Report: Legends Never Die (Ortimino – FI, 01/05/07)
Il successo del recente Play it Loud! ha inaugurato una stagione concertistica all’insegna dell’HM nostrano, facendosi portavoce di una devozione mai sopita per le formazioni storiche della penisola. Sentimento riportato a galla dagli organizzatori del Legends Never Die, festival costruito attorno a una schiera di veterani della scena tricolore: una giornata dedicata dallo staff di MetalMillennium a piccoli, grandi miti di ieri e oggi, dai bolognesi Crying Steel alla rinata Strana Officina. Graziato da un cielo che prometteva una doccia implacabile proprio nel giorno sbagliato, l’evento si è invece svolto senza particolari intoppi nella cornice rustica del Mulligan’s pub di Ortimino (FI), che ha accolto circa duecento appassionati. Non è mancata tuttavia qualche nota stonata, a cominciare dalla defezione inattesa dei Sabotage, frenati da un Morby completamente afono; né si può tacere dei prezzi gonfiati dal locale, specialmente sulle bevande al banco. La musica, al contrario, ha riservato soltanto vibrazioni positive, per la gioia del pubblico e degli organizzatori.
Adramelch.
Persi per un niente i fiorentini Frozen Tears (che a detta dei presenti non hanno sfigurato), dopo un rapido sound-check scocca l’ora degli Adramelch, alla prima assoluta in terra toscana. Quella dei milanesi non è la proposta più indicata per un open air, ma si fa apprezzare per la raffinatezza degli arrangiamenti e la disinvoltura con cui i Nostri miscelano stili e motivi differenti: un sound ricercato, preso per mano dal frontman Vittorio Ballerio, magistrale nella sua interpretazione canora. La scaletta pesca dai solchi di Irae Melanox, con Zephirus a brillare per intensità, senza dimenticare il più recente comeback Broken History, a detta di molti addirittura superiore al primo, storico capitolo; preferenze a parte, pezzi come Beloved Jerusalem e Darts of Wind fanno la differenza, complice una prova corale di livello. C’è tempo anche per un inedito, primo vagito di un nuovo album che, a detta del gruppo, non dovrebbe farsi attendere altri diciassette anni. Solida conferma per i fortunati che li avevano già visti, gradita sorpresa per i neofiti di turno.
Dark Quarterer.
Quella dei Dark Quarterer è una vicenda che accomuna tante cult-band italiane, sopravvissute alla prova del tempo grazie alla passione di un manipolo di fan scatenati. Da sempre sorda alle mode del momento, la formazione capitanata da Gianni Nepi riparte dalla brillante esibizione del Play it Loud! per diffondere il proprio verbo musicale: sul piatto tante influenze, dalla tradizione degli anni Settanta a echi metallici che si fondono in un melting pot tanto affascinante quanto di difficile catalogazione. Come i predecessori, anche il complesso originario di Piombino riesce a rendere avvincente il proprio set, nonostante un pubblico in parte spaventato da un tempo che inizia a fare i capricci; brani quali Last Breath o Dark Quarterer hanno comunque la meglio, richiamando sinceri applausi tra i presenti. Altro gruppo di classe da un Paese che non se n’è mai accorto.
Crying Steel.
I bolognesi Crying Steel hanno il merito di alzare ulteriormente il livello d’intrattenimento, coinvolgendo le prime file a suon di HM diretto e adrenalinico. Alcuni problemi tecnici occorsi al microfono di Luca Bonzagni non frenano il quintetto, letteralmente scatenato nel riproporre vecchi e nuovi cavalli di battaglia: Kill Them All, Next Time Don’t Lie e Raptor (da The Steel Is Back) non fanno prigionieri, mentre i nostalgici hanno di che gioire con le varie Running Like A Wolf, No One’s Crying e l’inossidabile Thundergods. Concerto di grande intensità, con la sempre più rodata coppia Nipoti – Magagni ben supportata da una sezione ritmica in palla; Bonzagni, a costo di ripetersi, ha la stoffa del grande cantante e i polmoni per dimostrarlo ancora una volta. Chiusura tradizionalmente nel segno dei Judas Priest, con la prediletta You’ve Got Another Thing Comin’ a far cantare a squarciagola il pubblico. Alla fine sono tanti i volti compiaciuti, il resto poco importa.
Strana Officina.
Autentici eroi locali, Daniele ‘Bud’ Ancillotti e la Strana Officina suggellano una giornata più che positiva sfornando l’ennesimo show di qualità: un tributo alla memoria dei fratelli Cappanera (succeduti, molto poeticamente, dai figli) e di Marcello Masi, scomparso pochi anni fa dopo una lunga militanza nel progetto più recente di Ancillotti, Bud Tribe. Tra classici in lingua madre (Non Sei Normale, Autostrada dei Sogni, Viaggio in Inghilterra) e composizioni internazionali, con cui i Nostri avevano tentato la scalata al successo, la Strana sfodera una grinta inesauribile, come testimoniato dalla poderosa Kiss of Death. Ce n’è per tutti i gusti e, complice l’affetto spropositato per un monicker storico del panorama tricolore, parecchi indicheranno gli headliner come i migliori dell’intera kermesse. A prescindere da inutili classifiche, si è celebrato l’heavy metal italiano e alcuni tra i suoi più validi interpreti: l’augurio è che quanto visto a Ortimino sia solo l’inizio di una marcia inarrestabile.
Federico ‘Immanitas’ Mahmoud