Report Gods of Metal 2004 di Alessandro ”Zac” Zaccarini

Di Redazione - 18 Giugno 2004 - 19:33
Report Gods of Metal 2004 di Alessandro ”Zac” Zaccarini

Il Gods Of Metal è il più grande evento metal italiano, il più atteso dagli addetti ai lavori e non, quello che dovrebbe essere lo specchio dell’anima metal e hard rock di una nazione che da anni occupa un posto primario a livello di mercato ma che ancora fatica ad emulare i grandi festival del resto d’Europa.
L’edizione 2004 è la prima fuori dal circondario milanese, in una location, Bologna, che occupa una posizione strategica migliore ed un’arena, quella del Parco Nord, che si presta meglio rispetto allo stadio di Monza e al Palavobis.
A conti fatti il Gods Of Metal di quest’anno risulta fortemente controverso, lasciando molto amaro in bocca. Grandi personaggi del panorama metal e hard rock sono stati protagonisti di show davvero spettacolari Dee Snaider su tutti, seguito da un Blackie Lawless indemoniato e da una prova collettiva dei Testament da inchino… di contro l’organizzazione si è prodigata in alcune scelte e situazioni assolutamente da dimenticare, a tratti addirittura vergognose.
Ignobile il trattamento riservato a quasi tutti i gruppi, che sono stati mutilati da un suono davvero pessimo. Le band hanno dovuto fare i conti con livelli sbagliati, testate che non funzionavano, tempi a disposizione strettissimi e show tagliati. Forse avrebbe avuto più senso chiamare un paio di grossi nomi in meno e fare suonare quelli presenti per più tempo; visto che gente del calibro di Sodom, Rage, Wasp, Quireboys e compagnia, gente con decenni di carriera alle spalle che sono patrimonio artistico della scena hard’n’heavy mondiale, merita molto di più di una mezzoretta con suoni da festa di paese.
Pollice in su per gli headliner del sabato, quei Judas Priest tanto rimpianti e poi attesi che hanno ripagato, sicuramente almeno in parte, le aspettative. Bocciatura invece per Alice Cooper, un mostro sacro del rock che non è riuscito a far alzare le braccia nemmeno alle prime file…

Inutile dire che come sempre la ristorazione ha approfittato della situazione e del caldo insopportabile, aiutati da un servizio di sicurezza che ha requisito all’ingresso la maggior parte di cibi e bevande per problemi di sicurezza (quando poi all’interno dell’arena vi erano sassi delle dimensioni di un limone).
Il picco non poteva essere che nella birra (annacquata): un bicchiere da 30cl a 4 sonanti euro.

 

Sabato 5 giugno
DOMINE
: I Domine sono un cliente abituale del Gods Of Metal, ed ogni volta, anche se la loro musica non è nulla di nuovo o eclatante, sanno regalare una prestazione vivace fatta del loro speed metal canonico e da una buona dose di simpatia. Questa volta la band evita la maggior parte dei pezzi già sentiti come Defender e The Hurricane Master in favore di altri altrettanto classici come Thunderstorm e Dragonlord conditi dai nuovi Battle Gods e The Aquilonia Suite. Il tempo però è particolarmente tiranno e la band non riesce a proporre più di quattro brani.
In ogni caso, banali o no, anche questa volta la formazione toscana lascia il palco tra gli applausi.
Setlist: Battle Gods, Thunderstorm, The Aquilonia Suite, Dragonlord.

RAGE: Grandi come sempre. Inutile nascondere che io, come molti altri, sono nella schiera di coloro che sono rimasti indignati e arrabbiati per il modo in cui l’organizzazione ha trattato questa band. I Rage sono un’istituzione del power metal europeo, con venti anni di carriera alle spalle, una discografia di tutto rispetto e una line-up formata da musicisti ottimi. Sicuramente una formazione che non si merita di essere sorpassata in bill da gruppi come gli Anathema, che non si merita un microfono difettoso e tanti errori nella gestione dei suoni; ma che soprattutto non si merita di dover esibirsi per meno di mezzora.
Nonostante tutto ciò però i Rage sono una macchina che funziona alla perfezione, sia loro concesso due ore o pochi minuti. Il pubblico se ne accorge e li sostiene attraverso una breve e intensa carrellata degli ultimi anni della band. Si parte con la nuova War Of Words per poi approdare a pezzi come You Are Going Down, Set This World On Fire, la spettacolare e classicissima Don’t Fear The Winter  fino alla conclusiva Higher Than The Sky  cantata a gran voce dal pubblico presente sotto le transenne.

ANATHEMA: Li ho seguiti soltanto per pochi minuti, e non capisco la presenza di una band del genere all’interno di un festival di questo tipo.

SYMPHONY X: La band in questione ha indubbiamente un valore tecnico elevatissimo, ma la loro musica non è riuscita a coinvolgere né il sottoscritto né tanti altri che hanno preferito godersi l’ombra oppure restare come lucertole al sole davvero martellante.
Al dì là del lato musicale del quale non mi sento di poter dare un giudizio obiettivo, non conoscendo gran parte del loro materiale, quello che proprio non ho digerito sono state le dichiarazioni di appartenenza al rock’n’roll che il frontman ha ripetuto per diverse volte durante lo show. A riguardo spero vivamente che mister Russel Allen abbia potuto godersi gli show di Quireboys, Wasp e Twisted Sister… e spero che avesse con sé il quaderno degli appunti…

NEVERMORE: C’era grande attesa per una delle formazioni più decantate dell’ultimo decennio, uno dei pochi gruppi figli degli anni 90 che in ambito classico (o quantomeno partendo da un ambito tale) ha saputo fare bene. Dal vivo però la band non riesce ad esplodere e dopo la deludente prestazione dello scorso autunno a Milano, anche questa volta, ad una parte strumentale ben suonata, Warrel Dane non si adegua in maniera giusta, sbagliando l’impatto con alcuni pezzi. In ogni caso buona la setlist e gradevoli brani come Tomorrow Turned Into Yesterday, Next In Line e la conclusiva Enemies Of Reality.

UFO: Tra le vittime del temporale del sabato pomeriggio la principale sono gli Ufo: di tutte le band che erano in bill l’unica che non è riuscita ad esibirsi. Probabilmente non c’era spazio per loro tra la fine del temporale e l’inizio dello show dei Judas Priest… (3:30 di vuoto).

JUDAS PRIEST: Quello che in tanti si sono augurati per anni è finalmente realtà: i Judas Priest si sono riuniti e sono in Italia. La scenografia è tra le più classiche, la scaletta pure. I Priest inanellano una serie allucinante di vecchie glorie, partendo dall’accoppiata The Hellion – Electric Eye, passando per i cori di Metal Gods e Breaking The Law i riff granitici di Heading To The Highway e The Green Manalishi. Immancabili capolavori come The Sentinel e Beyond The Realms Of Deth mentre la chiusura del primo set è affidata alla acclamatissima Painkiller.
Halford torna poi in sella ad una moto per inaugurare un encore di tutto rispetto, aperto dalla splendida Hell Bent For Leather, e condotto attraverso Living After Midnight e United per poi concludersi con You’ve Got Another Thing Coming: tre pezzi ideali per la sede live ai quali infatti il pubblico non manca di partecipare in maniera massiccia con i cori.
I Judas Priest hanno fatto davvero un grande show, anche se Rob Halford non è più nella forma splendida dei tempi addietro: alcune linee vocali sono stati semplificate non poco e alcuni pezzi come Touch Of Evil e Beyond The Realms Of Death potevano uscire meglio. Anche Tipton ha accusato qualche colpo, a differenza invece di Downing apparso in una forma davvero fenomenale, come del resto l’inossidabile Ian Hill.
Forse la più grande pecca dello show è stata la freddezza con cui la band ha suonato, come un attore che segue un copione senza prestare troppa attenzione al suo audience. Mosse perfette e tanta sincronia, ma poco calore verso fan che li aspettavano da anni.

Setlist: The Hellion,  Electric Eye, Metal Gods, Heading Out to the Highway, The Ripper, Touch of Evil, The Sentinel, Turbo Lover, Victim of Changes, Diamonds and Rust, Breaking the Law, Beyond the Realms of Death, The Green Manalishi, Painkiller
Encore: Hell Bent For Leather, Living After Midnight, United, You’ve Got Another Thing Coming

Domenica 6 giugno

NAGLFAR: Anche i Naglfar compaiono tra i tanti gruppi che hanno avuto meno di ciò che meritavano. La band svedese ha infatti suonato per circa 25 minuti con una chitarra in pratica inesistente ed un suono complessivo lontano dalla sufficienza. Fortunatamente la formazione scandinava, guidata da un devastante Jens Rydén alla voce, è riuscita a regalare una bella prestazione, fatta di tanta aggressività, pescando dal sublime Vittra e impreziosendo con ottimi pezzi come I Am Vengeance e Horncrowned Majesty.
In ogni caso, per quanto io sia fan della band, non vedo il senso di chiamarli in una giornata così hard’n’heavy oriented.

SODOM: L’ingiustizia più grande di questi due giorni è probabilmente quella che ha colpito i Sodom. Una leggenda del thrash europeo come loro è stata infatti costretta a rinunciare alla propria strumentazione e a suonare per non più di una mezzora con un suono che definire pessimo sarebbe un eufemismo. Ad una tale bestemmia rivolta dall’organizzazione agli dei del metallo, Tom Angelripper e soci hanno risposto con una prestazione sublime e intensa, guadagnandosi l’approvazione di tutto il pubblico che, anche per diverso tempo dopo la fine del loro show, continua di tanto in tanto ad invocare con cori più o meno organizzati il loro nome. Spettacolare anche la selezione dei pezzi che il terzetto tedesco ha proposto.
Setlist: Remember the Fallen, Outbreak Of Evil, Sodomize, The Saw Is The Law, Napalm In The Morning, Stalinhagel.

QUIREBOYS: Il grande pomeriggio del rock’n’roll (interrotto dagli Stratovarius) inizia con i riff festaioli e trascinanti dei Quireboys che, trainati da uno Spike con sempre meno voce ma sempre più simpatia, fanno muovere i presenti al ritmo di 7 o’clock, Sex Party, There She Goes Again e di grandi classici come You Can’t Stop Rock’n’Roll e Hey You. I Quireboys mostrano tanta voglia di suonare e divertirsi, e proprio non gli si può dare torto quando cantano This is Rock’n’Roll…

STRATOVARIUS: Saltata l’esibizione del sabato agli Stratovarius, con somma gioia di chi si è visto tagliare gli altri concerti, è stata concessa un’ora nel pomeriggio nella domenica. Non sono un fan della band e non mi pronuncio sulla loro esibizione se non dal punto di vista umano. Ho guardato parte del loro show incuriosito su come potevano presentarsi sul palco e suonare dopo tutte le vicende degli ultimi mesi… ebbene applausi per Kotipelto, protagonista di una buona prestazione vocale e autore del tentativo di instaurare un minimo di rapporto tra il pubblico e una band che per tutto il concerto ha continuato a farsi i fatti propri, ognuno nel suo angolino, senza degnarsi di uno sguardo.

W.A.S.P.: I W.a.s.p. salgono sul palco del Gods Of metal con una grinta e una carica impressionante e cominciano da subito ad impartire lezioni di presenza scenica e rock’n’roll. Non manca nulla: c’è un Blackie Lawless in forma smagliante, c’è una band motivata e preparata ma soprattutto c’è una scaletta che pezzo dopo pezzo si fa sempre più clamorosa. Il pomeriggio bolognese si riempie di una sequenza allucinante di capolavori dell’hard rock: Love Machine, Wild Child, la devastante Animal (Fuck Like A Beast) e ovviamente l’immancabile I Wanna Be Somebody al cui ritornello partecipa la maggior parte dei presenti. Il tempo passa più veloce che mai e con Blind In Texas la band saluta tra le ovazioni e il rammarico di chi avrebbe voluto vederli suonare più a lungo. Assolutamente fantastici.

TWISTED SISTER: A mio avviso dovevano essere gli headliner di questo Gods Of Metal e lo hanno dimostrato. In 50 minuti che alla band vanno strettissimi, i Twisted `Fucking` Sister hanno dato vita ad una prestazione spettacolare, ricevendo applausi a scena aperta da tutti presenti: dai più giovani ai fan di vecchia data. Uno dopo l’altro la band propone successi come You Can’t Stop Rock’n’Roll, il tutto saltando e correndo per il palco come ragazzini. Grandissimo Dee Snaider, senza praticamente voce (cosa secondaria) ma forte del suo incredibile carisma. Il frontman non fallisce nemmeno nell’impresa, durante l’accoppiata finale We’re Not Gonna Take It – I Wanna Rock, di far alzare e cantare TUTTA l’Arena del Parco Nord, dalla collina fino alle prima file. Così migliaia di persone si ritrovano con le braccia alzate a cantare in un enorme coro da brividi.
Al momento dei saluti il pubblico non ci sta, ma il tempo è quello che è, e i Twisted Sister devono lasciare il palco, comunque sia, con la sicurezza di avere fatto centro.

MOTORHEAD: I Motorhead sono grandi affezionati del Gods Of Metal. Ogni anno si presentano con il loro show minimalista fatto del loro look da texani e del loro hard rock sporco e grezzo; ed ogni anno raccolgono consensi ed applausi. Questo 2004 non fa differenza: apertura affidata a We Are Motorhead e via classico su classico, passando dalla cover dei Sex Pistols God Save The Queen fino a Overkill e ovviamente la attesissima Ace Of Spades, uno degli apici della giornata. Durante lo show i Motorhead hanno anche l’onore di ospitare a sorpresa (forse anche per loro) un indiavolatoDee Snaider che è salito sul palco a fare headbanging e i cori durante Killed By Death, per poi tornarsene nel backstage nello stesso modo in cui era arrivato.

TESTAMENT: Una macchina da guerra precisa e violenta che per un’ora ha macinato pezzo su pezzo senza cedere di un millimetro. Chuck Billy strepitoso alla voce, Bostaph pauroso e autore insieme a DiGiorgio di un muro ritmico spettacolare; ma soprattutto grandioso il Peterson che non ti aspetti, capace di caricarsi in spalla la maggior parte delle linee soliste mostrandosi pronto e preciso.
In compenso però i tecnici hanno pensato bene di sbagliare i valori a inizio show, e così il violentissimo inizio di Do Not Resuscitate è stato rovinato dall’ennesima incompetenza della giornata. I Testament in ogni caso sono in serata di grazia e proseguono a pieno motore con classici come True Believer e Burnt Offering che esaltano tutto il pubblico che intanto ha accesso diversi focolai di pogo. Proprio mente la band sta arrivando in maniera perfetta alla fine di uno show memorabile con la conclusiva Disciples of the Watch, i Testament vengono brutalmente tagliati a pochi secondi dal termine, senza lasciar loro il tempo di salutare. Giusta e assolutamente condivisibile il malumore di Chuck Billy che lancia il microfono in mezzo al pubblico e si dirige rabbioso verso i responsabili, salvo per poi tornare e prendersi insieme alla band la meritatissima ovazione del pubblico.
A mio avviso quello che è successo è stata l’ennesima incredibile mancanza di rispetto della manifestazione. Un torto fatto verso una band di grandi professionisti e verso un pubblico che stava dimostrando di gradire oltremodo l’esibizione. Visto, tra l’altro, che quei pochi minuti non avrebbero di certo compromesso un festival che già diverse volte era risultato in ritardo e che la sera precedente si era preso la bellezza di 3:30 per preparare un palco.
Assurdo anche il comportamento del servizio d’ordine sotto al palco, composto di poche persone (a volte soltanto 2) che hanno rischiato di far male a diversi ragazzi, tanto da scatenare le reazioni di Chuck Billy il quale ha intimato alla sicurezza di moderare i modi.
Setlist: D.N.R, Low, Electric Crown, Practice What You Preach, Sins of Omission, The Haunting, True Believer, 3 Days in Darkness, Over the Wall, Burnt Offering, Alone in the Dark, Into the Pit, Dog Faced God, Disciples of the Watch

ALICE COOPER: È stato senza dubbio una grande delusione: poca carica, canzoni spente, un assolo di batteria che non ha fatto altro che annoiare e siparietti con comparse e bambola gonfiabile al limite del ridicolo. Da un uomo capace di grandi show come lui ci si aspettava molto di più, e invece Alice Cooper si è presentato con una scenografia ridotta all’osso e una scaletta che non ha infiammato quasi nessuno.
Numericamente il pubblico era notevolmente inferiore a quello dei Twisted Sister, ed inoltre è sempre rimasto immobile. Molti hanno addirittura preferito perdersi il concerto uscendo prima dall’arena, mentre la maggior parte dei rimasti si è rifugiati sulla collina. Bisogna aspettare Poison, proposta nell’encore, per vedere qualche segno di vita sotto il palco.
Per i più il Gods of Metal 2004 si è concluso con l’esibizione dei Testament.