Report Masterplan, Milano 6 aprile – Alcatraz
Si ringrazia Marco “Homer_Jai” Ferrari per la collaborazione.
La concomitanza di un euro-derby a Milano e un affollamento di eventi nel panorama musicale credo che possano essere un’ottima scusante, ma il cartellone delle serate metal milanesi evidenziava un appuntamento che definire goloso è limitativo poichè non si può parlare in altri termini di una serata che porta sotto il cielo meneghino tre dei più dotati cantanti della scena metal attuale e non, ma andiamo con ordine.
Il mio arrivo in Via Valtellina è subito col botto… mentre mi bevo una fresca birra appare, al gruppo di irriducibili che attende l’apertura dei cancelli, niente meno che Rob Rock in persona che passeggia tranquillamente praticamente non notato da nessuno tranne che da uno sparuto gruppetto che non può non rendere onore ad un personaggio di tale calibro che dichiara con un furbo sorriso di non essere in gran forma… attendere per credere.
L’apertura delle danze è affidato agli svizzeri Pure Inc., band che onestamente non conoscevo, che bene ha interpretato il proprio ruolo davanti alla landa desolata di un locale semideserto e che ha messo in evidenza un ottimo (ed italianissimo) singer.
Ma è con la salita sul palco del session man per eccellenza, al secolo Rob Rock, che si inizia a fare veramente sul serio. La setlist dell’ex Axel Rudi Pell ed Impellitteri (ma a molti noto anche per la partecipazione nel progetto Avantasia) è improntata maggiormente sul terzo disco solista “Holy Hell” con la title track e le granitiche “Stayer of Souls” e “I’m a Warrior” che mi hanno dato emozioni ben oltre le aspettative. Riff pesanti e voce esplosiva il mix vincente per questo strepitoso singer che alterna passaggi che strizzano l’occhio al power a momenti di granitico e sano heavy metal, ricordando molto il Ronnie James Dio dei migliori tempi, ed è proprio in tale ottica che l’esecuzione delle trascinanti “Judgement day” e “Steets of madness” non hanno potuto far altro che portare alle stelle l’entusiasmo dei presenti, il tutto impreziosito dalla presenza sul palco di ottimi musicisti. E per fortuna che non era in forma…. Unica “pecca”: aver superato chi lo ha seguito sul palco: Zac Stevens e Jorn Lande… non proprio i due ultimi arrivati.
Riaccesi i riflettori tocca ora all’ex Savatage Zac Stevens presentare al pubblico Milanese il proprio ultimo lavoro. Non conoscendo molto la proposta musicale dei Circle II Circle non voglio spendere eccessive e non ponderate parole, ma tutt’altra presa sul pubblico vi è stata quando le note “Made in Savatage” come quelle della conclusiva “Edge of Thorns” si sono diffuse per un’Alcatraz che, seppur lentamente, iniziava a riempirsi, rivitalizzando un pubblico poco più che sonnecchiante durante gli altri pezzi proposti.
Ottima la prestazione di Zac, autore di una prova più che convincente fatta di gran voce ed energia da vendere mentre altrettanto non si può dire della sua band che pur avendo un ottimo suono e un dotato chitarrista non è stata in grado di riproporre le canzoni della storica band di John Oliva in maniera adeguata.
Ma veniamo al main event della serata. L’attesa per la seconda discesa italica della band capitanata dalle due ex zucche Roland Grapow e Huli Kursh, nonché dal talentuoso Jorn Lande non ha bisogno di eccessiva immaginazione, tanta era la curiosità di rivederli dopo l’esplosiva parentesi di supporto agli Hammerfall di due anni fa e dopo la conferma in studio con il più che buono “Aeronautics”.
La partenza della band è a forte handicap, infatti dopo tre concerti caratterizzati da ottimi suoni ciò che esce dagli amplificatori è un qualcosa al limite dell’imbarazzante con un pastone di basso e batteria che sovrastavano completamente le delicate melodie che Lande provava ad impostare. Ed è così che l’ottima “Crimson Rider” e parte della granitica “Crystal Night” sono risultate particolarmente deturpate se non inascoltabili.
Fortunatamente il grosso del fastidioso problema viene risolto ed è così che con “Wounds” il concerto può avere realmente inizio ed è un inizio trascinante nel quale “Kind Hearted Light” mostra come una band tanto ricercata in studio possa trasformarsi in una granitica band in sede live: ed è questa forse la caratteristica che esalta, o spiazza, maggiormente lo spettatore che si ritrova per la prima volta sotto al loro palco.
Tempo di rifiatare abbassando un po’ i ritmi, ed ecco che giungono a noi le note di “I’m not afraid” e “When love comes close” dove Lande riesce a prendere pieno possesso della scena e sulle quali non ha tradito. Il ritorno a sonorità prettamente power viene quindi affidato a “Heroes” durante la quale Grapow sostituisce Kiske nel duetto canoro con un Lande che sembra, dopo l’iniziale imbarazzo, ingranare seriamente anche nelle parti più tirate. La fine della prima fase del concerto è quindi affidata alla rodata accoppiata “Enlighten Me” e “Bleeding eyes”, che purtroppo mi lascia molto dubbioso sulla sua efficacia in sede live, e “Love is a rock”. Tempo per un breve assolo di Roland giusto per farmi venire i brividi con l’intro di “Future World” ed ecco “Soulburn” a mandare tutti negli spogliatoi per tirare il fiato in attesa del rush finale che puntualmente inizia con l’intro tenebroso e magico di “Spirit never die” pronta a sancire il picco emotivo e musicale più alto del concerto e supportato da una vera ovazione da parte dei presenti. Il singolo “Back for my life” e la rocciosa e sorprendentemente trascinante “Crawling from Hell” mettono, con qualche taglio rispetto alla scaletta annunciata, causa i soliti limiti di tempo, la parola fine ad un serata veramente bella.
Molti commenti all’uscita parlavano di delusione dei Masterplan, ma parlare in questi termini mi sembra oggettivamente una esagerazione. Certo non è stata la loro migliore serata, ma il tutto è anche dovuto al fatto che la band tedesca cambia decisamente pelle in sede live, mettendo da parte eccessiva melodia e suoni raffinati per dare sfogo a tutta la sua potenza: e da questo punto di vista sono stati, suoni permettendo, ineccepibili.
Ho notato un Lande molto in affanno e non solo dal punto di vista vocale, ma anche fisico, molto affaticato e con poco feeling sopratutto all’inizio per poi riuscire a legare meglio con il passare del tempo, limiti che comunque è riuscito a mascherare più che dignitosamente con la sua grande teatralità ed espressività: senza dubbio una versione opaca dello straordinario frontman ammirato su quello stesso palco due anni or sono.
Un plauso particolare a tutti i presenti, circa 250, che hanno applaudito con passione tutte le band della serata e che non hanno mai smesso di incitare i Masterplan nonostante la non strepitosa prestazione offerta.
Considerazioni finali:
– Rob Rock: tecnicamente il dominatore e protagonista indiscusso della serata
– Zac Stevens: ottimo come cantante e disponibilissimo come persona, veramente un frontman eccelso
– Pure Inc: bravi, energici, simpatici; da seguire con interesse
– Tecnici del suono dei Masterplan: ma c’erano?, non è che stavano guardando la partita?
– Le zeppe di Lande: va bene essere piccoletti, e io ne so qualcosa, ma ci vuole dignità anche in questo
– Masterplan: non in gran serata e inizialmente bloccati da un suono orribile offrono una prova comunque dignitosa ed applauditissima, ma non trascinante come in precedenza; da rivedere (e spero presto).
Marco “Homer_Jai” Ferrari