è solitamente impegnato, nelle vesti di Angus (Riff-Raff). Alessandro Del Vecchio, dal canto suo, pone a segno la consueta “doppietta”, mettendo in mostra – da un lato – un apporto vocale limpido e sostenuto e – dall’altro – un grande lavoro alle tastiere, grazie anche a un equilibrato utilizzo del synth, che conferisce al prodotto finale variegate sfumature di diversa estrazione: Metal, Neoclassico, Hard Rock, AOR… Non è un caso che il tastierista possa vantare, nel suo curriculum, collaborazioni con stelle del firmamento musicale del calibro di Glenn Hughes, Ian Paice, Jeff Scott Soto, Marcel Jacob, Joe Lynn Turner… Dulcis in fundo (visto che parliamo di “classico”, il latino non ci sta male), Francesco “mano de pietra” Jovino, drummer dal tocco micidiale, capace di imprimere la sua impronta rocciosa e decisa al sound nel suo complesso. Anche per lui vale quanto già sottolineato per Caliaro, ove si consideri che, in questo contesto, il musicista sembra più libero di prodursi in passaggi, stacchi e rullate al di fuori degli schemi prettamente Metal nel quale è, in un certo senso, “imprigionato” allorché si cimenta nelle file di Udo. Qui, al contrario, il Cesco può esprimere al meglio le sue caratteristiche, secondo il modesto parere di chi scrive, facendo in tal modo risaltare la sua innata inclinazione verso sonorità più Hard Rock oriented: in sostanza, un fattore determinante per il gruppo, che ne trae indiscusso vantaggio in termini di assoluta qualità e quantità.
I ragazzi sono ora belli caldi, pronti a dare il benvenuto a uno special guest di prim’ordine: BRUNOROCK, al secolo Bruno Kraler, che ha abbandonato la bucolica quiete delle sue montagne altoatesine per ficcarsi nel caos del traffico meneghino e portare, in diretta, le note della sua ultima creazione, dal titolo “Live on fire”.
La scaletta comprende brani tratti da un repertorio che vanta quattro album all’attivo:
– IT’S ALL BEEN DONE 4 ME
– BREAKTHROUGH
– TWO HEARTS ONE WEAPON
– JULIA
– LA FONTE DEI SOGNI
– BORN WINNER
Fra le canzoni proposte dal simpatico Bruno, con convinzione e padronanza, si fanno particolarmente apprezzare: “La fonte dei sogni”, unico pezzo in lingua italiana (che, fra l’altro, esiste anche nella versione personalizzata di Michael Bormann, ex Jaded Heart), poi l’accattivante “Julia” e, infine, la tostissima “Born winner”, dal refrain assai orecchiabile. Voce pulita e ben impostata, in stile tipicamente AOR, il cantante – chitarrista riesce a coinvolgere la platea creando un feeling alquanto palpabile grazie alle sue doti da istrione. Tra un brano e l’altro regala anche ai fortunati delle prime file qualche copia del suo ultimo cd.
Nonostante i cinque musicisti non avessero mai suonato insieme in passato, l’intesa risulta quasi perfetta, a riprova dell’esperienza e (soprattutto) della classe dei protagonisti. Non bisogna dimenticare che anche Brunorock può esibire qualche stelletta al suo bavero, sempre parlando di collaborazioni illustri, tra i quali Rachel Bolan (Skid Row) e Alex De Rosso (Dokken). Con la scoppiettante “Born winner” si chiude il secondo episodio del festival, e i cinque AORockers possono finalmente deporre gli strumenti e raccogliere il meritatissimo plauso da parte dei presenti.
Dopo alcuni minuti necessari per il cambio stage, ecco fare il loro ingresso gli headliner della serata, ovvero i MYLAND, anch’essi in formazione parzialmente rinnovata:
– FRANCO CAMPANELLA: vocals
– HOX MARTINO: guitar
– FABIAN ANDRECHEN: bass
– DAVIDE FACCIO: keyboard
– PAOLO MORBINI: drums
L’approccio è alquanto significativo, nella misura in cui riesce a trasmettere subito l’essenza del prodotto confezionato dai milanesi, autori di un album (“No man’s land”) che si è conquistato, nel 2008, le prime pagine della stampa specializzata: “Running the night”, infatti, contiene in sé tutti gli elementi che caratterizzano il lavoro del quintetto, con un impatto sonoro piuttosto violento, ma temperato da linee melodiche finalizzate ad ammorbidire il pezzo. In questo brano, fra l’altro, traspare una componente epica che non guasta, ma anzi impreziosisce il risultato finale. Si procede con un’altra canzone il cui titolo, tanto per non prenderci troppo sul serio, si potrebbe parafrasare in “Hit of emotion”, in quanto – se adeguatamente supportato da radio o tv (ma siamo in Italia) – avrebbe le carte in regola per diventare un successo. Portino pazienza i lettori più o meno giovani: ogni tanto il “vecchio cronista” cade in tentazione e si lascia andare a considerazioni dalla vena polemica…
La setlist completa è la seguente:
– RUNNING IN THE NIGHT
– HEAT OF EMOTION
– LOVE LEAVES YOU LONELY
– AGE OF MY DREAMS
– KEYBOARD SOLO
– VOICES
– HOW MUCH LOVE
– DRUM SOLO
– THE WIND OF LATE SEPTEMBER
– ONE STEP CLOSER
– WHEN THE LOVE IS GONE
– PRISONER OF LOVE
– ANYTIME
La performance dei MYLAND si svolge con grande perizia e le canzoni scorrono piacevolmente una dopo l’altra, inframmezzate da alcuni momenti di particolare vigore, fra i quali vanno annotati l’assolo di tastiere del bravissimo Davide Faccio (in due aggettivi: tecnico e scenico) e, soprattutto, il “drum solo” di un Morbini molto carico e deciso, con il suo drumming un po’ “rétro” e “old style”, ma farcito da trovate pirotecniche e “circensi”, che illuminano il buio del palco in modo piuttosto originale e inatteso.
Lo stile della band si rifà a modelli ampiamente celebrati dalla Storia e, secondo alcuni, questo rappresenta un limite, specie in fase compositiva, ove si pensi che la fonte a cui si attinge risulta già abbondantemente prosciugata. Ma è pur vero che, in questo “déjà vu”, si possono comunque trovare spunti interessanti e di piacevole ascolto. Fra le canzoni che hanno creato i momenti di maggiore intensità, citerei la ritmata “Age of my dreams”, che strizza l’occhio al R’n’R (tanto per non dimenticare le origini), la commovente “Voices” (il cui testo parla delle vittime innocenti di guerre e terrorismo), la romantica “The wind of late september” (in crescendo strumentale), la coinvolgente “One step closer”, dalle tinte neo classicheggianti, la pomposa “Anytime”, con un sostanzioso apporto di tastiere e, da ultimo, l’incalzante “Prisoner of love”, che racchiude in sé meglio di ogni altra, forse, quella congiunzione tra sonorità Heavy e vocazioni melodiche da ascrivere ai maggiori meriti della band. Si tenga presente che anche nella storia dei MYLAND compare un curriculum di tutto rispetto, che annovera collaborazioni con Kee Marcello e Tommy Denander.
A livello individuale, Franco Campanella ha lasciato da parte la sua tipica versatilità, più evidente in altri contesti nei quali si trova a operare (leggi: Alto Voltaggio), per sposare la causa del Melodic Rock, facendo prevalere timbriche più calde e, quindi, più affini al genere. Un plauso va anche alla sezione ritmica, molto “eighties” nello stile, ma fondamentale nel suo instancabile “lavoro di centrocampo”. Last but not the least, Martino si rivela un ottimo chitarrista, dotato sul piano tecnico, con interventi sempre precisi e mai invadenti, dando un importante contributo sul piano della qualità, grazie ai suoi assoli di ottima fattura e di chiara ispirazione “Schoeniana”.
Fra le principali influenze, peraltro evidenti, vanno citate quelle che si rifanno ai cosiddetti gruppi storici quali: Journey, Toto, Foreigner, Boston, Chicago… Come già accennato, tale omogeneizzazione potrebbe, forse, tradursi in un aspetto negativo, sotto il profilo dell’originalità delle tematiche, nonché della diversificazione del repertorio. Ciò non toglie, tuttavia, che i MYLAND si possano confermare come una delle più autentiche realtà del panorama AOR tricolore, che nel 2008 ha prodotto alcune perle discografiche di pregevole valore, per avvalorare la tesi di chi sostiene che il settore resta sempre animato da una linfa vitale e gode, pertanto, di ottima salute.
Si spengono dunque le luci che hanno illuminato questo primo Gods of AOR, per la felicità di tutti i rockettari dall’animo romantico; restano soltanto alcune ombre che si allungano sul palco, dovute al rimpianto per la mancata partecipazione di un’altra stella in ascesa come gli HUNGRY HEART. La speranza è che, nelle occasioni che – ci auguriamo – il futuro offrirà, si riescano a superare inutili contrasti, nel nome di una causa comune. Per dirla con gli irrequieti Mötley Crue: “all in the name of Rock..!”
Marcello Catozzi