Report: Helloween, Gamma Ray, Axxis – Milano 28/11/2007
Quando mi dissero che Helloween e Gamma Ray, la storia del power metal, sarebbero partiti per un lungo tour da co-headliner mi sembrò una barzelletta. Ma come? Anni e anni di battaglie per contendersi la leadership, dichiarazioni pepate da ambo le parti, il tentativo di strappare Henjo Richter ai cuginetti, le sfide ravvicinate a colpi di Walls Of Jericho e Keeper Of The Seven Keys sui palchi di mezza Europa (ricordate quella del Gods?)…
Poi ti capita di intervistarli, Andi Deris accarezza con le parole Kai Hansen e lo zio tedesco fa altrettanto ricordando che di Michael Kiske ce n’è uno solo: che senso ha scrivere la terza parte di Keeper, Andi? Non lo so Kai, è la domanda alla quale devi rispondere tu: come ti è venuto in mente di chiamare Land Of The Free 2 un disco che non c’entra nulla col primo? Baci & Abbracci.
Ma in fondo cosa volete che ce ne importi?
La storia dice che Helloween e Gamma Ray si sono scontrati per una sana e leale sfida agonistica, quella più recente ci insegna che dopo una lunga battaglia si può sempre uscire dal ring a braccetto: applausi.
Veniamo a noi e alla data milanese dell’Hellish Tour: un concerto che entra di diritto “nell’albo d’oro” e che, fra qualche anno in una tra le tante chiacchierate con gli amici, estrarrete dal cilindro esordendo con un: “ragazzi… io c’ero”.
Servizio a cura di Gaetano Loffredo e di Mattia Di Lorenzo.
Fotografie a cura di Marco Ferrari (Gamma Ray) e Marco Somma (Helloween).
AXXIS:
Ore 19 appena passate, inizia l’esibizione degli “storici” Axxis.
Mi accosto al palco con vaghe speranze e con un filo di scetticismo: se finora ho ignorato una band dalla storia ventennale, probabilmente è perché non valeva la pena di consumare energie per occuparmene.
Dopo nemmeno un minuto sono già pentito della mia ignoranza, a fine esibizione il nuovo cd dei teutonici si appoggia dolcemente sul fondo del mio zaino.
Vi parlo dunque da “profano”, da persona che la band di Bernhard Weiss fino al 28 novembre non sapeva nemmeno che esistesse. La mia voce è dunque ingenua e impreparata, ma forse per questo più oggettiva: quello che dico è che questa è una band di vera classe, che suona una musica stupenda in modo impeccabile.
Il muscoloso leader e la simpatica collega dietro al microfono (Lakonia) duettano sui tempi incalzanti dettati dalle chitarre e dalle tastiere senza un attimo di tregua; energia e positività sono trasmessi ad ogni istante, il vulcano sprizzante fuoco nella scenografia di fondo è l’emblema di un’atmosfera unica ed irripetibile.
Non c’è imbarazzo nel dividere il palco con i mostri di Amburgo, non la snervante fretta che affligge solitamente i gruppi di supporto. E, guarda caso, riescono a divertire davvero, strappando al pubblico milanese meritatissimi cori di inneggiamento.
Parliamoci chiaro: questi di esperienza ne hanno da vendere, e si vede. Lo si nota nella strepitosa tecnica degli elementi, nella pulizia dei suoni (in certi momenti superiore a quella degli stessi Helloween), nelle composizioni sempre piene al punto giusto, ma mai ampollose. Si passa dalle tinte hard rock all’heavy più roccioso, al power melodico ed epico. Lo stile vocale e scenico di Bernhard e soci non ha nulla da invidiare a nessuno, e particolarmente gradita è la dedica speciale a Milano, recitata in forma di lettera in un italiano un po’ “pizza e maccheroni” (per citare lo stesso cantante), ma con davvero tanta, tanta simpatia. Non saranno forse il gruppo più originale dell’ultimo decennio, visto il panorama fin troppo saturo del genere metal melodico; ma il dubbio che siano sottostimati, almeno qui da noi, rimane. Ed è davvero un peccato che non sia possibile sentirli in un concerto da headliner senza andare troppo lontano.
Da parte mia, insomma, una scoperta inaspettata ed estremamente gradita. È la prima band che riesce davvero a impressionarmi dal vivo senza che la conoscessi precedentemente. Qualcosa vorrà pur dire…
GAMMA RAY:
Scomparsa la piccola batteria montabile degli Axxis, ecco far capolino sullo sfondo l’inconfondibile teschio della band di Kai Hansen, nella versione festosa e multicolore della cover dell’ultimo album, “Land of the Free II”.
La folla si accalca vicino al palco, le luci si abbassano e le note di “Welcome” ci riportano agli inizi degli anni ’90. Kai e soci si gettano nella mischia con la stupenda “Heaven Can Wait”, forse la canzone più semplice e allegra del gruppo, che si lascia cantare dalla folla entusiasta con grande partecipazione. Giusto il tempo per qualche saluto del geniale cantante-chitarrista tedesco, e si prosegue con “New World Order”, nel passato più recente.
La resa è molto buona, ma ha un retrogusto amaro: per quanto nell’intervista Kai avesse dichiarato che la scelta di far chiudere il concerto agli Helloween fosse stata fatta solo per ragioni di vendite, e la “considerazione” in termini di tempo e mezzi dedicata alle due band sarebbe stata la stessa, si capisce facilmente che così non è. Il pessimo missaggio degli strumenti denotato nell’introduzione alla successiva “Fight”, la scenografia un po’ troppo sterile e l’impianto luministico dell’Alcatraz non sfruttato a pieno regime, fanno capire che ci si dovrà accontentare di un’esibizione ridotta rispetto a quanto si sperasse. Dopo la nota “Rebellion in Dreamland”, però, a sollevare di molto il morale ci pensa una canzone “insolita”: si tratta della fantastica “Real World”, tratta dal nuovo gioiello della band. Già ascoltandola su cd avevo avuto la sensazione che dal vivo sarebbe stata particolarmente apprezzata. Constatare quanto è stata però una vera sorpresa. “Let me hear you say…YEAH!” Un vero e proprio boato esplode nell’Alcatraz in quel momento. Kai Hansen ha proprio colto nel segno, anche nel testo della canzone: non c’è alcun inferno o paradiso, abbandonino la scena i tradizionali rivali divini o “satanici”. Il vero mondo è quello di tutti i giorni e non c’è altro da dire che: benvenuti allo spettacolo!
Il concerto, pian piano, sale di spessore: i momenti più belli sono sicuramente quell di “Land Of The Free” e di “The Silence”, canzone mutevole quanto strepitosa, da ascoltare e riascoltare milioni di volte. Fantastica la sezione acustica centrale, con il basso di Schlachter protagonista assoluto, eccelso Kai Hansen nella sua incredibile duttilità tra gli stili di voce e il lavoro alla chitarra. Qualche difficoltà nella parte in falsetto, dove essere intonati ed espressivi è veramente difficile; ma non si può pretendere l’impossibile.
Con “Heavy Metal Universe” arriva il momento che il pubblico stava tanto aspettando. Inneggiare al metal nella canzone metal per eccellenza (perdonatemi il gioco linguistico) è il divertimento preferito di tutti ad un concerto dei Gamma Ray: il nostro amico folletto Kai lo sa molto bene, e gioca un po’ con le attese del pubblico, ritardando l’esecuzione del rito. “Only the girls!” Solo le ragazze… Sono un po’ poche, poverine! Qualcuno, non volendo aspettare, si finge donna e viene immediatamente “bacchettato” dal direttore d’orchestra. (“Chissà com’è, ma c’è sempre qualcuno che vorrebbe cambiare sesso in queste occasioni”, dice). Ma poi è il momento dei “boys”, e il locale può venire giù per davvero.
È già quasi ora di chiudere però, purtroppo. Un tuffo nel passato riporta al mai dimenticato “Walls Of Jericho”: la canzone, ovviamente, è “Ride The Sky”. L’ultima ufficiale è la lunga “Somewhere out in space” (anche se avrei preferito “Armageddon”, o qualcos’altro da Powerplant o Land Of The Free, I e II). Il bis, uno solo, è la canonica “Send Me a Sign”.
In conclusione? Un’esibizione coi controfiocchi, niente da dire! Intensi, allegri e appassionati, divertenti e perfetti tecnicamente. Ma non ci avevano detto che avrebbero fatto da spalla agli Helloween. O sbaglio?
HELLOWEEN:
“Uffa! Ma adesso devono smontare tutto e rimontare? Non se la cavano più!”
Queste le parole e i pensieri che riecheggiano nell’aria, satura di fumo, dell’Alcatraz. Almeno fino a quando non si sentono i colpi in effetto “dolby surround” del sound check della batteria di Loeble. Solo allora mi accorgo della realtà delle cose: e cioè che i Gamma Ray hanno suonato su uno spazio pari ad appena la metà del palco dell’Alcatraz.
Il telo multicolore della band di Kai resta appeso fino all’ultimo, la folla trepida per sapere cosa ci sta dietro.
Quando finalmente viene giù, si resta tutti a bocca aperta: la batteria sta in cima a un trono di scale, sormontata da una selva di canne d’organo e dalla terribile “ruota della morte” del diavolo. Ci troviamo nel vicolo cupo della copertina di “Gambling With The Devil”, il brutto gnomo che sfida il diavolo a sorte si atteggia a direttore d’orchestra con una bacchetta in mano, in versione scultura 4 metri per 1 e mezzo, color bronzeo. Sono tante le parti tridimensionali di questo nuovo, vero palco. Basta davvero un attimo per sentirsi davvero calati nel regno preferito delle zucche: quello al limite tra fantasia e parodia, tra buon gusto e kitch, tra tragedia e scherzo. In una parola, nel mondo di “Halloween”.
Sapiente scelta quella di iniziare con la storica canzone di Keeper: l’atmosfera è davvero quella giusta. Pochi cantano, il pogo non si scatena: tutti contemplano, guardano ammirati. Questa è maestria, signori! Come dei veri prestigiatori, i saggi amici amburghesi sono riusciti subito a entusiasmare e catturare, ma in maniera molto diversa da quanto ci si aspettasse!
Il concerto è cominciato? Ci si mette un po’ ad accorgersene, colti da tale incubo sogghignante: “Sole Survivor” è l’assaggio che piano piano introduce band e platea alla realtà dei fatti.
E poi… “March Of Time”. Eh eh! E qui si può davvero ridacchiare. Che dire a riguardo? Chiunque storcerebbe il naso solo all’idea di sentire una delle canzoni più belle e cristalline dell’epoca Kiske cantata dal rude Deris. Ma questo che significa? Che il piacere di sentirla dal vivo debba ormai essere negato a tutti per sempre? Gli Helloween non lo credono. Bisogna tuttavia dire che Andi ha buon senso: quella canzone, è un dato di fatto, è nettamente fuori dalla sua portata. E anziché tentare di imitare il suo illustre predecessore dove la sua voce non lo permette, preferisce “fingere” di cantare tale canzone, affidando pressoché tutto il ritornello e le parti più acute all’anonima voce del pubblico. Questo è quanto: inutile nascondersi, visto che Deris stesso non lo ha fatto. Mi permetto invece di elogiare il suo coraggio di artista, e la grandissima umiltà nel riconoscere i propri limiti: nel concerto avrà modo di mostrare i suoi pregi, che ci sono e non sono pochi.
Ma proseguiamo. Il singolo “As Long As I Fall” e la brevissima quanto impetuosa “We Burn” scaldano gli animi ancora assuefatti all’oblio. La lacrimevole e immancabile “A Tale That Wasn’t Right” aggiunge il giusto tocco drammatico e poetico alla prestazione degli Helloween.
È il momento del solo di batteria. Loeble picchia con grande zelo su tutte le decine di piatti e tamburi di cui è composta la sua stupenda postazione, mentre alle sue spalle la “ruota della morte” continua a girare inesorabile. E all’improvviso… compare un teatrino delle marionette! Si apre il sipario rosso, e gli Helloween versione burattino fanno la loro comparsa, con tanto di stivaloni giganteschi multicolori. Con una stridula vocina distorta Deris ci regala una… (im)perdibile versione di “Smoke on the Water”, finché il saggio Weikath decide di ucciderlo a fucilate per il bene di tutti. Lo si può davvero dire: ne inventano una più del diavolo gli Helloween! L’azzardo col demonio penso proprio lo vincano loro!
Riprende il concerto, in una seconda parte molto più movimentata e riuscita, per scelte sceniche e di scaletta. Il nuovo esordio è con “The King For 1000 Years”, in una versione drasticamente ridotta nella parte finale, ma assai più ascoltabile della troppo dilatata versione da disco. Da notare come la suite sia davvero una bella canzone, che, tolte le lungaggini in eccesso, si lascia cantare e ascoltare con grande coinvolgimento. “Eagle Fly Free” scatena gli entusiasmi, riportandoci di nuovo all’illustre passato delle zucche. Si può dire che siamo ormai assuefatti alla versione Deris in questo caso: tutto sommato il nostro amico riesce a non sfigurare troppo.
Ed ora è il suo vero momento: “The Bells of the Seven Hells”, tratta dal nuovo lavoro Helloween, ci restituisce Andi nelle sue doti migliori, così diverse da quelle di Kiske, ma altrettanto valide su un diverso profilo. La canzone è cattiva e pesante al punto giusto, e in sede live rende anche più che non su disco. Peccato per gli enormi problemi audio che affliggono la band in questa fase, in particolare per un fastidiosissimo rimbombo del basso, e varie stonature e storture di una chitarra a due manici di Sasha non troppo ben settata.
Il concerto volge al termine, ma c’è ancora tempo per un sacco di ricordi: la mai dimenticata “Dr. Stein” precede un gustosissimo medley tra passato e presente, che permette di assaporare i momenti migliori di varie canzoni della band, senza dare troppo l’impressione di “taglio e cucito”. Per l’occasione il leader della band, il cui carisma è davvero esagerato, si presenta sul set con un’irripetibile bombetta alla mr. Wonka, e un pacchiano abito lungo color caramella. Le note sono quelle di “Perfect Gentleman”: e cosa altrimenti? In rapida successione assaggiamo “I Can”, “Where The Rain Grows”, “If I Could Fly” e di nuovo “Perfect Gentlemen”, stavolta nel divertente ritornello fatto cantare a squarciagola al pubblico italiano. “We are perfect!” si urla. Si pecca un po’ di modestia, ma l’atmosfera è quella giusta: sublime e sfottò allo stesso tempo. Dopo la presentazione e i saluti a tutti i membri della band – molti applausi anche a Sasha Gerstner, che, sebbene subentrato a un’incredibile successione di mostri della scena, ha guadagnato finalmente il suo posto nei cuori dei fan, con un look personalissimo e una tecnica sopraffina – stralci di “Power” e il ritornello finale di “Keeper of the Seven Keys” chiudono definitivamente le danze.
Ma non è ancora il momento degli addii: con un “colpo di scena” che, chissà come mai, tutti si aspettavano, gli Helloween si ripresentano sul palco a braccetto con i Gamma Ray, per regalarci due canzoni che ovviamente non potevano mancare: “Future World” e “I Want Out”. Bellissimo il duetto tra Kai Hansen e Andi Deris nell’ultima canzone, nonché vedere un’interminabile successione di chitarre e bassi tutti in fila sul palco a saltellare e intrecciarsi in una marea infinita di note: welcome to the show.
Diciamoci la verità: il siparietto finale è parso leggermente forzato. Michael Weikath non sembrava troppo felice di dividere il palco con Hansen ma tutti, pubblico giornalisti e gli stessi musicisti, hanno apprezzato il gesto.
Non era un concerto da co-headliner, l’abbiamo detto, i Gamma Ray di spalla agli Helloween con una ventina di minuti a disposizione in più del solito, suoni inferiori, volumi nettamente più bassi, scenografia assente e tanto altro che non deve essere preso in considerazione perché oggi, ventisette novembre duemilasette, la musica ha vinto scrivendo un’altra pagina della sua infinita storia. Dieci, cento, mille Hellish Tour!