Report: Kamelot, Epica e Kotipelto a Milano
30 marzo 2005 – Rolling Stone – Milano
KOTIPELTO E KAMELOT (a cura di Gaetano “Knightrider” Loffredo)
17.30 Uscita dall’ufficio
18.00 Cena volante e divisa “oscura”
18.30 Strada SS35 per raggiungere l’inossidabile onnipresente fidanzata
19.00 Statale dei Giovi in direzione piazzale Maciachini
19.40 Acquazzone supportato da lampi che squarciano i nerissimi nuvoloni
19.50 Parcheggio ai fianchi del locale milanese
20.20 Auto finalmente parcheggiata (in divieto di sosta su un marciapiede)
20.25 Rolling Stone insediato
Per chi segue la scena power metal, la voce di Timo Kotipelto è distinguibile quanto quella dei propri genitori quando ci esortano con un “è prontoooooooo” a raggiungere la tavola imbandita da pietanze calde e conseguentemente pronte per essere divorate dalle nostre instancabili mandibole.
Dopo uno sguardo qua e la nel locale semi-deserto al cospetto del re-integrato singer degli Stratovarius, raggiungo facilmente una centralissima posizione a pochi metri dal palco, tanto basta comprendere la bontà sonora perpetrata dalle imponenti casse stazionate qualche metro al di sopra delle nostre teste.
Lo scandinavo è in grandissima forma e, nonostante il tono vocale impostato sui soliti livelli (che tutti conosciamo) non troppo espressivi ma riconoscibilissimi e praticamente unici, non stecca una lettera, mezzo tempo, un acuto; preciso e sicuro di sé, come a dimostrare che, il padrone del Rolling Stone, per una sera, non è il cantante del gruppo Headliner (anche se il sottoscritto preferisce di gran lunga l’impostazione e il timbro di Roy Khan). La scaletta estirpa i migliori brani tratti dall’ultimo Coldness e dal debut Waiting for the Dawn ma raggiunge la perfezione ed il cuore caliente del pubblico con 2 cover fortemente attese e nello stesso momento inaspettate: la frizzante Hunting High and Low e la storica Black Diamond prese rispettivamente da Infinite e Vision della band al quale appartiene l’esperto vocalist.
Con le lacrime agli occhi mi tornano alla mente concerti quali quello di Milano 2000 (con Rhapsody e Sonata Arctica) o il recente Wacken 2003 dove Timo cantò le stesse tracce a fronte di 8 e 40 mila persone… La sua reazione? Esattamente come se si trovasse di fronte a quella massa; poteva esserci un messaggio diverso da un professionista come lui?
Calato il sipario sull’ottima performance degli scandinavi, è il momento di una bottiglietta d’acqua fresca (3 euro, più che allo stadio San Siro) utile per rinfrescarsi prima del bollente live show dei norvegiamericani Kamelot che, con The Black Halo, si prestano ad entrare definitivamente nel bill dei gruppi che contano nel loro genere, sapranno dimostrarlo anche in presa diretta?
Le luci si abbassano, l’emozione pervade nelle anime dei presenti e l’esplosione di un’intro “alla Kamelot” è il preludio di Center Of The Universe che, onestamente, ha totalmente spiazzato un fan come me che, si aspettava matematicamente un brano dell’ottimo new album.
La voce di Khan, a causa degli altri strumenti, si sente poco in questo inizio di concerto, anche se nella parte centrale del brano, quella simil-medievale tanto per intenderci, è da brividi il duetto tra il
norvegese ed una bellissima damigella, con Roy che fa per inginocchiarsi di fronte al pubblico e dove l’avvenente “dea” sembra ergersi leggiadra alle sue spalle…
I brani riproposti creano una scaletta da urlo e si rifanno esclusivamente e giustamente agli ultimi quattro album della band: The Fourth Legacy, Karma, Epica, The Black Halo.
Ora che do uno sguardo alle tracklist di questi gioielli, non faccio fatica a comprendere che di carne al fuoco per uno show c’è n’è davvero tanta, forse addirittura troppo per poterci infilare tutto ciò che un appassionato vorrebbe ascoltare…
Tutto scorre molto velocemente per via delle hit consecutive e tra un momento ed un altro, ci ritroviamo a confrontare sentimenti opposti e ad esaltarci su una Nights of Arabia preceduta dall’intro Desert Reign, o a sognare emozionati sulla delicata ed espressiva ballad Wander e sulla irrinunciabile Farewell.
I momenti “clue” della serata possono essere facilmente riassunti su tre tracce eseguite: The Haunting che ha tra l’altro annoverato la presenza di Simone Simmons (provate a guardarla in tutto il suo splendore nel video che trovate su www.kamelot.com) che ha ammaliato Khan ed il pubblico tra uno sguardo ammiccante e l’altro, Forever, eseguita alla grande da Youngblood & Co e, fornita di uno stacco centrale di qualche minuto utile a Khan ed ai ragazzi presenti per entrare in simbiosi con una serie di duelli all’ultimo acuto, ed infine la dolcissima Don’t you Cry, cantata dall’alto del locale, dove un Khan qui davvero sublime ha incantato tutti i presenti.
Gli sforzi profusi dal frontman sono stati enormi, il virus che recentemente lo ha colpito rischiando di fargli concludere anzitempo la carriera è finalmente alle spalle. Sta di fatto che resistere un concerto di oltre novanta minuti a quei livelli tirati può costituire un grosso problema se reiterato.
Tornando a The Black Halo, come segnalato in sede di recensione March of Mephisto, When the lights are Down, The Haunting, Soul Society e la title track, sono i capitoli meritevoli atti a rappresentare la seconda parte dell’interpretazione del Faust di Goethe e la conferma siglata in sede live dove i magnifici 5 hanno inferto i colpi decisivi ad una serata pressoché entusiasmante.
Ultimo riconoscimento va a Casey Grillo, batterista polivalente, versatile, inflessibile e poderoso che mi ha semplicemente impressionato… Qualcuno aveva per caso osato addurre che nell’ultimo disco sia presente una drum machine?
23:00 Termine del concerto (tutti in carcere cara live?)
23:05 Recuperata auto per fortuna senza multe di sorta
24:00 Rientro in quel di Como
00:30 Sogni d’oro, ripensando per un attimo all’entusiasmante show al quale 300 anime hanno assistito… (peccato per essermi perso gli Epica…)
EPICA (a cura di Davide “Darkesteclipse” Bono)
Viste le differenti versioni dell’orario di apertura ed inizio concerti poste sui biglietti, ci ritroviamo al locale poco prima delle sei, giusto in tempo per perdersi l’arrivo di Timo e di molti membri delle altre band. Dopo un’estenuante coda di più di un’ora, e altrettanta attesa per avere i biglietti alla cassa, si entra. Neanche il tempo di assaltare l’ottimo banchetto di cd, che partono le note di Adyta, l’intro di The Phantom Agony, primo e per ora unico disco degli olandesi Epica, band dell’ex-After Forever Mark Jansen, seguita a ruota dall’opener Sensorium. La band è compatta, Mark e Ad coinvolgenti, ma è Simone a farla da padrone con i suoi stupendi occhi blu e una voce che ha fatto dei miglioramenti notevoli, risultando fin più convincente che su disco. In effetti, pur essendo molto giovane (appena 20 anni) si pone a metà strada tra la Floor Jansen (After Forever) come tecnica e la Sharon Den Adel (Within Temptation) per espressività e gestualità, non disdegnando anche un sano headbanging nei momenti più duri, sottolineati dal perfetto growling di Mark. La band è in tiro anche con le successive canzoni, come l’hit Cry for the Moon o la toccante Facade of Reality, ma è con la “vecchia” Follows in the Cry, tratta dal debut degli After Forever, Prison of Desire, che si tocca il tripudio. La band è cosciente del successo, e ne sorridono un po’ stupiti, visto che il pubblico assiepato sotto il palco, prima al massimo una trentina, si è più che triplicato; così vi è anche la possibilità di gustarsi due antipasti del nuovo disco, Consign to Oblivion, in uscita il 21 aprile: la più classica The Last Crusade e la particolare Quietus. Alla fine gli applausi meritati sono tanti, e molti i ragazzi che si segneranno il loro nome e quello degli After Forever sulla lista della spesa: non può che far piacere, vista anche la bontà e la genuinità della band, pregi di cui i pochi fortunati che resteranno nell’after-show potranno usufruire largamente. L’addio della band pare sia solo un arrivederci all’autunno, e così noi tutti vogliamo sperare.