Report: Royal Hunt e Godiva (14/05/08, Bologna)

Di Riccardo Angelini - 15 Maggio 2008 - 14:21
Report: Royal Hunt e Godiva (14/05/08, Bologna)

Unica data italiana per i Royal Hunt, tornati in grande stile ai livelli di un passato che qualcuno credeva ormai bell’e sepolto grazie a un sorprendente “Paradox 2: Collision Course”. C’è da scommettere che la serata al Sottotetto di Bologna rimarrà a lungo nella memoria di chi c’era – pochi intimi, inutile nasconderlo – in virtù di una prestazione a dir poco sontuosa da parte di Andersen e soci. Ci sarebbe molto da dire circa il rapporto fra la prova della band, l’organizzazione e l’affluenza del pubblico, ma rimandiamo tali considerazioni al paragrafo conclusivo e per prima cosa parliamo di ciò che conta realmente: la musica.

Godiva

Il ruolo di sparring partner tocca agli svizzeri Godiva, fautori di un heavy metal quadrato e senza fronzoli. La band pesca i pezzi più diretti dai suoi tre album nel tentativo di coinvolgere una manciata di osservatori al momento fin troppo sparuta per poter essere chiamata pubblico. La potenza c’è, a mancare è piuttosto lo spunto vincente – l’individualità che spicchi o anche soltanto il ritornello capace di ficcarsi nella memoria. Nei momenti di pausa il cantante Fernando Garcia fa del suo meglio per coinvolgere il pubblico sfoggiando un buon italiano (non è la sua lingua madre), nel tentativo di ovviare a una prestazione piuttosto statica sul palco (persino il batterista pare più dinamico) e all’infelice tendenza di forzare il falsetto dimenticando l’espressività nel backstage. Encomiabile da parte sua lo sforzo di ingannare l’attesa intonando col pubblico un’improvvisata “We Will Rock You” a cappella quando la strumentazione di uno dei chitarristi inizia a fare le bizze. Nonostante gli sforzi ripetuti non ci sarà verso di convincere la tecnologia a fare il suo lavoro, cosicché la band dovrà rinunciare all’ultimo pezzo – non agli applausi dei presenti, che dimostreranno di capire la situazione e che saluteranno i ragazzi con calore. Dal canto loro i Godiva tornano a casa con la consapevolezza di avere offerto una prova onesta, priva sbavature, ma ancora manchevole di quel quid in più in grado di fare la differenza. Ciò che al contrario sarà la prerogativa dei protagonisti annunciati della serata.

Royal Hunt

Lunga preparazione per re André e la sua corte. Infine la salita sul palco – piuttosto minuto in confronto a quelli che sono soliti calcare in altri paesi europei o in Giappone – di fronte alle poche decine di anime accorse al loro cospetto. Ma non importa: la band è carica a mille e i fan vociano come diecimila, non c’è bisogno di altro. L’apertura della setlist è da infarto: “River Of Pain” e “The First Rock” sono un’autentica folgorazione, con un panciuto Mark Boals che si presenta sul palco con bandana, occhiali da sole e stilosissima palandrana nera a stendere i presenti con un paio di acuti spaventevoli. Il rischio nel proseguimento del resoconto sarebbe quello di indulgere troppo spesso nel decantare le sue lodi, quindi si esaurisca il commento della sua prestazione con una battuta: a ventuno anni di distanza da un certo “Trilogy” la sua ugola è ancora placcata in oro puro – e chi avesse ancora voglia di definirlo “freddo” può mettersi in fila per prenotare una reincarnazione con un decimo della sua classe. Nonostante qualche infelice circostanza tecnica circa l’acustica e in particolare i volumi – le tastiere di Andersen si sentono meglio dai servizi che da sotto il palco e il microfono della corista Maria McTurk è impostato sulla modalità “sussurro” – la band si esprime ai massimi livelli. La prima metà del concerto è riservata ai capolavori del vecchio “Paradox” e alle chicche del nuovo: “Message To God”, “The Clan”, “Time Will Tell”, “Tears Of The Sun”, “Long Way Home”, “Chaos A.C.” si intrecciano in un crescendo di emozioni dove tutto è perfetto: ritmiche incalzanti, esaltanti attacchi di basso, duetti di chitarra e tastiere da urlo, acuti siderali. L’istrionico Andersen si conferma non soltanto musicista di prima classe ma anche grandissimo showman: incita la folla, tenta di sabotare i soli dei compagni e improvvisa siparietti a non finire. Nel finale si fanno apprezzare anche l’acclamata “The Mission” e una “Never Give Up” ripescata a seguito di uno spassoso aneddoto raccontato dal mattatore Boals. Purtroppo il tempo è tiranno e a causa dei ritardi accumulati la band è costretta a tagliare il finale della scaletta e a ritirarsi senza concedere il bis. Ma del resto anche se avessero suonato altre due ore non sarebbe stato abbastanza: spettacoli del genere si vorrebbe non finissero mai.

   

  

La soddisfazione per la prova della band non può comunque far dimenticare ciò che si era anticipato nelle battute iniziali – anzi. È vero, il giorno infrasettimanale e la location piuttosto isolata non avranno certo contribuito a stimolare la partecipazione in massa, e certamente il concerto in pompa magna dei Kiss il giorno prima ci ha messo del suo per oscurare le date adiacenti. Ma non basta questo a cancellare il rammarico per la modestissima affluenza all’unica data italiana organizzata per la celebrazione dei due “Paradox”. I Royal Hunt hanno dimostrato la professionalità che ci si aspetta da una band di questo calibro, suonando con la stessa grinta e vivacità che avrebbero riservato al pubblico dell’Arena di Verona. A sollevare un po’ il morale ci hanno pensato coloro che hanno voluto essere presenti nonostante le distanze e i sacrifici richiesti, come un gruppo di entusiasti ragazzi giunti da Roma a inneggiare i propri beniamini in prima fila sotto al palco dall’inizio alla fine. Ma c’è da chiedersi se i fan dei Royal Hunt in Italia siano davvero così pochi, o se non abbia ragione chi ritiene che il sedicente metallaro italiano sia nei fatti ancor più bolso e lamentoso di come lo disegnano – pronto a farsi scucire decine e decine di euro per i soliti dinosauri pensionandi ma reticente a spenderne una quindicina per una band di primissima categoria ma priva di un nome da copertina. In ogni caso, finché l’affluenza sarà quella che si è vista ieri sera, c’è poco da stupirsi se gli organizzatori non si azzardano a rischiare.

Riccardo Angelini