Report: Rock of Ages – 13/09/08, Milano

Di Redazione - 20 Settembre 2008 - 0:00
Report: Rock of Ages – 13/09/08, Milano

A una settimana di distanza dall’acclamato Rock of Ages, ecco le impressioni di TrueMetal sul festival che si pone come nuovo punto di riferimento per gli appassionati di hard n’ heavy. Teatro dell’evento il capiente Palasharp di Milano, già sede in passato di Gods of Metal e altri prestigiosi concerti del settore. Nonostante la bruciante defezione dei Gotthard, che avrebbero rappresentato il valore aggiunto di un appuntamento già di grandissimo livello, il concerto ha riscosso l’apprezzamento di pubblico e addetti ai lavori, ponendo le basi per un’esperienza destinata ad avere un seguito. Con questa speranza vi auguriamo buona lettura.

Federico “Immanitas” Mahmoud e Stefano “Steven Rich” Ricetti

PINO SCOTTO
[ Stefano “Steven Rich” Ricetti ]

Tocca al Pino nazionale aprire le danze di questo Rock of Ages, e il Nostro lo fa con il solito piglio ultra-deciso proponendo brani di Vanadium, Fire Trails senza dimenticare alcuni estratti dall’ultimo Suo disco: Datevi Fuoco, Lo Scotto da Pagare. Il climax del concerto si ha in occasione dell’evergreen Streets of Danger, inno degli anni Ottanta che sembra davvero immune al passare del tempo. I musicisti che accompagnano Mr. Jack Daniel’s sono personaggi navigati che ben sanno come mantenere alto il “tiro” e infatti, grazie a un suono di buon livello, pezzi come Piazza San Rock e Il Grido Disperato di Mille Band rendono alla grande, così come Fighter, Spaces and Sleeping Stones e Too Young to Die. Pino si sgola – e si scola – quanto basta, fra un solo di Steve Volta, i “numeri” al basso di Marco Castelli, le rullate di Manuel e un proclama alle folle, come consuetudine, confermandosi una delle icone fondamentali e imprescindibili dell’HM italico, che piaccia o meno ammetterlo.

 


[ Federico “Immanitas” Mahmoud ]

Una chitarra vibrante, pianoforte in crescendo e quell’irresistibile sapore di Seventies: signore e signori, tocca ai The Quireboys! Spike e soci sono una garanzia per ogni happening rock che si rispetti, specialmente quando si tratta di open air; gli spettatori del Gods of Metal o, più indietro, di uno storico Monsters of Rock ricorderanno. Il Palasharp non è (non ancora, perlomeno) il forno che tutti temevano, ma al sestetto di rocker londinesi basta un paio di brani per scaldare a dovere l’atmosfera. Spike è un frontman di razza che ha studiato dai Grandi ed è assistito magistralmente dal resto della band, cementata da anni di esperienza on the road; il resto lo fa la musica, quell’hard n’ roll con spruzzate di blues che a oltre vent’anni dalla formazione del gruppo continua a ruggire. C’è un nuovo album da promuovere, Homewreckers & Heartbreakers, introdotto dalla solare Mona Lisa Smiled e ci sono i classici: due su tutti, Seven O’ Clock e Hey You, intramontabili hit di quel A Bit of What You Fancy che fece decollare i The Quireboys agli albori degli anni Novanta. Di acqua sotto i ponti ne è passata da allora, le platee sono cambiate e i Nostri sono ripartiti da zero con un solo biglietto da visita… This Is Rock N’ Roll.

 


[ Federico “Immanitas” Mahmoud ]

A rischio di attirare sul sottoscritto le ire di qualche fan sfegatato, ammetto di non trovare spunti di rilievo nello show di Duff McKagan e dei suoi Loaded. L’ex-bassista dei Guns N’ Roses sfrutta lo stand-by della sua band principale, Velvet Revolver, per tornare in pista con un gruppo fondato nel 1999 e autore di un full-length nel lontano 2001; un EP inedito, dal titolo Wasted Heart, esce in questi giorni per Century Media. Chi va in cerca delle sonorità stradaiole che furono dei Guns rimarrà a bocca asciutta, perchè Duff e soci viaggiano su coordinate differenti: punk-rock, grunge e vecchio rock n’ roll si mescolano in brani che piaceranno agli estimatori del genere, ma suonano quanto mai fuori posto tra The Quireboys e chi seguirà. Il termometro delle prime file segna un raffreddamento vistoso dopo un paio di canzoni, esaurito l’effetto sorpresa; la temperatura salirà solo all’ultimo giro di boa, con una manciata di cover (It’s So Easy su tutte) che fomentano un pubblico fin lì poco partecipe. L’atmosfera non è delle migliori, ma i Nostri fanno ben poco per cambiare marcia: Duff è un cantante mediocre, inutile girarci intorno, e i compagni difettano di quella presenza scenica che servirebbe su un palcoscenico così importante. Difficile credere che un complesso di uguale valore, senza un nome così pesante in eredità, possa avere le stesse chance. Bluff.

 


[ Federico “Immanitas” Mahmoud ]

A volte ritornano… Tredici anni dopo Waiting for the Punchline la seconda incarnazione di Extreme è realtà: la band di Boston è in piena promozione del nuovissimo Saudades De Rock e il Rock of Ages milanese è un appuntamento irrinunciabile per i fan italiani. Il quartetto è ansioso di recuperare il tempo perduto e si rende protagonista di un’esibizione coinvolgente, capace di alternare scariche di puro hard funk a momenti più intimi; qualsiasi dubbio circa la bontà dell’operazione “revival” è fugato in un batter d’occhio. Un indemoniato Gary Cherone regge il palco con classe e grinta, anche se la voce rischia di tradirlo in un paio di circostanze; ma il vero protagonista della scena è Nuno Bettencourt, chitarrista estroso, pianista all’occorrenza e autentico showman della sei corde: insostituibile. Il programma include vari estratti dall’ultimo nato (la corale Star, i ritmi di Take Us Alive), che non sfigura per nulla tra i classici del repertorio; magistrale Comfortably Dumb, tra i brani migliori di Saudades. Ovviamente non poteva mancare More Than Words, croce e delizia di un gruppo che continua a vendere anche (e soprattutto) grazie alla ballad dal successo planetario. Grandi applausi anche per Decadence Dance, sparata in apertura per scuotere le prime file, Play With Me e la scoppiettante Get The Funk Out, autentico manifesto del verbo Extreme. Bentornati!

 


[ Stefano “Steven Rich” Ricetti ]

Della serie: a volte ritornano.
Per il sottoscritto seconda volta di Twisted F*****g Sister, esattamente ventidue anni dopo il loro esordio in terra italica, consumando la pratica sullo stesso luogo del delitto, il Palatrussardi – ora Palasharp – , che venne inaugurato proprio in occasione di quella calata, all’interno di uno fra i primi Festival HM di livello internazionale organizzato qui da Noi. Quel giro, a tirare la volata agli americani di New York, al posto degli Extreme, c’erano i Motorhead nella formazione killer più casinista della Loro storia a quattro elementi, quindi con il Saxon Pete Gill alla batteria e l’accoppiata Wurzel/Campbell alle due clave. Accenni storici a parte, Dee Snider è tuttora un’ira di Dio, il tempo, per Lui, pare essersi fermato a quel 24 giugno del 1986. La Sorella Perversa, se non rappresenta la band più divertente del globo, poco ci manca. Il biondo vocalist, quintali di fondo tinta a parte, è credibile come ai bei tempi, grazie a una forma fisica stratosferica e una voce d’acciaio, che non risente assolutamente del continuo movimento del proprio possessore sul palco della location meneghina. Il concerto si apre con You Can’t Stop Rock’n’Roll e da lì in poi è delirio assoluto. Pezzi da concerto come Stay Hungry, We’re Not Gonna Take It, Under The Blade, I’m (I’m me), Burn in Hell – con Dee in versione rosso-luciferina – e la finale S.M.F. spaccano di brutto, tanto che il pubblico risponde così alla grande che Dee Snider, apparso realmente colpito dal feedback dell’audience tricolore, a un certo punto, dal profondo del proprio cuore, esclama: “you are the f*****g best audience in the world”, fra l’isteria generale. Simpatici i siparietti nella presentazione dello storico paisà A.J. Pero dietro i tamburi, italiano di origine e la dedica di The Price alla moglie, presente in sala proprio nel giorno del Suo compleanno, quindi un toccante e tonante “Happy Birthday Suzette” da parte di tutti i convenuti. Non da meno i proclami di Jay Jay French, l’asta del microfono piegata da Mark “The Animal” Mendoza, la compostezza di Eddie “Fingers” Ojeda, l’annuncio che saranno headliner al prossimo Gods of Metal e la solita, inarrivabile – e ammazza-voce per il pubblico, con tanto di salivazione azzerata per Noi sotto il palco – I Wanna Rock, posta appena prima di S.M.F., a chiusura di una festa incredibile di fottuto heavy metal rock’n’rolleggiante. Se i Twisted Sister non ci fossero, bisognerebbe davvero inventarli. Dopo aver amabilmente tributato il venticinquesimo anniversario dell’uscita di You Cant’ Stop Rock’n’Roll (1983), come stampato sullo striscione in fondo al palco, vorrà dire che quantomeno ci rivedremo per festeggiare il cinquantesimo, ovviamente sempre nello stesso luogo del delitto. Vero Dee?