Report: Sabaton, Grave Digger, Therion (Milano, 29/01/2007)

Di Redazione - 1 Febbraio 2007 - 1:43
Report: Sabaton, Grave Digger, Therion (Milano, 29/01/2007)

La strana coppia. Un po’ come Felix e Oscar nel film di Gene Saks del 1968, Grave Digger e Therion, due band dalle attitudini diverse e dagli stili differenti, si trovano in questo inizio 2007 a convivere sullo stesso palco, in un tour da co-headliner (o quasi) che tocca l’Italia con una data all’Alcatraz di Milano.

Doveva essere una bella serata e lo è stata, grazie a due prove diverse e positive che forse avranno anche avuto la fortuna di spiegare concretamente a qualcuno quanto l’eterogeneità sia una risorsa inestimabile della scena metal.

Sabaton

Tocca ai Sabaton fronteggiare le poche decine di persone che alle 19 circa – un orario abbastanza proibitivo per chi lavora o ha impegni scolastici – popolano distrattamente l’Alcatraz di Milano. Per l’occasione è allestito il palco secondario, e questo, con il passare dei minuti, si rivelerà poi un vantaggio non da poco dal punto di vista sonoro. Reduce da tre album in tre anni (anche se l’ultimo Metalizer contiene materiale del 2002) la band svedese assolve al proprio compito di aprire un concerto che francamente salirà di livello, e non poco, soltanto con gli act successivi. Per loro una ventina di minuti in cui concentrano una prestazione comunque onesta e dignitosa, fatta di tanti stereotipi, musicali e non, che vanno a discapito di personalità e originalità, ma permettono alla band di accaparrarsi le simpatie dei fan del sound iper-classico al grido di Panzer Batallion, Into the Fire, Primo Victoria e Metal Machine.

Grave Digger

I Grave Digger amano l’Italia, l’Italia ama i Grave Digger, e appena nel locale risuona l’intro di Liberty or Death la folla si muove per guadagnarsi un posto da cui gustarsi il combo di Gladbeck. Si parte proprio con la title-track del nuovo album, per poi balzare al 1996 e a quel pugno in faccia che è Scotland United. All’opener dei tempi che furono seguono Grave in no Man’s Land (da The Last Supper) ed Excalibur (da Excalibur): insomma pare chiaro che la band intenda, come da pronostico, ripercorrere in modo abbastanza equilibrato gli ultimi anni della propria carriera, dalla trilogia medievale in poi. Purtroppo vengono completamente dimenticati the Reaper e Heart of Darkness, ma questa è ormai una tendenza a cui il becchino ci ha abituato negli ultimi anni, quindi meglio godersi il presente piuttosto che rimpiangere il passato. Quando entra in scena l’unico estratto del buon Rheingold, ovvero Valalla, sono appena passate le otto di sera e molti dei fan dello Scavatore sono ancora in viaggio, magari messi fuori strada da un biglietto che dava per headliner proprio la band di Chris Boltendahl e come inizio della serata le ore 20. Molti arrivano che la band è circa a metà esibizione, e il loro rammarico è ovviamente notevole.

Intanto lo show procede tra le buffe facce di Manni Schmidt, onestamente non in grande serata e colpevole di un paio di stonature notevoli, per esempio su Lionheart, e i pattern di Stefan Arnold, ottimo anche se influenzato (ogni tanto il drummer ricorre a qualche fazzoletto durante le pause tra un pezzo e l’altro). Shadowland, la splendida The Round Table, Raven (a rappresentare il platter dedicato a Poe) e Highland Tears ci guidano a un poker d’assi di classici che recita Morgane LeFay-The Dark of the Sun-Knights of the Cross-Rebellion, quartetto interrotto soltanto dalla trascurabile presenza di Silent Revolution, per la verità abbastanza anonima in sede live, complice la sua durata e la sua struttura terribilmente schematica. Sui cori di Rebellion la band saluta ma dopo pochi istanti è di nuovo sul palco preceduta dalle note di piano che aprono la strada a The Last Supper. Finale ovviamente dedicato alla grezza irruenza e grinta di Heavy Metal Breakdown, brano di gran classe partorito nel lontano 1984 e sempre capace di chiudere alla grande un concerto dei Grave Digger. Prestazione più  che positiva, con la voce al vetriolo del buon Chris al solito dominatrice del palco.

Setlist:
Liberty or Death
Scotland United
Grave in no Man’s Land
Excalibur
Valhalla
Lionheart
Shadowland
The Round Table
Raven
Highland Tears
Morgane LeFay
Silent Revolution
The Dark of the Sun
Knights of the cross
Rebellion
– – –
The Last Supper
Heavy Metal Breakdown

Therion

Un cambio di palco macchinoso e una scenografia di ben diversa natura preannuncia il grande divario attitudinale e musicale che si pone tra i Grave Digger e i Therion di oggi. La band di Stoccolma si presenta con una scenografia sfarzosa e la formazione dell’ultimo album al completo, vale a dire quattro voci (due maschili e due femminili) più i classici membri che da anni fanno parte della band.

Diversi lasciano il locale, per scelta musicale o per problemi di orario: la folla che segue i Therion è meno numerosa di quella dei Grave Digger e col passare del tempo i rinunciatari che guadagnano l’uscita aumentano. Un peccato, perché da fan di vecchia data dei Grave Digger non posso negare che, nonostante la band tedesca sia sta all’altezza della situazione e abbia dato vita a un ottimo show, i Therion siano stati più precisi e soprattutto siano anche sembrati più preparati.

Veniamo allo show nel dettaglio: i Therion portano in sede live l’apertura dell’ultimo Gothic Kabbalah, cioè Mitternacht Löwe e fin da subito emergono le grandi doti musicali e interpretative della formazione svedese: il brano risulta tale e quale la versione da studio, con passaggi perfetti e precisi, mentre Mats Levén mette in luce immediatamente un’ugola spettacolare. Da qui si comincia un viaggio simile a quello intrapreso dai Grave Digger, con le quattro voci che si alternano sul palco in maniera abbastanza coreografica a condurre brani più o meno recenti come Schwarzalbenheim (da Secrets of the Runes) e The Blood of Kingu (da Sirius B). I pezzi sfilano uno dopo l’altro e in un momento si è nuovamente al neonato Gothic Kabbalah con The Falling Stones, per poi volare qua e là per tutta la discografia post-1996. Ci sono due brani da Vovin (Rise of Sodom and Gomorrah e Wine of Aluqah) c’è Deggial e c’è ancora tempo per tornare al grande Secrets of the Runes con Muspelheim e Ginnungagap. La band continua a essere quasi impeccabile e soprattutto dimostra di aver preparato il tour in maniera molto professionale e scrupolosa. Il risultato è infatti ottimo sotto ogni punto di vista.

Nel finale arriva il momento atteso da tutti i nostalgici dei tempi addietro della band, ovvero il frangente in cui verrà rievocato Theli. Questa sera il rituale si compie con Grand Finale, che giunge a chiudere il set regolare, e la fantastica To Mega Therion, che invece si divide con Lemuria il primo encore. In chiusura arriva la cover di Thor the Powerhead dei Manowar, che francamente interrompe l’incantesimo tutto classe e interpretazione imbastito dai Therion: una band così, giunta a questo momento della carriera e su questi livelli non ha certo bisogno di nessuna cover. Un brano da Lepaca Kliffoth o Beyond Sanctorum sarebbe stata la sorpresa più bella, ma, francamente, forse sarebbe stato davvero chiedere troppo…

Setlist:
Mitternacht Löwe
Schwarzalbenheim
The Blood of Kingu
The Falling Stone
An Arrow from the Sun
Deggial
Wine of Aluqah
Son of the Sun
Son of the Staves of Time
Tuna
Muspelheim
Rise of Sodom and Gomorrah
Ginnungagap
Grand Finale
– – –
Lemuria
To Mega Therion
– – –
Thor the Powerhead

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini