Report: Hate Eternal, Spawn Of Possession, Fall Of Serenity, Shadows Land 21/05
Serata per pochi intimi quella che si è svolta ieri sera al Transilvania Live
di Milano. Una platea che ha contato un centinaio di persone (contando forse
anche il personale del locale) ha salutato l’arrivo in Italia degli Hate
Eternal, che a causa di annullamenti e vicissitudini varie si erano fatti
attendere dai sostenitori italiani per lungo tempo. Un’attesa che è stata
ripagata con uno show diretto, brutale e senza fronzoli. Ad accompagnare gli
americani sono stati chiamati i polacchi Shadows Land, i Fall Of
Serenity -autori di due prestazioni che hanno lasciato quasi indifferenti il
pubblico- e gli Spawn Of Possession, a cui va attribuito il merito di
aver risollevato una serata fino ad allora deficitaria.
SHADOWS LAND
Ero abbastanza curioso di vedere all’opera il combo polacco, autore di un
disco altalenante come Ante Christum (Natum), che lasciava però intendere
buone capacità tecniche e compositive da parte dei nostri, in attesa di
ascoltare qualcosa di nuovo dell’ultimo album della band, Terminus Ante
Quem. Certamente il clima dimesso che regnava dentro il locale non avrà
aiutato i ragazzi, ma gli Shadows Land non mi hanno dato l’impressione di
voler accattivarsi l’attenzione del pubblico presente: poche e svogliate parole
di presentazione, poca presenza scenica, e un atteggiamento generale di chi
vuole sbrigare subito la pratica. Anche la musica proposta (resa in modo
insufficiente dagli amplificatori del locale) ha giocato un brutto scherzo a chi
magari non aveva mai sentito parlare di loro: death/black metal molto
frammentato, contorto, pieno (fin troppo) di stop and go, ripartenze… insomma
se anche su disco le impressioni erano quelle di una band intenta a mettere
troppa carne al fuoco senza badare troppo ai contenuti e allo svolgimento dei
brani, dal vivo non ho potuto altro che confermare questa tesi. Quindici minuti
scarsi ed è tempo di lasciare il palco. Bocciati.
FALL OF SERENITY
Poteva mancare il death melodico svedese con le arcinote influenze metalcore?
Con i tedeschi Fall Of Serenity si colma questa grave lacuna e si passa
dalla padella alla brace, con un set che non convince, composto da brani che
hanno tutti del gia sentito e abusato. Almeno i nostri ci mettono molta più
grinta dei polacchi esibitisi in precedenza, con il cantante Renè Betzold
sempre intento a dimenarsi e nel cercare di sollecitare i presenti. Anche a loro
è stato concesso solo un quarto d’ora di tempo circa per accaparrarsi qualche
fan, con uno show tutto sommato dignitoso sotto il profilo dell’energia profusa,
ma a mio avviso di poco spessore artistico. Se qualcuno alla fine del concerto
ha acquistato il terzo e nuovo album dei Fall Of Serenity, Bloodred
Salvation, perchè conquistato dal concerto proposto lo faccia sapere.
Non una grande scelta averli affiancati agli altri gruppi in scaletta. Fino ad
ora una serata da dimenticare… fino ad ora appunto.
SPAWN OF POSSESSION
Un gruppo di ben altra pasta, gli Spawn Of Possession risollevano gli
animi dei presenti con una prestazione che ha letteralmente cancellato chi li ha
preceduti. Tecnicissimi e potentissimi, agli svedesi viene concesso per fortuna
maggior tempo per poter proporre una manciata di brani estratti dal debutto,
Cabinet, e far assaggiare qualcosa del nuovo album Noctambulant.
Niente da dire sulle capacità strumentali di questi ragazzi, ai quali mi sento
di perdonare una presenza scenica un po’ poco incisiva. Tutti giustamente
concentrati sui funambolici fraseggi eseguiti con una naturalezza strabiliante.
Unico vero mattatore del concerto dei nostri è il cantante Jonas Renvaktar,
letteralmente scatenato nell’accompagnare con headbanging e cenni d’intensa coi
fan i numerosi passaggi strumentali. Brani lunghi, dinamici, ampiamente
variegati, un death metal estremamente tecnico e violento, che ha messo a dura
prova le articolazioni delle mani dei due chitarristi Jonas Bryssling e
Jonas Karlsson… anche seguendo attentamente con lo sguardo le dita dei
due andare su e giù per la tastiera era sbalorditivo ascoltare la quantità di
note e riff che riuscivano a produrre. Una band di sicuro valore, che ha tutte
le carte in regola per continuare su questa linea e migliorarsi ulteriormente.
HATE ETERNAL
Dopo un rapido sound-check e una breve intro rumoristica, il trio
capitanato da Erik Rutan comincia a mietere vittime, con Two Demons.
Pochi convenevoli da parte dei nostri, che imbracciano gli strumenti e si
preoccupano più a suonare in comunione con la propria musica, piuttosto che a
“far spettacolo”. Ma lo spettacolo davanti a musicisti del genere è vedere
eseguire passaggi alla velocità della luce con una naturalezza a tratti
imbarazzante, senza un minimo cenno di tentennamento o qualsivoglia sbavatura.
Il bassista Randy Piro, posizionato sulla sinistra del palco, è il più
mobile (per forza di cose) dei tre, sempre puntuale nelle backing-vocals,
coinvolgente al punto giusto, e preciso nel sostenere i ritmi infernali imposti
dalle sei corde di Rutan. Erik dal canto suo, si lascia
trasportare interamente dalla musica solo nei pochi momenti in cui gli viene
concesso, altrimenti sempre occupato al microfono (che voce!!) e nell’esecuzione
degli assoli; gambe ben divaricate, atteggiamento carismatico e in pieno stile
death metal (o come dovrebbe essere…), quindi scambi di intesa col pubblico
mai troppo calorosi, espressione del viso corrugata e “cattiva”. Totalmente
l’opposto di quando si trova in mezzo ai fan, sempre molto disponibile a
scambiare due chiacchiere con chi lo volesse. Per ultimo il nuovo arrivato
Reno Killerich, chiamato a sostituire nel tour europeo il defezionario
Derek Roddy, che per quanto riguarda velocità e precisione non fa certo
rimpiangere il suo predecessore. I pattern di batteria ascoltati nei dischi
vengono riproposti in maniera impeccabile durante l’esibizione, mettendo in
mostra una buonissima intesa con gli altri membri del gruppo. Ad aprire lo show
degli americani è posta Two Demons, estratta dall’ultimo album
I, Monarch,
che come era prevedibile sarà il disco con il maggior numero di brani eseguiti.
Segue poi una terrificante Servants Of The Gods, dal secondo
King Of All
Kings, passando poi per le più recenti The Victorious Reign, To
Know Our Enemies, I, Monarch, Behold Judas ecc…tutte
eseguite fedelmente alla versione in studio, dando spazio anche a
Conquering
The Throne, con la coppia Praise Of The Almighty e Catacombs,
proponendo anche The Obscure Terror e Powers That Be (da King
Of All Kings). Il tutto sorretto da una buona resa sonora, che avrebbe
potuto essere certamente migliore, anche se riprodurre al meglio il muro sonoro
eretto dai nostri non deve essere una cosa semplice. Poche pause tra un brano e
l’altro, poche parole spese, e tanta, tanta sostanza. Unica pecca a cui gli
Hate Eternal potrebbero ovviare è la mancanza di un secondo chitarrista, la
cui assenza si avverte non tanto durante l’intera esecuzione dei brani (vi
assicuro che la potenza sprigionata dalla sola chitarra di Rutan è
impressionante), ma durante gli assoli, in cui la tensione generale cala
lievemente, laddove il basso di Piro non riesce a riempire completamente,
come una chitarra dovrebbe fare, il vuoto di una rythm-guitar. A parte questo
una prestazione esemplare di come si debba suonare brutal ai massimi livelli,
con il giusto atteggiamento, con un grande bagaglio tecnico e con una grande
umiltà. Dico solo che appena finito di suonare Randy Piro è corso come
niente fosse alla bancarella del merchandise (altrimenti rimasta vuota),
ringraziando con ampi sorrisi gli acquirenti accorsi. Band del genere vanno solo
supportate. Così come hanno aperto il concerto, ovvero in maniera dirompente,
così gli Hate Eternal si sono congedati con il pubblico di Milano,
solamente con un “See you next time!”, in maniera tanto schietta e
brutale, in pieno stile Hate Eternal.
Stefano Risso