Report: Gods Of Metal 2002
Gods Of Metal 2002
Report
NODE –
MUSHROOM HEAD –
ANTI-PRODUCT –
IL NINO –
SODOM
KREATOR –
HALFORD –
SLAYER –
TIME MACHINE –
METALIUM
BLAZE –
DORO –
DOMINE –
VIRGIN STEELE –
RUNNING WILD –
BLIND GUARDIAN –
MANOWAR
Prefazione
Il Gods Of Metal è sicuramente l’Evento italiano per eccellenza per chiunque
si dichiari metallaro. Due giorni di fuoco, di passione, di birra e
divertimento.
Per provare a mettere insieme una serie di impressioni su questo festival ci
abbiamo impiegato una settimana, ma credo che apprezzerete i molteplici e
variopinti punti di vista dei nostri redattori.
Per quanto riguarda le foto, purtroppo mi mancano quelle dei Sodom e dei gruppi
che li hanno preceduti sabato 8. Mi mancano nientemeno quelle di Halford, ma le
aspetto al più presto. Non ho potuto scattare né a Blind Guardian né a Time
Machine e Metalium.
Vi garantisco che tutto quello che potevamo fare con un pass stampa e un pass
foto l’abbiamo fatto.
Per il sottoscritto è stato una due giorni di lavoro, tra sbattimenti, foto,
conferenze stampa, interviste, corse di qua e di là. Mi sono perso, per intero o
parzialmente parecchi spettacoli: mi dolgo maggiormente per i Virgin Steele,
Blind Guardian e Running Wild.
Non scriverò che pochi appunti qua e là, quindi, relativamente alle esibizioni,
ma mi pareva doveroso aprire questo report, in qualità di capo redattore.
Iniziando con la parte più negativa e doverosa della cronaca, ossia la
contestazione agli Anti Product.
Bottiglie di plastica e zolle di terra
La mia mattinata comincia con la suddetta band che viene presa prima a
bottigliate e poi, finite le bottiglie, a zolle di terra. Il cantante si ferisce
la fronte contro il microfono dalla frustrazione, e a ogni persona civile non
rimane che pensare che sarebbe stato meglio rimanersene a casa.
Ogni spettatore pagante ha il diritto di protestare contro la scaletta, ma a
tutto c’è un limite. Per colpa degli furboni che, dai tempi dei Method of Mayhem,
hanno preso il palco del Gods per un poligono di tiro, l’Italia colleziona
l’ennesima figuraccia.
Siamo la nazione che ha preteso di insegnare la civiltà al mondo intero, e
ora siamo ridotti a un manipolo di piagnoni che approfittano della massa per
lanciare il sasso e nascondere la mano.
Siamo diventati la patria dell’inciviltà, lo zimbello dell’Europa intera.
Nella mia carriera di giramondo ne ho viste di tutti i colori… cartelli di
avvertimento in negozi olandesi con scritto “non toccare” solo in italiano,
locali inglesi di fatto vietati agli italiani, gente che appena ti riconosce
come italiano ti ignora.
Fino all’altro giorno combattevo contro questa situazione, difendevo il Bel
Paese, difendevo la mia gente da ogni situazione assurda. Ma dopo questa
ennesima porcata, mi viene da pensare che, in Europa e nel mondo, potrebbero
avere veramente ragione su di noi.
La defezione dei Rammstein
La notizia arriva venerdì mattina, con un comunicato stampa sbrigativo e
probabilmente confusionario, la Live informa che “…il tastierista dei Rammstein
è stato avvelenato…” (probabilmente si sarebbe dovuto parlare di intossicazione
alimentare, non avvelenamento!).
Tra la gente, il sabato mattina, girano parecchie voci, ci sono tanti che
lamentano la mancanza dei tedeschi, tanti che sono venuti solo per loro o quasi.
Tantissimi festeggiano a più non posso, sperando che gli Stayer, piuttosto che
Halford, guadagnino minuti dalla defezione.
Personalmente ho il sospetto che i Rammstein, subodorata la possibilità della
contestazione pesante, abbiano esagerato una condizione di malessere per dare
forfait. Gente che guadagna e vende come loro, che si sta abituando ai palchi di
MTV, probabilmente non ama l’idea di prendersi bottigliate addosso. Tra l’altro,
il pericolo contusioni è il meno, con tutte le attrezzature in giro si rischiano
scosse e danni ben maggiori di un ematoma.
Quindi, i tanti che sono andati a Monza e hanno pagato 40-44 euro per vedersi i
Rammstein, ringrazino i signori e le signore di cui parlo sopra.
La scelta dei gruppi
Che dire, pare che alla Live facciano apposta. Nel giorno dei grandi del thrash,
e in un periodo di revival del genere in questione, infilano gruppacci nu e
industrial in scaletta. Per non parlare dei My Dying Bride, che nulla
c’entravano con la giornata di sabato.
Ho provato a pensare al perché di certe scelte. Credo che uno dei problemi
principali siano i gruppi stessi. Forse in troppi se la tirano, in troppi
impongono posizionamenti insensati in scaletta, e forse la Live arriva davvero
al punto di dover scegliere tra gli “avanzi”.
Ma ciò tuttora non mi spiega i Rammstein che, in principio, avrebbero dovuto
persino essere gli headliner della giornata di sabato.
Sapete che vi dico? Misteri della fede.
Il mio personalissimo consiglio per la live è di lasciar perdere la semplice
statistica delle vendite. Accontenta un vero thrasher, o un defender, e avrai
uno spettatore fisso del Gods in più, ogni anno. Stai a guardare le mode, i nu
metaller piuttosto che gli industriali e i crossoveristi, e non avrai che un
successo temporaneo, e un pubblico che è fedele solo a mode e trend.
Il Caso Virgin Steele – Symphony X
Un vero e proprio giallo, quello che lega Virgin Steele, organizzazione e
Symphony X.
Lo spettacolo degli X è durato pochissimo, appena 5 pezzi, e le ipotesi si sono
sprecate. In zona backstage si vociferava di come i VS avessero sforato di ben 5
pezzi, in pratica rubando spazio agli X.
Secondo altre voci, invece, gli X hanno avuto problemi incredibili al soundcheck,
tanto che si sono dovuti arrabattare di persona per parecchi minuti prima di
poter calcare il palco.
Ad avvalorare l’ipotesi di uno sgarro da parte dei Virgin Steele, sta il fatto
che il frontman De Feis è stato brutalmente fermato dallo staff della Live.
Io sinceramente credo che ci sia stato semplicemente un piccolo ritardo da parte
dei VS, aggravato dai problemi degli X. Ho avuto modo di fare una chiacchierata
con David De Feis, e l’ho trovato una persona troppo cortese, disponibile e a
modo per poter progettare scientemente e in mala fede un boicottaggio ai danni
di un altro gruppo.
Gli Dei del Metallo
Due parole veloci per i più attesi del Gods.
Halford è un grandissimo, uno che si merita appieno l’epiteto di God of Metal.
Entra in scena, scruta negli occhi tutta la prima fila, e parte incazzatissimo a
urlare Painkiller. Non si concede una pausa, percorre il palco e trascina col
suo carisma vincente la folla.
Gli Slayer partono con God Hate Us All, dal nuovo album, poi ripercorrono
tutta la carriera, passando per Die By The Sword, Raining Blood, South Of Heaven,
Mandatory Suicide, per terminare con la terrificante Angel Of Death.
Un’esibizione impeccabile, Dave Lombardo ha letteralmente tirato giù lo stadio
martellando sulle pelli. Araya e King sembrano ignorarsi per tutto il tempo, non
ci sono grandi “coreografie”, la band dimostra una certa staticità, a parte l’headbanging
furioso di King e qualche corsa qua e là.
Ma il muro sonoro eretto dagli statunitensi è qualcosa di impressionante, e
credo che chi era presente questo sabato, potrà raccontare un giorno ai propri
nipoti: “ho visto gli Slayer”.
I Manowar sono i Re Del Metallo indiscussi, una prestazione da brividi,
perfetta, che ripercorre la carriera ventennale della band in lungo e in largo.
Una delle poche, vere certezze rimaste nel metal.
Mancano gruppi?
Noterete che all’appello manca qualche gruppo, tra questi, My Dying Bride e
Symphony X. Per esigenze di tempistica, in mancanza di report validi
nell’immediato, ho dato la precedenza agli altri gruppi.
Se invece vi state chiedendo come mai mancano i report dei gruppi NU, forse
avete sbagliato portale. Comunque troverete qualche notizia nella pagina NODE.
I dovuti ringraziamenti
Un caldo ringraziamento a tutti coloro che hanno creduto in TrueMetal, e
hanno permesso al nostro staff di partecipare da protagonista a questo evento.
Ringrazo Live Italia per gli accrediti, Audioglobe e Spin-Go per
l’organizzazione di conferenze stampa ed intervista.
Un grazie speciale a tutti i redattori che hanno pagato il biglietto e
nonostante tutto hanno investito un po’ del loro tempo al Gods Of Metal per
TrueMetal.
Un grazie di cuore a tutti gli amici di TrueMetal! Fratelli e sorelle (sembro il
Papa) sono stato felicissimo di incontrarvi e conoscervi, un saluto a tutti!
Roberto “Keledan” Buonanno
Node
Il compito di dare fuoco alle polveri è assegnato ai nostrani Node, autori di
un thrash metal potente e aggressivo. Mentre lo Stadio Brianteo iniziava
lentamente a riempirsi di metallari, sul palco (dove si aggirava a sorpresa
anche Peso dei Necrodeath) veniva ultimato il soundcheck degli opener-act, e
dopo la “predica” di Frate Cesare (vera icona del Gods), i Node iniziano il
massacro sonoro.
La band ha suonato bene ed ha tenuto il palco in modo più che soddisfacente
(grazie soprattutto alle prodezze del motorheadiano chitarrista ritmico).
Il loro show dura abbastanza per scaldare gli animi e far partire il festival
nel giusto modo, all’insegna di una grande potenza adrenalitica.
Mushroom Head
Dopo i bravi Node, salgono sul palco i Mushroom Head, copia semi-spudorata
degli Slipknot dai quali copiano tutto (riguardo il look) dalle tute, alle
maschere, alla goffaggine sul palco, ai suoni bizzarri; sonoricamente i MH
sembrano meno “violenti” dei nove statunitensi…tuttavia la band esalta pochi e
annoia la stragrande maggioranza del pubblico restante. Vola qualche insulto e
gesti poco educati e tutto finisce qui.
Un’esibizione totalmente inutile.
Anti-Product
Da anni ormai al Gods c’è la tradizione di bottigliare almeno un gruppo.
Quest’anno è toccato agli Anti-Product..e, forse, se lo sono meritato davvero. I
tipi sembrano usciti da un video dei Daft Punk e iniziano subito a suonare
canzoncine tipo sigle dei cartoons giapponesi anni 70. Ma dove credono di
essere? Immediatamente il pubblico reagisce in malo modo e getta sul palco
tappi, bottiglie, proiettili di pane inzuppato d’acqua e quant’altro…prima gli
AP fanno buon viso a cattivo gioco, sfidando il pubblico a “fare di meglio”;
poi, visto che la tensione cresceva sempre di più, il cantante chitarrista si è
incavolato e per tutta risposta a sbattuto una decina di volte la fronte al
microfono, procurandosi una brutta ferita. Contento lui…
La band suona ancora (accenna anche una cover degli AC/DC) e la loro penosa
esibizione si conclude con il cantante che si lancia sul pubblico…e viene
pestato dall’orda di metallari incavolati lì presente.
La tolleranza è importante…ma perché abbiamo dovuto pagare con parte del
nostro biglietto un gruppo totalmente estraneo all’atmosfera del Gods of Metal?
Solo gli organizzatori lo sanno…
Il Nino
Altra band nu-metal tanto ridicola quanto noiosa. Parte del pubblico apprezza
l’esibizione di questi tipi durante tutta la durata del loro show, senza creare
incidenti.
Dico solo una cosa: il bassista ha suonato vestito da ragazzino di 12 anni, con
lo zainetto sulle spalle, calciando in aria e saltellando di qua e di là. Che
roba innovativa che è il nu….
Report a cura di LeatherKnight
SODOM
Matteo: Il mio ingresso al Brianteo è
accompagnato dalle note di “Among the weirdcongs” dei Sodom, ed è subito un
massacro. I Sodom sono uno di quei gruppi a cui non si può e non si deve
chiedere tecnica sopraffina o canzoni di gran classe, ma solo tanta violenza
sonora sparata al massimo volume, e questo è proprio quello che il gruppo di
Onkel Tom Angelripper dà al pubblico. Canzoni vecchie e nuove si alternano con
il buon Tom a incitare la gente sotto il palco che sembra gradire parecchio ciò
che sente, soprattutto canzoni come “Remember the Fallen” o le vecchissime “
Outbreak of Evil” e “Sodomized”, scatenando un massacro sotto lo stage. Lo show
della band di Bochum si chiude con una cattivissima versione della datata “Witching
Metal” e con il pubblico ad applaudire i 3.
Non si può certo dire che i Sodom abbiano suonato bene, soprattutto il
chitarrista Bernie ha veramente sbagliato tantissimo, ma per quanto riguarda la
potenza e il divertimento non si può essere delusi dal trio tedesco.
LeatherKnight: Finalmente inizia
ufficialmente il Gods of Metal, dopo la parentesi Node. Fa il suo ingresso sul
palco il trio thrasher teutonico Sodom, guidato dallo Zio Tom Angel Ripper, per
la seconda volta in Italia durante la loro carriera. Il pubblico ancora non
molto numeroso, sotto una fitta pioggia, reclama a gran voce “Ausgebomb!
Ausgebomb!” e così è: il gruppo attacca a suonare violentemente e dopo poco fa
il suo ingresso il cantante/bassista Angelripper da qui in poi infiamma i fans
sotto il palco con pezzi tellurici come “Outbreak of Evil”, “Witching Metal”, “Sodomize”
(dedicata ai fans lì presenti, per il loro caloroso supporto), e molte altre che
non hanno risparmiato (volenti o nolenti) gli spettatori da un furioso pogo che
avuto effetti disastrosi per via del campo diventato un pantano sotto la
pioggia.
Non manca un riferimento al nuovo album, M16, introdotto dalle seguenti parole
di Uncle Tom:
“Mr. Osama Bin Laden: go to Hell! Let’s stop the fuckin’ war”.
Grandi Sodom: hanno spaccato tutto (anche se, magari, non hanno dato proprio il
meglio..ma che volete? Lo “Squartatore di Angeli” ha pure una certa età…).
KREATOR
Matteo: Dopo un breve intervallo giunge
il momento dei Kreator, che dopo il ritorno a sonorità più in linea con la loro
gloriosa storia grazie al loro ultimo lavoro “Violent revolution”, sembrano aver
riguadagnato le simpatie dei Metallari. Lo stage è dominato dalla cover del loro
ultimo lavoro, la gente è in trepidante attesa e quindi here we go! Lo show
inizia con la title track dell’ultimo album e subito si capisce che i suoni sono
orrendi, sicuramente i Kreator sono stati il gruppo con i peggiori suoni in
questa due giorni.
Dico subito che non mi sono piaciuti per niente, a causa di una prestazione poco
aggressiva, di una presenza scenica, se si esclude Mille Petrozza, a dir poco
statica e poco coinvolgente e una tecnica approssimativa, soprattutto gli assoli
eseguiti proprio del leader della band, che invece ha cantato piuttosto bene. Il
combo tedesco pesca a piene mani canzoni del suo passato, come i classici “Extreme
Aggression” “Flag of Hate” o “Pleasure to Kill”, ma non convince.
In conclusione arriva la mitica “Tormentor” con i ragazzi delle prime file ad
incitare il gruppo e la gente nelle retrovie con l’ amaro in bocca per ciò che
sarebbe potuto essere questo concerto e che invece non è stato ( parecchi a
quanto ho sentito).
LeatherKnight: Si placa la pioggia,
spunta il sole e finalmente sullo stage compare una scenografia decente (in
questo caso un telone sullo sfondo che ritrae la copertina di “Violent
Revolution”). Ben presto salgono sul palco nientemeno che gli storici Kreator:
Mille e soci attaccano subito con la titletrack del loro ultimo Lp, non
riuscendo a scaldare i fans né tantomeno a creare un impatto degno di nota. Tra
i vari brani proposti deludono “Extreme Aggression” e “Terrible Certanity”,
manchevoli della giusta potenza e convinzione da parte della band. Nella seconda
metà dello show, il quartetto di Essen finalmente coinvolge tutti con assalti
sonori quali “Pleasure to Kill” e in conclusione “The Flag Of Hate”, ma alla
lunga stanca e l’esibizione di Petrozza e amici sa più di delusione che altro.
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HALFORD
Matteo: Poco prima che Halford inizi il
suo concerto Giove scatena la sua ira su Monza, riversando sui presenti un bel
temporale, che provoca un fuggi-fuggi generale.
Non ho mai apprezzato particolarmente lo stile del cantante di Birmingham, devo
però riconoscerne il carisma e l’importanza.
Nonostante le ultime gocce di pioggia, quando Rob appare urlando sul palco la
gente accorre in massa e, quando parte “Painkiller” è il delirio, la folla
scatena sotto il palco una bolgia terrificante.
Dopo questa mazzata iniziale il pubblico è completamente in balia di Halford che
scarica sulla folla molti classici dei Judas Priest, tipo “Exciter” o “Electric
Eye”, qualche estratto dai suoi album solisti e perfino un brano degli ormai
dimenticati Fight (“Nailed to the Gun”).
In definitiva un buon concerto per l’ex singer dei Judas.
LeatherKnight: Dopo 364 giorni
dall’esibizione mancata al Gods of Metal del 2001 (a causa dell’incompatibilità
di presenza di Rob Halford e i Judas Priest al completo), calca un palco
italiano (dopo la fiacca esibizione al Rolling Stones di Milano nel 2000) il
personaggio che ha dominato tutti gli anni 80. Ritorna in Italia Rob “Metal God”
Halford, cantante-compositore ed icona dei vecchi Judas Priest e dell’intero
movimento Heavy Metal.
Grazie all’assenza dei Rammstein, il caro Rob ha visto aumentare di poco il
tempo a sua disposizione e, dopo un piccolo ritardo, sale sullo stage il più
potente e folle screamer della storia: Rob Halford in persona, abbigliato con i
nuovi paramenti del “Crucible Tour”, ossia pantalone e chiodo in pelle
pesantemente borchiati, t-shirt del Tour, cappello in pelle nera e frusta alla
mano.
Forte di un innato carisma e di una trentennale esperienza live, Rob sa come
ammaliare il pubblico e tenere tutto sotto controllo: per prima cosa inizia a
cammminare da destra a sinistra e viceversa lungo il bordo del palco per poi
iniziare un fraseggio con il pubblico (martellato da una pioggia incessante).
Subito il Brainto risponde agli incitamenti del sign. Halford e, non appena il
resto della band prende in mano i propri strumenti, il grande Rob esplode
gridando “PAINKILLER!!!”…devastazione!!
Il pubblico è in delirio, l’impianto luci inizia a funzionare per bene e creare
uno scenario dal forte impatto visivo.
La band passa subito dopo a pezzi da novanta come Jawbreaker (già pezzo-fisso
della scaletta live del “Resurrection Tour”), Resurrection (eseguita con ancora
più convinzione dal vivo), Made in Hell, Exicter, Sinner, Into the Pit, Nailed
to the Gun, Betrayal, Golgotha (queste ultime anteprime del nuovo disco), a
sorpresa Freewheel Burining, The Hellion/Electric Eye e la tuonante Riding on
the Wind.
La scelta di suonare inaspettatamente anche pezzi degli anni 70 è nata -come
ha spiegato Rob in persona – dal fatto che “qualche settimana fa stavamo
scegliendo i brani da suonare dal vivo e, riascoltando “Unleashed in the East”
abbiamo deciso di riproporre questi brani che non venivano eseguiti da anni ed
anni”.
All’inizio di ogni canzone l’ex voce dei Priest non si concede distrazioni, è
tutto concentrato nel beccare acuti sempre più inumani non sbagliando quasi per
niente e impartendo una sublime lezione di canto (a 52 anni suonati) a tutte le
bands del Gods of Metal. Gli effetti alla voce c’erano, ma il trionfo del Metal
God è da addebitare solo alal sua stoffa, alla sua perenne abilità canora ed un
affiatata band che ha saputo dimostrare distintamente il suo buon valore.
SLAYER
Matteo: Finalmente arriva il momento più
atteso della giornata di sabato: gli Slayer!
E’ inutile negare che l’attenzione della maggior parte dei presenti era per Mr.
Dave Lombardo, tornato, anche se solo temporaneamente, all’ovile.
La sua prestazione non ha certo deluso, così come quella di tutto il gruppo,
sempre preciso e devastante, soprattutto nelle parti più tirate; unica pecca la
voce di Tom Araya, non so se avesse dei problemi, ma la sua prestazione vocale è
stata decisamente insufficiente.
Il concerto viene aperto dalla title track dell’ultimo album “God Hates Us All”,
seguita a ruota da “Disciple”.
Lo show prosegue attraverso tutti i classici del gruppo da “War Ensemble” a “Raining
Blood”, infiammando i presenti anche con canzoni più recenti come “Bloodline”.
L’apice dello show viene però raggiunto con l’esecuzione di storiche songs quali
sono “Chemical Warfare” e “Mandatory Suicide” ma, soprattutto, con la finale “Angel
of Death”, con uno stacco di batteria del cubano Lombardo veramente da pelle
d’oca.
LeatherKnight: “. I Massacratori a stelle
e strice non fanno altro che interpretare tecnicamente pezzi del loro repertorio
(“Reign in Blood”, “Angel of Death”, “Hell Awaits”, “God Hates Us All”, ecc….)
senza muoversi sul palco o mostrare qualcos’altro che pura tecnica. Ad un certo
punto il pubblico ha chiamato a gran voce “Lombardo! Lombardo!” ma l’unica cosa
che ne è venuta fuori è stato Tom Araya che ha detto “hehehe..yeah”…gli Slayer
sembravano degli zombie…a parte Kerry King che ha fatto headbang per tutta la
durata dello show.
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TIME MACHINE
Engash-Krul: La mattina del secondo
giorno del gods comincia in maniera piuttosto spiacevole. Le nubi che vedevamo
sopra di noi e che si sperava avrebbero tenuto per se il proprio carico di
acqua, decidono di aprire le danze proprio nel momento in cui ero ingrugnato in
fila per entrare allo stadio.
Naturalmente la folla era tanta, erano quasi le dieci di mattina, ed eravamo
tutti pigiati, ognuno che cercava di entrare il prima possibile. Proprio in quel
momento il diluvio.
Inutile cercare di prendere il K-way dallo zaino, in mezzo a quel casino non si
riusciva neanche a girarsi, l’unica speranza era sperare di entrare in fretta
per potersi poi coprire con calma.
Naturalmente il risultato di questo brillante piano di azione è stato quello di
inzupparmi fino le mutande, anche grazie a quelli che avevo di fianco muniti di
ombrello che mi riversavano addosso anche la loro parte di acqua oltre a quella
che spettava regolarmente dal cielo.
Finalmente riuscito ad entrare, con un paio di velocissime mosse riesco ad
infilarmi l’impermeabile e mi fiondo alla velocità della luce verso il palco,
dove, per fortuna, non avevano ancora cominciato a suonare.
Tenevo particolarmente a sentir suonare i Time Machine dopo il gradito disco
appena uscito intitolato Evil e ispirato ai romanzi dell’Inquisitore Eymerich.
Rapidamente mi conquistai un posto nelle prime file, anche grazie al fatto che
la gente non era ancora molta. La pioggia sembrava essere un po’ indecisa,
andava e veniva, ogni tanto sembrava quasi accennare a smettere, salvo poi
ricominciare con doppia violenza.
La gente attorno a me sembrava un po’ indecisa sul da farsi, la voglia di essere
nelle prime file fin da subito per il Gods of Metal era tanta, ma anche l’acqua
che veniva giù. Io intanto resistevo attaccato alla balaustra.
Ero curioso di sentire come i Time Machine si sarebbero comportati dal vivo
anche perchè nella loro storia hanno sempre avuto una line-up piuttosto
instabile con vari elementi che andavano e venivano.
Ma ecco, finalmente avevano finito di provare i volumi e si poteva cominciare a
suonare. Il secondo giorno del Gods era cominciato e sapevo già che sarebbe
stato un evento indimenticabile!
I Time Machine cominciano al propria scaletta con Where’s My Heaven. E io
comincio a cantare a squarciagola, incurante che i gruppi che si alterneranno
fino a sera sono veramente tanti.
Immediatamente mi rendo conto che dal vivo i Time Machine rendono veramente
tanto, forse anche di più che sul disco.
Il cantante si lascia andare e dimostra di avere una gran voce, la potenza e
l’estensione che sul disco si era potuta intuire solo in parte, dal vivo esplode
coinvolgendo il pubblico.
Il tempo continua ad essere inclemente e a rovesciare acqua su noi irriducibili.
Un vero peccato perchè con la coda dell’occhio vedo molti ragazzi che uno dopo
l’altro cedono e corrono a rifugiarsi al coperto lontano dal palco. Un peccato
perchè i Time Machine stavano facendo un gran bello spettacolo e già l’orario in
cui erano stati piazzati era penalizzante. Decisamente non meritavano un così
piccolo pubblico e che andava sempre più assottigliandosi visto come hanno
suonato.
Sulle ultime note della song di apertura il gruppo attacca Army of the Dead. E
ovviamente io ricomincio a cantare. La canzone prosegue liscia, mentre io
continuo a sgolarmi e sul finale della canzone, mentre ancora sto cantando, mi
accorgo che a cantare i brani in latino siamo rimasti probabilmente solo in due,
io e una mia amica di nome Alice.
Il successivo brano è Evil Lies e di nuovo sui pezzi in latino ci troviamo soli
a cantare io e la mia amica.
Sempre più gente se ne andava mentre l’acqua non accennava a diminuire, ma ecco
che accade l’impensabile. Sul palco sale Matos, presente al Gods per far
pubblicità al disco del suo nuovo gruppo gli Shaman, e, incredibilmente, Matos
riesce nell’impossibile. Nel momento in cui lui sale sul palco e comincia a
duettare con Omar, il cantante dei Time Machine, sulla canzone Hailing Soul,
esce il sole.
Immediatamente la folla, richiamata dalla pausa della pioggia e dalla presenza
di Matos sul palco, torna in forze ad accalcarsi sotto al palco. La voce di
Matos è unica e lui fa del suo meglio per ricordarcelo, anche Omar non si tira
indietro e il duetto tra i due accende più di un cuore.
Purtroppo il tempo è tiranno e a questo punto, nonostante fosse prevista anche
una cover di Remember Tomorrow degli Iron Maiden cantata da Andrè Matos, i time
Machine sono costretti a lasciare il palco.
A questo punto è ora di tirare le somme: io sono zuppo d’acqua e già mi aspetto
di prendermi una polmonite a dovermi tenere quei vestiti fradici addosso tutto
il giorno. In compenso però i Time Machine hanno fatto uno spettacolo di tutto
rispetto. Tutti i membri hanno suonato al meglio senza sbagliare nulla,
grandiosa la prova del batterista in particolare. Eccelsa la prova di Matos,
soprattutto perchè quel giorno si è esibito nonostante 38 di febbre e reggendosi
a stento in piedi.
Unica nota dolente il volume della seconda voce, affidata alla corista, era
troppo basso e dal pubblico non si sentiva per niente. Per fortuna però si
vedeva e mi sentirei di farle i complimenti perchè è veramente una gran bella
ragazza, fortunato il suo ragazzo.
In fine un saluto particolare a Lorenzo Dehò, bassista e mente pensante dei Time
Machine che ho avuto occasione di conoscere di persona e che è una persona
veramente simpatica, gentile e disponibile.
Ma adesso dove mi asciugo???
BLAZE
Leatherknight: L’ex singer degli Irons ha
eseguito una performance molto energica e sentita, anche se non ha mai raggiunto
grandissimi livelli (né tecnici né spettacolari). La band attinge le canzoni del
live set dal debutto “Silicon Messiah” e “Tenth Dimension”, nonché sfoderando un
pezzo dei Maiden era Blaze (“Man on the Edge”). La band si muove tantissimo sul
palco e diverte, riscalndando a sufficienza gli animi dei brothers and sisters
of metal lì convenuti. Da notare che il sign. Blaze Bailey è stato il migliore
(tra i personaggi dei vari gruppi) nell’arco dei due giorni a ostentare il
maggior numero di frasi in italiano (senza commettere errori, addirittura).
Bravo, Blaze!!!
Matteo: Quando i Blaze appaiono sul palco
il pubblico è bello carico è il singer inglese non fa che aumentare questa
carica, grazie ad un concerto molto trascinante.
Anche per il gruppo dell’ex singer dei Maiden vale il discorso fatto per i
Metalium, se in studio i Blaze lasciano l’amaro in bocca, dal vivo sono tutt’altra
cosa.
Bayley non è più costretto a limitarsi da parti vocali veramente troppo
complicate per la sua voce, scatenando così tutta la carica sullo stage
attraverso canzoni come “Forgotten Future” o “Messiah”, ma è con la maideniana
“Man on the Edge” che si raggiunge l’apice del concerto.
Spero che Blaze riesca a non cadere nella sindrome Paul Di’Anno, cioè di non
dover proseguire la sua carriera facendo cover degli Iron Maiden, dalla sua il
cantante britannico ha degli ottimi musicisti e una grande energia, speriamo
bene.
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DORO
Windseeker: Energia da vendere e presenza
sul palco da far invidia ai più quotati colleghi di sesso opposto fanno del suo
concerto il giusto coronamento di una carriera decennale in un genere così arduo
per una donna. Certo che la scelta di “All We Are” tra i tanti bellissimi pezzi
dei Warlock è alquanto discutibile…
Matteo: Piccola polemica: perché Doro
suona prima dei Domine?
Per carità, massimo rispetto per i toscani che sono arrivati dove sono grazie ad
anni di dura gavetta, ma Doro ha fatto la storia della nostra musica e avrebbe
meritato una posizione decisamente migliore in questo festival.
Lo spettacolo offerto dalla Metal Queen è stato fantastico, grazie ad una scelta
della scaletta che ha favorito il repertorio della cantante con i grandi Warlock.
L’esecuzione di canzoni quali l’opener “I Rule the Ruin” o le mitiche “Spellbound”
e, soprattutto, l’immensa “Burning Witches”, trascinano, soprattutto i meno
giovani, per circa mezz’ora.
La voce della bionda cantante non sembra risentire del passare degli anni e si è
mantenuta potente come un tempo e, anche durante l’esecuzione dei brani tratti
dal suo repertorio solista, non si può che rimanere affascinati dal timbro
aggressivo ma sempre pulito di Doro.
Chiusura affidata all’immancabile “All We Are” con tutti i presenti a cantare il
ritornello.
LeatherKnight: Attessissimo appuntamento
della Metal Goddess Doro Pesch con il suo gruppo solista (tra l’altro, pare
sfumata la reunion dei Warlock). Accolta da un poco simpatico e riverente “Olle-lle
Olla-lla, faccela vede’…”
invocato (con tanto di battito di mani) dai bontemponi della prima ora, sale sul
palco una delle migliori voci femminili dell’Heavy Metal, che dimostra con i
fatti di non annoverare tra le sue qualità soltanto la sua eterna bellezza, ma
di essere una singer energica e tecnicamente ineccepibile.
Si parte alla grande con i pezzi dei Warlock “I Rule the Ruins” (dove la
signorina Pesch riesce a controllare benissimo le linee melodiche del refrain) e
“Burning The Witches”. Un elegio va anche ai tre simpatici disastrati che
formano il resto della band, capaci tecnicamente e molto coinvolgenti nello
spettacolo.
Si passa poi a brani da “Calling to the Wild” e l’anticipazione della titletrack
dal nuovo album “Fight” (nei negozi ad Agosto). Lo show si chiude in bellezza
con una versione molto estesa nel finale dell’inno dei Warlock “All We Are”, al
cui refrain partecipa gran parte del pubblico, coronando la performance di Doro
come una delle più riuscite del festival.
Doro: insieme a Rob Halford ed Eric Adams una delle migliori voci del Gods.
Enzo: La paladina dell’heavy metal non ha
deluso le aspettative. Erano molte le incertezze sul conto della voce
dell’inossidabile singer, incertezze tutte spazzate via da un’esibizione
eccellente. Canzoni come I Rule The Ruin, Burning Witches, Hellboud, East Meets
West…danno ai fans tutto ciò che volevano, puro e sanissimo heavy metal e
nulla più. Burn It Up è l’unico brano della carriera solista della singer ad
essere entrato nella scaletta del suo spettacolo, e noi aggiungiamo un
“fortunatamente”. Lo spettacolo della cantante si chiude con la trionfale ed
immane All We Are, uno dei pezzi più belli dell’intera discografia della sua
vecchia band e che grazie al suo magico e travolgente refrain incanta come non
mai le migliaia di persone presenti. Un grazie a Doro per averci fatto rivivere
il sound e le magiche atmosfere dei Warlock.
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DOMINE
Enkidu: Manca poco alle 15.00 quando
salgono sul palco i Domine, sicuramente la band italiana più in voga del
momento. Subito dalla prima canzone si capisce che i nostri se la cavano
benissimo sul palco e a livello di coinvolgimento non hanno nulla da invidiare a
band ben più famose. Morby come al solito è scatenato e da eccezionale frontman
quale è, scatena il pubblico sulle note di “The Hurricane Master“, la
gente si scalda e con la successiva “Horn Of Fate” da il massimo cantando
a squarciagola il ritornello. Prestazione tecnica notevole anche per “The
Ride Of The Valkyries” eseguita egregiamente per poi finire con due delle
canzoni più amate dai fans, “Defenders” e “Dragonlord“, e anche
qui la gente segue cantando e divertondosi notevolmente.
La voce di Morby è come al solito sopra le righe, raggiunge note davvero
eccezionali, purtroppo però il missaggio di strumenti e voce non è molto
equilibrato, infatti nelle prime canzoni la voce di Morby è eccessivamente bassa
rispetto al resto. Comunque una prestazione notevole anche questa volta per
questa epic metal band, che raccoglie sempre più consensi nel panorama metal.
(sembra che ha fine concerto Morby salutando i fans abbia rivolto un
“particolare apprezzamento” all’addetto al mixer)
LeatherKnight: Fanno il loro ingresso i
toscani Domine, acclamati da un vastissimo pubblico che non fa altro che gridare
a gran voce il nome del gruppo. All’inizio problemi al microfono impediscono a
Morby di portare avanti con facilità il live set. Tra i pezzi proprosti, i più
riusciti sono stati “Horn of Fate”, “Metal Defenders” e “DragonLord”, che hanno
visto una corale partecipazione del pubblico.
Da notare lo striscione sul lato Est dello stadio “Domine Forevermore –
Alcholics Warriors (NO)”.
Matteo: Tocca ora ai nostrani Domine
salire sul palco e i cinque toscani lo fanno con la veloce “the Hurricane
Master”, i suoni sono ottimi e la band sembra in forma.
Rispetto a qualche anno fa si può notare come il gruppo sia migliorato
moltissimo, soprattutto per quel che riguarda la presenza scenica, riuscendo fin
da subito a coinvolgere il pubblico presente;
canzoni come “Defenders” scatenano grandi entusiasmi.
Personalmente li trovo noiosi dopo poche canzoni ma, visto l’entusiasmo
generale, probabilmente sono io a non capire.
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VIRGIN STEELE
Abbadon: parte la devastante poteza dei
Virgin Steele, i decibel sono stati molto alti, con tutta la band che faceva
spettacolo sul palco, oltre che cantare a squarciagola accompagnata da un
pubblico davvero calorosissimo, che invocava i suoi beniamini, che prontamente
rispondevano capitanati da un veramente scatenato De Feis trovatosi molto a suo
agio a giudicare dai suoi comportamenti. Putroppo però, nonostante la bellezza
di molte canzoni, i Virgin sono stati traditi da due fattori, che probabilmente
li hanno privati del ruolo di band di elité della domenica del gods (al quale
erano molto attesi), e anzi hanno addirittura celato ombre di delusione su molti
spettatori. La beffa e stata inoltre che non sono state lacune loro a creare
questi scetticismi, bensì fattori esterni non trascurabili, come l’ancora errato
regolamento del mixer, e degli amplificatori (che per alcune canzoni sono
risultati deleteri), e soprattutto al fattore meteorologico, che dopo un po di
sole ha rovesciato un violento acquazzone sulla folla, che correva a ripararsi
(salvo i fedelissimi ovviamente) sotto gli spalti a libero accesso.
Enzo: Altra grande band presente
all’appuntamento di quest’anno sono proprio i Virgin Steele del carismatico
David DeFeis, ci si aspettava molto da loro e tutto è stato esaudito. A dispetto
di tutti i miscredenti David e tutta la band regalano al pubblico un’esibizione
bellissima che comincia proprio con uno dei loro classici più conosciuti, e così
Invictus viene cantata ed esaltata dalla marea di fans come poche altre canzoni.
L’heavy metal scorre imperioso sul palco e le versioni di Defiance e The Fire
God sono molto più rocciose di quelle presenti nell’album. Anche la voce di
Defeis sembra perdere molta limpidezza ed acquistare molta potenza per
un’esibizione grandiosa. Ma anche gli altri membri della band non scherzano, e
così Pursino ci regala assoli impeccabili. Momenti di commozione arrivano con I
Will Come For You. Lo spettacolo si conclude con l’insolita Life Among The Ruins.
Certo, sarebbe stato meravoglioso per me ascoltare finalmente da vivo una The
Spirit Of Steele, ma così non è stato, e complice anche il tempo i Virgin Steele
lasciano il palco avendo però regalato ai nostri ricordi epiche emozioni.
LeatherKnight: Spettacolare l’esibizione
di David Defeis e soci. Dalla parte posteriore del palco si erge un telone
fantastico con la scritta “Virgin Steele” che ritrae due bighe nel cielo, i cui
auriga tengono tra le loro braccia due fanciulle (presumibilmente rapite). Lo
show parte proprio mentre dal cielo diluvia come mai è accaduto nei due giorni.
Fatto sta che la maggior parte della gente si rifugia al coperto sulle
gradinate, e sotto il palco rimane comunque un bel po’ di gente che accoglie con
un boato l’entrata dei VS. L’unico difetto dello show è consistito
nell’eccessivo volume dato alla voce di David Defeis, davvero troppo sbilanciata
rispetto agli altri strumenti. Tuttavia la band spacca tantissimo e diverte se
stessa e tutti i suoi fans lì sotto, attaccando con “Invictus”, “The Fire God” e
“Sword of the Gods”. Scenicamente la band (vista la sua posizione nella bill) ha
fatto del suo meglio con tanto di spade fiammeggianti, tantissimo dinamismo e un
forte impatto visivo.
Purtroppo la già breve esibizione del gruppo newyorkese (tecnicamente davvero
ottima, a parte un po’ di imprecisioni negli assoli di chitarra) è stata
interrotta dallo staff della Live. Il “bello” è che tutta la band aveva compreso
che lo show era finito…tranne David Defeis il quale non si era accorto che
mentre stava per introdurre una nuova canzone (aveva già le mani sulla tastiera)
gli era stata staccata la spina.
Tuttavia si può veramente dire che i VS abbiano dominato il loro live set e che
abbiano dimostrato effettivamente di essere una delle migliori bands in
circolazione.
Matteo: I Virgin Steele sono un gruppo
strano, spariti durante gli anni novanta sono prepotentemente tornati alla
ribalta grazia ai due Marriage, tornando giustamente ad essere uno dei gruppi
più seguiti da chi ama sonorità epiche e magniloquenti.
La band di New York si presenta al pubblico con “Invictus” ed è subito caos!
In molti si chiedono se quel chitarrista con i capelli corti e tinti di biondo
sia il buon Pursino, ebbene sì, è proprio lui, probabilmente il cambio di look
deve essere colpa di un colpo di sole violento preso dal musicista.
Parlando in specifico dello show si può dire che sia andato piuttosto bene, “I
Will Come for You”, “Defiance”, l’inaspettata “Life Among the Ruins” e l’ottima
“The Fire God”, si riversano sul pubblico, che dimostra di gradire cantando
insieme ad un ottimo David De Feis tutti i pezzi.
Unica nota negativa l’inutile assolo di Pursino che, di fatto, impedisce per una
questione di tempi, l’esecuzione della richiestissima “Symphony of Steele”.
WindSeeker: Finalmente arriva il momento
dei miei adorati Virgin Steele, così armato di ombrello e impermeabile guadagno
la zona calda del campo. David Defeis non sembra in forma smagliante, e, mi
duole dirlo, sbaglia tonalità quasi puntualmente quando affronta le parti
liriche e melodiche (forse che neanche sul palco il sound fosse dei migliori?).
Sta di fatto che David dopo un po’ e con grande abilità diminuisce l’enfasi
delle suddette parti e aumenta la quantità di vocals strappate e graffianti. La
scelta della scaletta lascia perplessi molti fan, anche se la band americana
“sgarra” di ben 15 minuti sul tempo concessale, costringendo gli organizzatori a
tagliare la corrente proprio al momento dei saluti, e ridimensionando di molto
l’esibizione della band successiva.
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RUNNING WILD
Abbadon: Finita la pioggia la gente torna
ad accalcarsi sotto il palco e le bandiere nere con teschio e tibie sventolano
tra la gente. La coreografia e davvero da fuoco e fiamme, include effetti sonori
esplosivi, scintille, coriandoli che piovono, e tra un colpo di cannone e
l’altro (simulati apunto dai botti prima descritti) esplode la violenza delle
storie dei pirati targati running wild, che, con una acustica finalmente
sistemata a dovere, mettono in mostra il loro power di una sonorità a mio avviso
superba, nonostante l’opinabile monocordicità dei pezzi, cosa tuttavia forse
secondaria rispetto allo spettacolo proposto dai teutonici, veramente degno di
nota, nonostante mancasse un cavallo di battaglia come “Under Jolly Roger”, ma
con la presenza tutt’altro che trascurabile di canzoni come “Victory”, “Soulless”,
“Riding the storm”, “BrotherHood”, che hanno direi nettamente dimostrato che i
Running nonostante l’ottima fattura dei loro Cd, sia una band che esplode
soprattutto dal vivo.
Enzo: I Pirati dell’heavy metal sono
arrivati in Italia ed hanno affondato a colpi di batteria e micidiali killer
track tutto il pubblico entusiasta. Welcome To Hell irrompe con il suo
strepitoso muro sonoro seguita dalla classica Bad To The Bone. Rock ‘n Rolf
indossa la sua classica uniforme Ussara, ed è una piccola delusione per me che
già immaginava i vecchi abiti “denim and leather” di stampo piratesco. Ma è solo
un dettaglio, perchè tra fuochi d’artificio e l’energia di Rolf tutti sono
catturati dallo spettacolo eccellente. I Running Wild sono parte dell’essenza
dell’heavy metal, e lo dimostrano in pieno sul palco. Dopo Riding The Storm e
Souless, Rolf si prende una pausa e torna sul palcoscenico con un completino
nuovo di zecca e tanto di cilindro in capo, comincia infatti la superba The
Brotherhood che si conclude tra gli applausi dei fans. A sorpresa vengono
suonate anche Victory e Soulstripper che chiudono il sipario. Rock ‘n Rolf ha i
suoi anni, ma il suo carisma è unico, fin quando band come queste esisteranno,
difficilmente l’heavy metal vedrà il suo tramonto.
LeatherKnight: Dopo il deludente show di
Vigevano al PowerMad Europe 1999, tornano per la seconda volta in assoluto nella
loro carriera i Pirati del Metal. Stavolta Rock n Rolf e compagni hanno
letteramente infiammato i cuori dei loro fans con una “scoppiettante” esibizione
in cui gli effetti pirotecnici l’hanno fatta da padrone.
In quest’occasione la ciurma teutonica ha proposto materiale che ripercorre una
parte abbastanza vasta della sua carriera (da “Death Or Glory” e “Black Hand Inn”
a “Victory” e al recentissimo “The Brotherhood”).
A parte le pause necessarie tra una canzone e l’altra, Rock n Rolf sembra non
sentire il penso degli anni e corre da un lato all’altro dello stage senza
sosta, coinvolgendo tantissimo e regalando prestazione vocali più convincenti
rispetto a quelle in studio.
I Running Wild sono stati la sorpresa più esplosiva del Festival: rendendo tutto
il pubblico partecipe e offrendo uno show adrenalitico unico rispetto alle altre
bands e denso di colpi di scena. Lunga vita al Capitano!!
Matteo: I Running Wild sono attesi al
varco dopo la deludente prestazione in quel di Vigevano qualche anno fa.
Sicuramente il gruppo di Rock n’ Rolf si riscatta grazie ad una buona
prestazione della nuova band che accompagna il capitano in questa nuova calata
italica.
Lo show viene aperto da “Welcome to Hell” opener del nuovo “The Brotherhood” e
da grandi fiamme sullo stage, proprio la parte pirotecnica sarà la protagonista
dello show del gruppo con esplosioni varie durante tutti i 50 minuti a loro
disposizione. Si prosegue con delle ottime versioni di “Bad to the Bone” e della
splendida “Riding the Storm” che infiammano un pubblico di per sé già esaltato,
purtroppo dopo questi classici i Running Wild si dimenticano completamente della
loro produzione più datata, insistendo, con l’eccezione della vecchia “Purgatory”,
sul materiale più recente, sicuramente valido ma non in possesso del fascino che
hanno i pezzi più vecchi.
L’unica critica che si può muovere al gruppo è proprio la scelta della scaletta,
sembra si divertano a trovare i pezzi meno belli di ogni album da proporre, come
nel caso di “Soulless” senza dubbio il pezzo più debole dello splendido “Black
Hand Inn”.
Comunque sia i pirati tedeschi riescono a divertire il pubblico e non è poco.
WindSeeker: Spettacolo pirotecnico e
scenografico per i successivi Running Wild, capitanati da Rock’n’Rolf in
uniforme piratesca delle grandi occasioni. Le chitarre, dominanti nello stile
del gruppo tedesco con i loro riff granitici, iniziano a sentirsi decentemente a
partire dal terzo pezzo (mi si dirà che ne sarebbe bastato anche uno solo, vista
la similarità tra questi, ma già che c’ero…), ed è a quel punto che posso
formulare un giudizio completo. Il gruppo teutonico non è certo modello di
originalità e tecnica (Rock, ti prego non ti cimentare mai più in un solo!!!),
ma di sicuro è da ammirare per il coinvolgimento e la compattezza, anche se più
di mezz’ora di Running Wild, sinceramente, non la reggerei…:) Anche per loro
vale il discorso fatto per i Virgin Steele: mi aspettavo che proponessero
live-hit come Under Jolly Roger, Death Or Glory, The Rivalry, War And Peace…
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