Report: Kreator + Dark Tranquillity – 9 febbraio – Milano
Report di Alberto “Hellbound” Fittarelli e Matteo Lavazza
Foto di Alberto “Hellbound” Fittarelli
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Si prospettava come un vero evento il concerto che vedeva, nella parte alta
del cartellone, i nomi di Kreator e Dark Tranquillity a tenere banco: e infatti
al Rolling Stone di Milano è accorsa mezza Italia, letteralmente, con un locale
presto riempitosi e grande attenzione del pubblico sin dalle prime battute del
concerto. Un locale perfetto, quello milanese, per questo tipo di eventi:
l’ampia sala si presta infatti bene, sia per acustica che per spaziosità, a
spettacoli che richiamino un certo quantitativo di persone, come accaduto in
questa serata; e permette anche a chi vuole prendersi un attimo di riposo di non
morire pressato nella calca. Detto che la puntualità non è mai una costante di
queste date, bisogna dare atto all’organizzazione che non si sono registrati
grossi ritardi, anzi: il tutto è terminato entro le 23, senza mai presentare
problemi di alcun tipo.
Iniziamo il report della serata parlando dei danesi Hatesphere, che
hanno aperto lo show con il loro solito set tritaossa, movimentato e
caratterizzato dalla grande interazione col pubblico: i pezzi scelti sono i
migliori mai usciti dalla loro penna, e Jacob sa come far partecipare le persone
già assiepatesi sotto al palco per rendere al meglio il concerto. Su tutte le
canzoni eseguite, per una mezzora scarsa, spiccano sicuramente Release the
Pain e Deathtrip, cavalli di battaglia proposti in fila all’inizio
della setlist che vengono accolti in modo clamoroso, specie considerando che si
tratta della band di apertura per un bill di 4 gruppi: e notoriamente il primo
gruppo è quello che in media si guarda con meno attenzione… assolutamente
coinvolgenti, quindi, e precisi: speriamo che non si inflazionino troppo (la
loro proposta musicale non è così varia, e il fatt che tornino tra un mese di
spalla ai Morbid Angel potrebbe quasi essere uno svantaggio, per certi versi…)
e che continuino a sfornare musica di qualità.
Continuo invece a chiedermi come una band come gli ungheresi Ektomorf
possa godere di tanta e tale promozione: è vero che il sound è abbastanza in
voga attualmente, ma questi cloni degli ultimi Sepultura non mi hanno convinto
nemmeno dal vivo. La band è stata infatti abbastanza statica, seppur supportata
da un’ottima scenografia di impronta orientaleggiante… ma anche se le ritmiche
incitavano al movimento, il pubblico non è sembrato in sostanza reagire con un
grande coinvolgimento. Pezzi come I know them dovrebbero avere la loro miglior
dimensione dal vivo, ma qui sembravano semplicemente una riproduzione della
traccia registrata, con scarsissima energia da parte anche dello stesso frontman.
Assolutamente superflui nella serata, e soprattutto non meritavano il terzo
posto nel bill.
Che cosa dire invece dei Dark Tranquillity? La cornice è stata
assolutamente azzeccata: una semplice ma intrigante scenografia, delle luci ben
regolate e che hanno saputo creare un’atmosfera adatta, e la solita scarica di
adrenalina data dagli svedesi grazie ai loro pezzi. Giganteggia come sempre Mikael
Stanne, un uomo nato per fare il frontman, che senza atteggiarsi in nessun
modo precostruito riesce a instaurare subiti un grande feeling coi fans e ad
interpretare al meglio ogni singolo pezzo. La scaletta prevede soprattutto brani
degli ultimi dischi, con un occhio di riguardo ovviamente al nuovo Character,
da cui vengono scelte le belle The New Build, Lost to apathy e Through smudged lenses;
viene decurtato completamente (a sorpresa) Projector, di cui non
è eseguita nemmeno la celebre ThereIn, a favore però di un brano
rispolverato dal debut: Of chaos and eternal night, che stupisce i
presenti, dato che non veniva rispolverato ormai da anni. Una Punish my
heaven finalmente eseguita alla giusta velocità corona un concerto
assolutamente riuscito, ma penalizzato dalla brevità: il tour infatti doveva
vedere i Dark Tranquillity come co-headliners, ma per questioni varie si è
lasciato questo ruolo ai soli Kreator, che suoneranno infatti addirittura per
due ore contro ai miseri 40 minuti degli scandinavi.
Tutti i membri della band svedese sono comunque da encomiare per la riuscita
dell ospettacolo: Jivarp è come sempre un orologio dietro alle pelli,
mentre la coppia di chitarre Sundin/Henriksson sembra addirittura più
affiatata che in passato, vista la velocità dei passaggi eseguiti sui 2 brani
più vecchi. Niente di nuovo nel bene come nel male, insomma, ma una
graditissima conferma per una delle band più importanti per la scena metal
estrema mondiale.
A.F.
Le note iniziali della title track dell’ultimo disco, “Enemy of God”, aprono il concerto dei
Kreator, e da subito il gruppo mette in mostra una carica ed un aggressività davvero impressionanti, così come degli ottimi giochi di luce, mentre la scenografia è totalmente affidata ad un enorme telone che riproduce una versione ampliata della copertina del nuovo disco, davvero molto bello.
Con “Impossible Brutality” se è possibile la band riesce a crescere ulteriormente in quanto ad aggressività, ma la vera scossa allo show lo da la mitica
“Pleasure to Kill”, introdotta in maniera verbalmente davvero violenta da
Mille Petrozza, che da il vero via al pogo più duro nel pit.
La carica musicale della band è indiscutibile, quando si ha la possibilità di scaricare sul pubblico bordate del calibro di
“People of the Lie”, “Terrorzone”, “World Anarchy”,
“Extreme Aggression”, accolta con un vero boato, “Betrayer” o
“Violent Revolution” si parte sicuramente da una posizione di vantaggio, ed infatti il coinvolgimento dell’audience mi è parso decisamente alto, peccato però che il gruppo, con l’esclusione del leader storico Mille, non mi sia parsa altrettanto coinvolta, infatti se il bassista ogni tanto perlomeno si lanciava in un moderato headbanging, il biondo chitarrista sembrava avere i piedi inchiodati al palco, credo che a fine concerto non fosse nemmeno sudato, e questo a mio, parere toglie molto all’atmosfera del concerto.
Il gruppo non nega nemmeno un salto nel suo passato più lontano, con canzoni come
“Riot of Violence”, in cui il batterista Ventor rispolvera le sue doti canore, espresse sui primi dischi del gruppo, e l’accoppiata
“Flag of Hate/Tormentor” che chiude in maniera più che degna uno show davvero molto piacevole.
Il carisma del buon Mille Petrozza è davvero enorme, ed anche se forse non tutti capiscono i suoi discorsi in inglese tra una canzone e l’altra qualsiasi affermazione del leader viene accolta da urla della folla, soprattutto quando, in uno stentato italiano, il chitarrista/cantante dichiara il suo orgoglio per le proprie radici italiane, peccato però che, soprattutto nelle prime canzoni, la sua voce non sia parsa al meglio, a volte sembrava davvero in difficoltà mentre cantava.
La vera sorpresa del concerto è rappresentata da “Ripping Corpse”, non certo uno dei classici del gruppo, che infatti inizialmente è stata accolta in maniera piuttosto fredda, probabilmente non molti tra i presenti se la ricordava, ma quando il brano ha scaricato la sua potenza il pubblico non ha potuto far altro che farsi trascinare.
Le uniche due canzoni che non mi hanno pienamente coinvolto sono state “Phobia” e
“Voices from the Dead”, che pure su disco mi piace tantissimo, entrambe le song mi sono sembrate davvero poco in linea col resto dei pezzi proposti dal gruppo, e soprattutto davvero poco coinvolgenti in versione live.
In conclusione posso tranquillamente affermare che i Kreator hanno offerto ben due ore di sano e trascinante Thrash spaccaossa, il che è il massimo che si può chiedere a loro, peccato solo che la scarsa presenza scenica di un paio di elementi abbia fatto calare di parecchio l’impatto visivo dello show, ma dopotutto quello che conta è la musica, e quella offerta dalla
band di Petrozza è stata sicuramente di ottima qualità.
M.L.