Report Gods of Metal 2004 di Vincenzo ”Enzo” Ferrara
Domine: la band di Morby e company non delude le aspettative dei numerosissimi fans accorsi per vederla. La band, rispetto all’ultima esibizione al Gods sembra vantare un seguito addirittura più numeroso ed un pubblico davvero più coinvolgente. Anche se il loro show dura poco meno di mezzoretta salta subito agli occhi il grande carisma che la band italiana riesce a trasmettere in tutti i fans sotto il palco. Morby ovviamente mette in mostra le sue grandissimi doti da vero heavy metal singer, seguito tuttavia da una band che oramai sa benissimo cosa voglia dire suonare su un palco di grandissime proporzioni. I classici riproposti sono molti, la partecipazione del pubblico in pezzi come “Thunderstorm” è a dir poco incredibile, c’è spazio anche per uno dei brani più pomposi ed epici del loro ultimo periodo, ovvero The Aquilonia Suite, qui riproposta in una sintetica versione di una manciata di minuti ma che tuttavia riesce nell’intento di far assaporare la magia epica che un film come Conan è capace di trasmettere. I Domine hanno tenuta di palco, hanno un frontman carismatico ed una grande esperienza, difficile chiedere di più.
Rage: in mezzoretta di esibizione come può, una band del calibro dei Rage, riuscire a coinvolgere il pubblico infilando i giusti brani al momento giusto? Una cosa difficile, ma la professione è tutta qui. I Rage, nonostante i fattori avversi come quelli puramente temporali, riescono a piazzare brani sicuramente uno più bello dell’altro riuscendo a far cantare il pubblico presente grazie ai magici refrain di antemiche canzoni come “Set This World On Fire” o “You Are Going Down”. I Rage tuttavia vogliono rendere felici, anche se solo per un attimo, i fans di vecchia data, ed ecco giungere la stupenda “Don’t You Feel The Winter” che mette in evidenza tutta la casse e la perizia che a distanza di anni ed anni i Rage riescono ancora a riproporre. Wagner fa discretamente il suo lavoro insieme a Smolski mentre il solito Mike Terrana dimostra di essere un micidiale batterista nonchè il personaggio più carismatico del trio.
Judas Priest: Gli occhi elettrici di un automa perso in non so quale imprecisato futuro tornano ad aprirsi tra bagliori azzurri ed asettici sentimenti…tra nuvole di fumo e futuristiche atmosfere si risveglia anche l’acciaio, quello fatto di musica, quello fuso in riff ancestrali e spettacoli senza tempo, l’Heavy Metal prende forma con le note di The Hellion seguita ovviamente dalla monolitica Electric Eye. I signori del metallo pesante irrompono sul palco in tutta la loro possenza, Travis, Tipton, Downing, Hill sembrano usciti da una di quelle leggende perse nel tempo…il grande occhio che fa da sfondo ad un bellissimo palco sembra illuminarsi di una strana luce quando irrompe finalmente una voce, una timbrica inconfondibile, metallo trasformato in musica, finalmente il singer dei Priest è tornato, appare come dal nulla l’unico ed inimitabile Rob “metal god” Halford, l’uomo borchia, stretto in una vera e propria armatura metallica fatta di pelle, acciaio e borchie. Il Metal God cala sulla scena tra il clamore dei fans, il suo andamento lento e pacato conferiscono a lui una certa monumentalità. La scaletta che i Judas Priest regalano al pubblico ha dell’incredibile, numerosissimi brani estratti dall’intera discografia della band, da Rocka Rolla a Painkiller escludendo pezzi dagli ultimi due dischi (mi pareva cosa ovvia). Ve ne è per tutti i gusti, dagli amanti dei loro dischi anni 70, agli amanti della metallicità pura e rocciosa del periodo eighty, i Judas Priest non deludono nessuno, e lasciano tutti stupefatti per la grande dinamicità della scaletta proposta. L’esecuzione della band è ottima, forse la coppia Downing/Tipton appare un pò statica, come anche Halford del resto, ma i Priest non hanno più 30 anni, ma molti di più. Tuttavia a questa poca dinamicità on stage sopperisce in modo incredibile la grandissima carica che ogni musicista riesce a trasmettere al pubblico. Halford non salta più a destra e sinistra, ma si muove lentamente, ciò conferisce al singer una certa ed arcana potenza, una metallica regalità. Tipton, ruffiano come sempre, riesce a catturare l’attenzione del pubblico con la sua grande tenuta ed il suo feeling che riesce a creare con i presenti. Ian Hill appare, come sempre è stato, inchiodato al palco mentre la prova di Travis è assolutamente impeccabile con il suo drumming imperioso ed imponente. Sulle note di “Metal Gods” prima e di “Heading Out to the Highway ” sembra essere tornati indietro nel tempo, riff immortali che volano ed accarezzano i nostri sogni, con “The Ripper” la band fa una breve escursione nei primi anni della sua carriera per poi saltare con “Touch Of Evil” al 1991, qui Halford toglie la veste metallica per indossare una specie di vestaglia molto elegante e forse in linea con la sensualità della canzone.
Un tuono d’acciaio, una tempesta in un dimenticato deserto, la sentinella è giunta nella sua imponente ed epica esplosione di riff….si, i Priest ci regalano, come era ovvio, la stupenda “The Sentinel”, tra i capisaldi della loro discografia. La partecipazione del pubblico raggiunge momenti altissimi ed il chiodo borchiato con il grande simbolo del Metallian sulla schiena emana mistici bagliori d’acciaio, la magia, quella della vera musica, quella che solo l’Heavy Metal può dare, è tutta lì. C’è anche spazio per dischi come Turbo grazie a “Turbo Lover”, per la verità avrei incluso anche canzoni come Out In The Cold e Parental Guidance, ma non si può certo avere tutto e va benissimo così com’e’. Ancora spazio per Sad Wings Of Destiny grazie all’inclusione dell’ancestrale ed epica “Victim Of Changes” arricchita da una partecipazione del pubblico davvero esemplare…ed i Judas Priest non dimenticano nemmeno Rocka Rolla grazie alla cover “Diamond And Rust”. Al ripetuto grido di Rob: “Breaking the…whats?”…ed alle risposte del pubblito: “The Law”…parte il cavallo di battaglia di ogni loro esibizione, ovvero “Breaking The Law”, song assolutamente devastante, potenza metalliva, vortice d’acciaio. Segue l’apocalittica “Beyond The Realms Of Death” dove Rob ci regala un’ottima prestazione vocale carichissima di pathos. Ancora una cover, questa volta si tratta di “The Green Manalishi” e come da tradizione il palco viene illuminato da splendide luci verdi. “Painkiller” invece miete vittime tra i presenti, anche se la prova di Rob non è certo ailtissima, Painkiller dopo anni ed anni riesce sempre nel suo compito, quello della distruzione di massa, della tempesta puramente “made of steel” che cala sulle teste del pubblico senza scampo per gli infedeli del metallo. Ma lo spettacolo non termina qui, ed è la volta della Harley di Rob irrompere sul palco tra le note di “Hell Bent For Leather”. Ancora molta aria di British Steel grazie all’immortale “Living After Midnight” e l’inno “United”. Chiude il meraviglioso spettacolo il classico dei classici “You Got Another Thing Coming “. Che dire in conclusione? I Judas Priest sono tornati alla grande, in questo live show han toccato quasi tutti i dischi della loro discografia dagli anni 70 al 91. Un occhio di grande riguardo è stato gettato specialmente sul disco “British Steel” dal quale i Priest hanno estratto il numero più cospicuo di tracce rispetto agli altri. Un occhio di riguardo in più lo avrei sicuramente riservato ai vari Turbo e Defenders Of The Faith mentre non capisco come mai la band non ha riproposto nulla dal vivo del bellissimo “Ram It Down”. L’età dei preti inglesi si fa sentire con una prestazione poco dinamica, come già detto prima, tuttavia ciò è sopperito dal grandissimo carisma che riescono a mettere su palco. Il tutto sembra trasformarsi in un qualcosa di monolitico e grandioso, un fascino diverso ma comunque incommentabile. The Priest Is BACK!….The Greatest HEAVY METAL EXPERIENCE sono solo 2 frasi che durante il concerto Rob ha pronunciato. L’acciaio è tornato a splendere nei nostri cuori, questa volta è toccato ai Judas Priest far rivivere la leggenda della musica più eroica mai concepita da mente umana, e chi più loro potrebbe farlo?
1. Hellion
02. Electric Eye
03. Metal Gods
04. Heading Out to the Highway
05. The Ripper
06. Touch of Evil
07. The Sentinel
08. Turbo Lover
09. Victim of Changes
10. Diamonds and Rust
11. Breaking the Law
12. Beyond the Realms of Death
13. The Green Manalishi (With the Two Pronged Crown)
14. Painkiller
15. Hell Bent For Leather
16. Living After Midnight
17. United
18. You Got Another Thing Coming