Report: Moonsorrow, Swallow The Sun, Debauchery 05/04/07 – Milano
Forti di un album che ha definito ancora una volta lo status di band di
culto, i Moonsorrow, vera attrazione del tour, scendono per la prima
volta sul suolo italico per dar vita a uno dei concerti più attesi del 2007. Un
evento di questa importanza avrebbe meritato molti più spettatori, che, come
quasi sempre, sono stati l’elemento mancante di una serata molto piacevole.
Anche perchè i nostri propongono un genere sì di nicchia, ma ormai sdoganato da
un successo europeo che sembra essere andato ben oltre le aspettative della band
stessa. Buon per chi c’era. Buona lettura.
Cliccate sulle foto per ingrandirle.
DEBAUCHERY
Puntuali sulla tabella di marcia si posizionano sul palco i deathsters
tedeschi Debauchery, che presentano al pubblico italiano l’ultima fatica
in studio, il recente Back In Blood. Esibizione coinvolgente da parte del
quintetto teutonico, tutta sangue, headbanging sfrenato, groove, e grugniti
della migliore tradizione. Il frontman della band, Thomas, capisce
immediatamente che la serata sarà solo per pochi intimi, denotando un certo
“imbarazzo” nell’iniziare il proprio set davanti a uno sparuto gruppo di
sostenitori dinnanzi alla stage, senza però perdersi d’animo, sottolineando
nelle brevi pause tra un brano e l’altro che, anche in pochi, ci si può
scatenare a dovere con il brutal “da bollino verde” di chiara scuola Six Feet
Under.
Del resto anche i compagni non si curano più di tanto del numero di
spettatori accorsi e ci danno dentro con un ottimo piglio, scaricando,
attraverso continui scambi d’intesa con la prima fila, moltissima energia.
Supportati da suoni non certo dei migliori, con una batteria praticamente
impalpabile nei primi brani dell’esibizione e assoli di chitarra troppo poco
udibili, ai nostri viene concessa una mezz’oretta scarsa per divertirsi e per
divertire, che è in fondo l’unico motivo d’interesse per assistere a una
formazione che non presenta nulla di nuovo e che non strabilia neppure per doti
tecniche/compositive.
SWALLOW THE SUN
Con i finlandesi Swallow the Sun, la serata cambia decisamente la
direzione che i Debauchery avevano impresso in precedenza. Con il cambio
di set viene ripulito anche tutto il marciume e il sangue lasciato sul palco,
per lasciare spazio alla atmosfere gothic/doom del sestetto capitanato dal
vocalist Mikko Kotamäki, uno dei frontman più immobili e apatici che mi
sia capitato di vedere. Con una proposta del genere, è ovvio che non si debba
saltare di gioia, ma un minimo in più di coinvolgimento avrebbe aiutato a
rendere meno tediosi i tre quarti d’ora circa di concerto. Non che i compagni
gli diano una mano in questo senso, con qualche scapocciata neanche troppo
convinta a rappresentare il massimo della mobilità messa in mostra dai nostri.
Dal punto di vista musicale non si può obiettare nulla agli Swallow the Sun,
con uno stile che si attesta su lidi doom/death con sprazzi goticheggianti, con
pesanti chitarre a scandire melodie gravi e malinconiche, che se su disco hanno una
buona presa, in sede live perdono moltissimo del proprio fascino (un presagio per
i grandi attesi della serata?).
Inutile girarci attorno, una proposta del genere
è quanto di più lontano per poter fare breccia sul pubblico… Canzoni
mediamente lunghe, ovviamente cadenzate, lente, arricchite da arpeggi di buona
fattura, growl e voce sussurrata d’ordinanza, e atteggiamento distaccato da
parte dei musicisti. Anche in questo caso il suono non aiuta (come un po’ in
tutta la serata), non dando il giusto peso al growling di Mikko Kotamäki,
e al basso di Matti Honkonen, andando a smussare due degli elementi
caratteristici della musica proposta. Un’esibizione buona, ma senza nerbo,
impeccabile, ma troppo distante, che ha fatto sbuffare non pochi fan della band
finlandese. Da ascoltare solo su disco.
MOONSORROW
Quando calano le luci, attendendo i Moonsorrow salire sul palco, si ha
la sensazione che si è in procinto di assistere a un piccolo evento storico, il
primo concerto italiano dei cugini Sorvali. Davanti a un centinaio di
persone si materializzano i beniamini della stragrande maggioranza del pubblico
e subito si nota l’assenza del “deus ex machina” della band, ovvero il
corpulento Henri Sorvali, sostituito dal chitarrista live Janne
Perttilä. Poco male perchè il sostituto si dimostrerà all’altezza della
situazione, perfettamente integrato coi compagni di formazione. Da dove partire
per parlare di una delle esibizioni più attese della stagione? Io comincerei
subito dalle note dolenti, ovvero la poca predisposizione della musica dei
Moonsorrow a essere eseguita dal vivo. Tutta la maestosità, la magia, quelle
sensazioni struggenti che i nostri riversano copiose nei dischi, non verranno
mai eguagliate durante l’esibizione, che è stata, dal punto di vista emotivo, un
pallido riflesso delle potenzialità che i nostri dimostrano di possedere in
studio.
I Moonsorrow dal canto loro propongono i brani senza
snaturare eccessivamente la propria struttura, eliminando alcune parti (come intro/outro) che sarebbero leggermente fuori luogo in un live, senza arrangiare
eccessivamente i lunghi brani del set, enfatizzando invece i frangenti più
adatti a uno show. Purtroppo in questo processo di “intelligente snellimento”,
anche elementi fondamentali come i magnifici cori e le incursioni tastieristiche
di Markus Eurén vengono meno, soffocate dai restanti strumenti, e
incisive solo nei passaggi più pacati. Queste premesse erano doverose per
giudicare un concerto che gravava attorno a queste problematiche, oltre alla
curiosità di ammirare per la prima volta in Italia una delle formazioni di punta
del viking odierno. Quindi, nonostante gli sforzi della band nel ricreare il più
fedelmente possibile il feeling originario della propria musica (vedi le
frequenti incursioni nei cori e nelle backing vocals anche del batterista
Marko Tarvonen), l’operazione è riuscita solo in parte.
Non solo critiche
comunque, perchè, nonostante tutto, l’esibizione dei nostri è stata ammirevole,
trascinante, devastante nelle brevi parentesi puramente black metal con blast
beat a tutta velocità, e incredibilmente coinvolgente nei bellissimi passaggi
folk, accompagnati da un pubblico saltellante all’unisono. Una scaletta che ha
abbracciato tutta la splendida discografia dei finlandesi, da Köyliönjärven
Jäällä a Pakanajuhla di
Suden Uni,
da Kylän Päässä a Sankaritarina, tratte da
Voimasta Ja
Kunniasta. Una band rodata ed esperta, che riesce a conciliare alla
perfezione l’impegno nei momenti più difficili (in cui tutti, tranne il
tastierista, vengono impegnati al microfono) e in quelli più spensierati,
giocando con il pubblico e muovendosi continuamente sul palco, tanto da
rischiare in un paio di occasione di scontrarsi in modo a dir poco comico
(sottolineate anche dalle risate dei protagonisti). Uno show che va a toccare un
ventaglio di sensazioni molto ampio, dal trasporto emotivo (ahimè solo
accennato) di cori e tastiere, dalla giocosità di melodie folkeggianti, passando
anche per la violenza genuina, e per gli attimi di raccoglimento nei momenti
acustici.
Un “boato” si alza dalla platea quando Ville Sorvali annuncia
“the new shit”, introducendo la nuovissima Tuleen Ajettu Maa (dal
recente V:
Hävitetty, accorciata, ma pur sempre di oltre i venti minuti!). Urla che
si elevano sin dalle prime note di Pimeä (tratta da
Verisäkeet),
senza tralasciare il mastodontico
Kivenkantaja
fuori dal set, con un’acclamatissima Jumalten Kaupunki e con
Unohduksen Lapsi a chiudere la serata. Un concerto esaltante ma che allo
stesso tempo lascia qualcosa che è più di un amaro in bocca. Credo che non si
possa imputare nulla ai Moonsorrow sotto il profilo dell’impegno, né
tanto meno all’impianto acustico del locale (a dire il vero non impeccabile con
la resa dei microfoni), l’unico elemento che ha pesato sull’esibizione è semplicemente la musica,
croce e delizia, unica e
inimitabile che i Moonsorrow distillano da anni, tanto evocativa e
complessa su disco, ma difficilissima da riprodurre fedelmente in sede live. In
qualunque modo la pensate, rimane un concerto da ricordare a lungo, e di cui
si potrà dire un giorno: “Io c’ero.”
Stefano Risso