Report: Hungry Heart, 18/7/2008, Valloria (LO)
Report a cura di Marcello Catozzi
Ore 23.00 di una limpida sera d’estate, fortunatamente senza zanzare: nella profonda oscurità del cielo si staglia un luminoso spicchio di luna, mentre un fresco alito di brezza accarezza i capelli: a questo scenario idilliaco mancherebbe solo una buona colonna sonora, ma è solo questione di qualche minuto. Presso la Cà di Frè di Valloria (un locale country-rock il cui ingresso, con ampie arcate, è situato nella piazzetta di questo paesino d’altri tempi, che sorge nel mezzo della campagna e pare uscito dalla penna di Guareschi), tutto è pronto per l’inizio dello stuzzicante show di stasera: concerto e presentazione ufficiale di “Hungry Heart”, il primo album dell’omonima band affacciatasi di recente sul panorama internazionale, conseguendo peraltro ottimi risultati in termini di vendite. Il disco è stato interamente registrato presso l’Elfo Studio di Tavenago (PC) da Alberto Callegari e Daniele Mandelli, ed è stato prodotto dalla Tanzan Music di Milano.
La line-up si presenta così:
– Josh Zighetti: lead vocal
– Mario Percudani: guitar and background vocals
– Al Priest: guitar and background vocals
– Lele Meola: bass
– Emilio “Pingo” Sobacchi: drums
– Elisa Paganelli: background vocals
Si parte con ROCK CITY, che si apre con un coro incisivo e orecchiabile, di quelli che penetrano subito nella testa (di fatto la partecipazione dei presenti è già totale), supportato da schitarrate decise che conferiscono una vena di energia e solidità al brano. Le ottime sensazioni avvertite ai primi ascolti del disco si rivelano confermate in versione live, ed è una bellissima sorpresa. Il pezzo contiene in sé tutti gli elementi che caratterizzano il lavoro del gruppo: Hard Rock melodico, vigoroso e semplice, immediato e di facile presa, ma non per questo povero di contenuti; il tutto in puro stile Anni 80.
STEALING THE NIGHT è introdotta da un riff cristallino, che stende una sorta di tappeto rosso per la voce di Josh, un po’ ruffiana e ammiccante come vuole la tradizione. Un brano che si potrebbe collocare a metà fra Bon Jovi e gli Europe, con un guitar-solo di gusto sopraffino nel mezzo e una sorprendente prestazione vocale che riesce ad aggirare le difficoltà di cui è irta questa canzone. Se il buon giorno si vede dal mattino, come si suol dire…
Il terzo episodio è RIVER OF SOUL: chitarra ritmica in versione acustica che ricorda un po’ “Dead or Alive” del citato “capostipite”, al secolo Mr. Bongiovanni, con un ritornello che diventa subito familiare e perciò coinvolgente: ci si ritrova istintivamente a cantare “down, down down, to the river of soul…”. Anche qui le chitarre svolgono un ottimo lavoro, conferendo notevole spessore alla melodia di base. Non solo Mario Percudani (al quale vanno ascritti i meriti di quasi tutte le composizioni, in concorso con Zighetti), ma anche Al Priest (Death SS) si distingue per grinta e ottima tecnica, palesando le sue radici prettamente Metal in un contesto nel quale l’Hard Rock è indiscusso padrone di casa. Del resto l’equilibrata convivenza della componente Hard con gli influssi Metal ha fatto la fortuna di moltissime formazioni, nel passato più o meno recente, e questa è la formula riproposta negli stessi termini, con risultati più che apprezzabili.
Dopo aver raccolto i meritati applausi di un pubblico entusiasta, Josh (Bad Medicine, The Runaway, Jesus Christ Superstar) ringrazia e presenta HANG ON TO ME, dedicandolo alle persone care scomparse e aumentando, così, il tasso di commozione che già serpeggiava tra le file. Questa ballad (cantata al 50% dal duo Zighetti / Percudani) tocca davvero le corde degli animi sensibili, sia nel testo che nella musica, con quegli arpeggi iniziali e quei cori sapientemente graffiati, con stacchi molto azzeccati e linee melodiche perfettamente integrate nel contesto.
THE ONLY ONE ci scuote dal senso di leggera trance nel quale il sestetto ci aveva indotti: frizzante e ritmato, impreziosito da robusti supporti chitarristici e con l’immancabile ritornello piacevole e assai orecchiabile, di impatto immediato, perfettamente in linea con i canoni A.O.R. Il pubblico dimostra di gradire assai la performance, mentre il giovane frontman si muove a proprio agio sul palco come un vecchio marpione delle scene, incitando al timing con un battimani generale.
Si prosegue con INNOCENT TEARS, che ricorda un po’ – nella costruzione – gli Europe prima maniera, con uno struggente assolo di antica reminescenza e una linea melodica di ispirazione classica. Josh, dal “canto” suo, ci mette la giusta dose di pathos nell’interpretazione!
A questo punto Percudani (Downtown Blues, Blueville) si produce in SHADOWS, ovvero il breve momento strumentale che fa parte delle undici tracce del disco, fatto di deliziosi arpeggi che creano una suggestiva e intensa atmosfera.
Un deciso scossone di stampo Heavy viene dato da HARD LOVIN’ WOMAN, che ci travolge con tutta la sua verve e i suoi riff, grintosi e lancinanti, sciorinati con perizia e mestiere dal duo Percudani / Priest, tanto da rendere spontanei altri illustri accostamenti: nella fattispecie, lo stile e le sonorità risultano assai vicini ai Whitesnake della seconda fase, quella che – per intenderci – verso la fine degli anni 80 iniziò a puntare sui gusti del mercato a stelle e strisce, abbandonando l’originario indirizzo.
Un gustoso connubio di energia e melodia irrompe con BREATH AWAY, in cui una trama chitarristica lineare e pulita si sposa alla perfezione con le linee vocali, sapientemente gestite nel rispetto della tradizione del Melodic Rock di più illustri predecessori (Journey, Winger, tanto per fare un paio di nomi che possano rendere l’idea). Di grande impatto è il motivo di chitarra che riecheggia dall’inizio alla fine, di quelli che ti si incollano con l’Attak alle pareti cerebrali…
IT TAKES TWO, che esordisce con un riff volutamente grezzo ed essenziale, continua a far sentire ai presenti il piacere di sguazzare nei ricordi degli anni 80: agile e un po’ impetuosa, questa canzone presenta ingredienti di facile identificazione, tuttavia ben equilibrati fra loro e assai gratificanti per tutti gli amanti del genere. A giudicare dall’atteggiamento gioioso e soddisfatto della piccola folla, non c’è il minimo dubbio sul fatto che questa “prima” ufficiale non potesse avere esito migliore!
Arriva il momento dell’ultimo capitolo della serata con GINA (che, fra l’altro, è anche l’unica cover presente sul CD), appunto remake della famosa omonima canzone di Michael Bolton. La band si scatena dando il massimo e suscitando enorme entusiasmo tra le schiere dei fans, che partecipano al coro con enorme soddisfazione dei protagonisti sul palco.
Lo show è terminato: mentre la gente si spella le mani con gli applausi, mi abbandono a qualche riflessione. Devo ammettere, anzitutto, che le buone sensazioni avvertite al primo ascolto del CD sono state confermate al 100%: infatti la band ha saputo trasferire nel modo migliore, ovvero con freschezza e spontaneità, le proprie emozioni al pubblico, e questa si pone senza dubbio come una nota di merito da ascrivere agli Hungry Heart all’atto del loro esordio.
La seconda considerazione, anch’essa positiva, attiene alla qualità delle canzoni, che riescono a centrare in pieno il bersaglio: infatti i motivi restano nelle orecchie per ore, dopo l’ascolto, lasciando il segno tangibile del loro passaggio nella sfera emotiva dell’ascoltatore.
Qualche detrattore (quelli, si sa, non mancano mai) potrà sostenere che il prodotto non si distingue per innovazione, in quanto non propone modelli che si distaccano dal cliché tradizionale. Sarà pur vero, però questo rilievo non impedisce certo agli Hungry Heart di porsi – a mio modesto avviso – come una nuova ventata di ossigeno nel panorama musicale attuale, pur strizzando l’occhio agli indimenticati anni 80.
Leggevo, di recente, un’intervista al drummer degli Airbourne, la band australiana tacciata di essere un clone dei connazionali AC-DC: il musicista affermava, sulla base del presupposto che è alquanto normale – per un gruppo che si affaccia sulla scena mondiale – essere accostato a illustri predecessori, che ciò non va inteso come un limite, bensì come un onore. Ecco, credo che questa sia una valida chiave di lettura, sempre che – ovviamente – siano riscontrabili elementi qualitativamente validi, come appunto nel caso di questa sera.
In definitiva, la presentazione ufficiale degli Hungry Heart ci ha regalato un’ottima esibizione, che – a prescindere dai risvolti tecnici da registrare nelle cronache: brani ben strutturati, buona base ritmica, ottimo lavoro di chitarre, linee melodiche ben cantate – ci ha trasmesso essenzialmente puro divertimento ed emozione, producendo un trionfo di note e ritornelli che continuano a ronzarci in testa, con buona pace del nostro ipotalamo!
Il lusinghiero volume delle vendite finora ottenuto (grazie alle richieste provenienti in gran parte da oltre confine, stando a quanto risulta dalle statistiche) induce a ritenere che la miscela degli ingredienti sia destinata a formare una ricetta vincente.
Nel consueto andirivieni incasinato dell’after-show trovo il tempo di complimentarmi con i musicisti, dando loro un appuntamento per una prossima intervista, nella sincera speranza di sentir parlare di Hungry Heart non solo all’estero…
Ore 1.00 di una limpida notte d’estate: alzo lo sguardo e la mia impressione è che, fra quei puntini luminosi incastonati lassù, nel buio della volta celeste, stia brillando una nuova stella.
Keep on rockin’!
Marcello Catozzi