Report: Metal Circus – Modena (01/03/08)

Di Riccardo Angelini - 8 Marzo 2008 - 15:42
Report: Metal Circus – Modena (01/03/08)

Festival per pochi intimi, ma pur sempre festival. Il concerto che si è tenuto a Modena il primo di marzo si è rivelato un’ottima occasione per vedere in opera alcune promettenti realtà dell’underground estremo appenninico, sebbene inevitabilmente l’attenzione sia stata in gran parte catalizzata dal nome degli headliner. E’ toccato infatti ai Dark Lunacy, da anni – e senza esagerazione – ai vertici della scena europea, chiudere la manifestazione modenese. La band parmense ha regalato (sì, regalato visto che il costo del biglietto non andava oltre il paio di euro) una prestazione di cuore e muscoli, uno show professionale, da primi della classe, in fronte a uno scenario piuttosto essenziale, una resa sonora altalenante e, soprattutto, una rappresentanza di appassionati tutt’altro che imponente. Ma ormai non ci si sorprende più di fronte alla volublità di quella parte di pubblico italiano sempre attiva nel segnalare le negligenze dei grandi eventi (gli unici cui sembra partecipare) e decisamente più pigra di quando si tratta di supportare attivamente il sempre esaltato (a parole) e bistrattato (nei fatti) underground dello Stivale. Poco importa per chi c’era: ecco in breve il sunto dello spettacolo cui il pubblico del Metal Circus modenese ha avuto la possibilità di assistere.

Report a cura di Salvatore “HELM” Pireddu.

Modena, 1 Marzo 2008. Sono le cinque del pomeriggio quando finalmente raggiungo La Tenda di Modena dove a fine serata si esibiranno i Dark Lunacy per il terzo atto del festival Metal Circus. Purtroppo è già tardi per poter vedere i Nocturnal Pit, ai quali spettava il compito di scaldare il locale. Faccio però in tempo per poter apprezzare l’esibizione dei Delyria di Grosseto, reduci dal loro lavoro del 2007 “Tales from my Abyss”; il loro è un death metal melodico di chiara matrice svedese, sicuramente meritevole di attenzione. Di ben altro stampo è lo show dei modenesi Screaming Shadow, il cui stile è nettamente più brutale: violenza accompagnata però dalla buona tecnica del bassista Henry e del batterista Puddu: impeccabili. I Ritual of Rebirth offrono invece un sound più originale, il loro è un death che richiama alla mente più gli ultimi anni della scena nord europea death-metal. I mantovani Rude Forefathers propongono un thrash con influenze hardcore aggressivo, tenendo alta la tensione sotto al palco. Ancora un gruppo di Modena prima degli headliner: si tratta dei Silent Agony, formazione eclettica che propone una setlist perlopiù di cover, alla quale spetta il compito di aggiungere un tocco più tecnico e tradizionale.

Il pubblico è già caldo da un po’ quando salgono sul palco i tanto attesi headliner. Come in uniforme, i Dark Lunacy si presentano ai fan con una vistosa cravatta rossa su vestiti neri. Pochi secondi, e l’epico coro che fa da intro ad “Aurora”, primo pezzo del loro ultimo album, ammutolisce definitivamente il pubblico. Il microfono di Mike però sembra non volerne sapere di fare il proprio mestiere; fortunatamente, l’incidente sembra durare solo pochi secondi, mentre la band continua convinta e decisa con l’esecuzione del brano. Cominciano però ad emergere altri problemi tecnici all’impianto sonoro, che per fortuna non riescono a rovinare il concerto né a fermare una band di tale esperienza. I nostri rincarano dunque la dose: tratto da “Forget Me Not”, il brano “Through The Non-Time” ha un forte impatto sul pubblico, col quale si crea subito un forte contatto empatico, grazie al pathos che i testi e le melodie di Enomys riescono a infondere. “Heart Of Leningrad” e “Stalingrad” alzano il ritmo dando più grinta e potenza alla scaletta. Ancora tre brani da “The Diarist”: “Snowdrifts”, che riporta un tocco di melanconia, e poi due momenti in cui Mike si sofferma a riflettere su alcuni temi trattati nelle liriche, ovvero il sacrificio e l’amore per la patria. Lo fa apoliticamente, correttamente e intelligentemente: spiega in modo semplice che ci sono stati giovani che amavano la vita, come sulla “Pulkova Meridian”, e che questa vita l’hanno perduta per la propria terra; la terra che si ama quando nei momenti bui della storia nascono gli eroi: “Motherland”. Finale in pompa magna con “Dolls”, il cui motivo viene cantato con partecipazione da tutto il pubblico. Con un’esibizione maiuscola, la band dimostra così di aver superato completamente i problemi interni alla formazione emersi dopo l’uscita di “The Diarist”.
 
Al di là della prestazione delle band, non è possibile ignorare il curioso fenomeno per cui la qualità del suono sia calato dall’inizio verso la fine. Sfortuna? Problemi tecnici? Pazienza, forse non è neanche il caso di essere pignoli. I Dark Lunacy hanno accettato di suonare in un festival il cui ingresso costava solo due euro, o era gratuito per chi si presentava con un CD della band all’ingresso, in un locale abbastanza piccolo che pure non è stato riempito completamente. Ciò può solo fare onore ad una band che, pur essendo impegnata in Italia come all’estero, si mostra disponibile verso i fan e verso la realtà underground. Mi ha colpito molto positivamente la loro modestia, mentre si mescolavano tra il pubblico prima e dopo la loro esibizione, e mentre chiacchieravano con chiunque volesse avvicinarli o chiedesse loro un autografo o una foto. Bravi in tutto, lontani e vicini dal palco.

Gran concerto, e non soltanto per la bravura dei Dark Lunacy, ma anche delle altre band, peccato che fossimo in pochi. Talvolta è sconcertante parlare della scena metal italiana: sento troppo spesso qualche metallaro che si lamenta dei concerti, denunciando il poco spazio dedicato ai gruppi nostrani. Questa poteva essere una occasione per mostrare la presenza forte e importante del pubblico tricolore, ma purtroppo sembra che sia più facile lagnarsi piuttosto che muoversi, andare ad un concerto di sabato sera, spendere due euro e divertirsi supportando la povera scena italiana. Ciò non toglie che chi c’era è stato ricompensato con uno spettacolo di ottimo livello.

Salvatore “HELM” Pireddu