Report “Tattoo The Planet” (17/10/2001)
Ecco a voi una breve cronaca del concerto multi-evento che si è tenuto al palavobis di Milano il 17 ottobre 2001. La manifestazione è stata un grande successo, grazie anche alla presenza di grandi band come Slayer, Cradle of Filth e Children of Bodom. In un afoso pomeriggio di metà ottobre si è svolto a Milano l’ultimo appuntamento del “Tattoo the Planet”, concerto itinerante che vanta firme di prim’ordine del panorama metal come Underbred, Necrodeath, Extrema, Moonspell, Children of Bodom, Cradle of Filth e Slayer. Ancora una volta la manifestazione si è svolta all’interno del Palavobis, struttura già conosciuta dai metallari italiani e nel quale si è svolto l’ultimo Gods of Metal. Fortunatamente, nonostante l’affluenza di gente fosse di poco inferiore alla nota manifestazione di giugno, lo svolgimento non si è altrettanto rivelato un carnaio. Il palazzo purtroppo è chiuso, e in condizioni climatiche caldo-umide si rivela una specie di trappola, in cui si raggiunge, specialmente durante l’estate, una temperatura da fornace, che ha causato durante il Gods of Metal diversi svenimenti. Per fortuna per il Tattoo the Planet non è successo, giacché la giornata era mediamente ventilata e il sole è calato decisamente prima, rendendo la manifestazione a pelle decisamente gradevole. E ancora una volta, l’organizzazione è stata impeccabile e non si sono registrati incidenti di sorta. Dall’apertura dei cancelli delle ore 15:00 è seguito un flusso di gente più o meno costante, che ha raggiunto il massimo apice al tramonto, momento in cui la platea e buona parte delle gradinate erano gremiti di una folla urlante.
Il primo gruppo ad aprire il massacro risponde al nome di UNDERBRED, band italiana nata nel 1996 e legata alle vecchie sonorità trash/metal tipiche dei vecchi Sepultura, ma con qualche spunto preso dal nuovo metal emergente della seconda metà degli anni 90. L’unico loro problema, ovviamente, è stato quello di essere il gruppo di apertura, con tutti i problemi che ne derivano: la gente è ancora assonnata, il palazzo fatica a riempirsi e in genere si affollano solamente i fans più accaniti. Ma questa è una gavetta che tutte le band hanno dovuto scontare, dagli Iron Maiden agli Slayer. Pare comunque sia che la loro performance sia stata d’impatto e abbia aperto degnamente la manifestazione: purtroppo non posso confermare visto che sono riuscito ad accedere all’auditorium quando il terreno aveva appena finito di tremare al termine della loro prova.
Dopo un quarto d’ora di attesa ecco intervenire i NECRODEATH, promettente band milanese con una storia alle spalle di tutto rispetto risalente al 1985. Ebbene Peso, Claudio e compagnia hanno veramente distrutto il palco con una performance da brivido… questi ragazzi sono sempre più maturi e il loro ritorno sul palco dopo tanti anni di stop non fa altro che rendere il metal italiano ancora più importante. Il successo che hanno avuto a Monza nel 2000 è stato certamente replicato qui, anche se purtroppo il fatto di suonare così presto ha in qualche modo mortificato la loro resa definitiva. Comunque sia, i brani tratti dal loro “Master of all Evil” hanno fatto tremare le pareti ed è stato davvero un piacere sentirli mentre la folla iniziava già a scaldarsi.
Usciti di scena i Necrodeath è iniziata la parte più peculiare del concerto, con l’entrata sul palco degli EXTREMA. Personalmente non ho condiviso la loro presenza in questa manifestazione, perché da purista sono decisamente contrario ad alcune loro “scelte”, e chi li conosce sa esattamente di cosa sto parlando. Non è questo il luogo dove discuterne, ma intanto agli Extrema si può dare il pregio di aver contribuito a scaldare la folla. Grazie al loro intervento infatti è nato il primo pogo della giornata e la gente ha iniziato a scatenarsi e a sudare, e questo è sempre un buon segno. Il loro metal disordinato ha infatti unito le masse e dato la giusta carica, carica che in qualche modo è stata mantenuta in vita (in sospensione vitale, direi) dall’entrata nel palco dei Moonspell.
I MOONSPELL, notturna band portoghese reduce dal successo di “Darkness and Hope”, si sono presentati al pubblico di Milano nella loro classica veste black-atmosferica, con il cantante avvolto in una lunghissima tunica rossa con il palco tinto da una miriade di luci rosse. Tra urli e agonizzanti canti di ragazze, e le tastiere gothic di Wolfheart la band ha saputo sfruttare al meglio lo spazio dedicatogli, ed ha chiuso quella parentesi decisamente atipica, ma in qualche modo atmosferica, del concerto.
Dopo qualche minuto e qualche birra di attesa si sono fatti spazio i CHILDREN OF BODOM. La folla era già calda, e i ragazzetti prodigio finlandesi non hanno fatto troppa fatica ad incantare il pubblico con il loro stile assolutamente unico di metal melodico-decadente-classico-potente, con le loro canzoni urlate e i loro motivi ricchi di spunti musicali di ogni genere. “Incantare” infatti è la parola giusta, giacché il pubblico in questi 40 minuti è apparso quasi ipnotizzato, con una recettività abbastanza bassa e una voglia di pogo un po’ spenta, anche perché buona parte della gente si stava preparando al gran finale con i Cradle e gli Slayer, costantemente invocati, e in generale i fans dei Children of Bodom sono di età mediamente più giovane rispetto ai fans dei due gruppi sopra menzionati. Così, dopo una esibizione comunque soddisfacente, i Children ci abbandonano, e mentre la notte stende il proprio umido manto sull’Europa giungono i
CRADLE OF FILTH, ai quali evidentemente dobbiamo stare molto simpatici, vista la loro presenza costante nel nostro territorio. E l’accoglienza dei loro fans è sempre eccezionale. Infatti eccoli entrare, e la folla urla imperante il loro nome mentre incedono dipinti di bianco, dagli sguardi cupi, e iniziano a rovesciare sulla platea, ora ricca di arene di pogo selvaggio, tutto l’odio di “From the Cradle to Enslave” e “Cruelty and the Beast”. Ancora una volta il loro scenario è apocalittico e blasfemo, e al pubblico è piaciuto. Dani è ancora in forma perfetta, e il suo spettro vocale incute il solito terrore: chi riesce, come lui, a spaziare dal growling più cupo allo screaming più perforante in pochi istanti non può non essere accolto con grandezza, e certamente egli risponde in grandezza: a metà performance ecco avvicinarsi due splendide ragazze vestite di pelle aderente e lucente, con lunghe corna in testa e trampoli altissimi legati alle gambe. I loro movimenti disordinati, contorti e allucinanti creano un ambiente incredibile, intorno al quale il quintetto demoniaco si inginocchia e scuote la testa, mentre vengono inondati di scintille dalle due diavolesse in abiti sadomaso. Niente male come spettacolo, perché di spettacolo si tratta. Non solo esibizione musicale, ma anche creazione del contesto: una ennesima vittoria del gruppo black metal più chiacchierato del mondo.
Ma tutte le cose belle finiscono, ed ecco calcare il palco gli intramontabili SLAYER. Non c’è alcun bisogno di presentarli. Gli Slayer sono gli Slayer, stella di primissima grandezza, più che una band sono uno dei pochi appigli rimasti per chi vuole avere la certezza che quello che sta sentendo, o acquistando, è trash metal di accecante potenza e perfezione. Vengono accorti da un’ovazione, esattamente come accadde pochi mesi prima al Gods of Metal. Entrano, sicuri del loro potere sulla massa, e con Reign in Blood si scatena un putiferio, dalle gradinate scendono in massa i fans per pogare, scapellare e urlare ancora una volta quanto sia vitale il loro apporto per la scena metal mondiale. Kerry King e soci giungono dal grande successo del loro nuovo album, God Hates Us All, e continuano palleggiando con canzoni tratte da Diabolus in Musica, Divine Intervention e il monumentale Reign in Blood. Addirittura si cimentano in dediche in italiano, a volte confondendolo con lo spagnolo, ma va benissimo così. Quasi commovente la bandiera americana delicatamente poggiata sull’asta del microfono, che viene omaggiata da un applauso scrosciante dalla folla e da un tranquillo e sincero “Thank You” che ha sugellato la profonda simbiosi tra la band e il suo pubblico. L’esibizione degli Slayer ha certamente superato di diverse lunghezze quella del Gods of Metal, che li ha visti al contrario decisamente addormentati e poco propositivi. Questa volta hanno mostrato di cosa sono capaci di fare, e stavolta non c’è niente da dire, la loro performance è stata impeccabile e ha sancito il successo di questa manifestazione, sperando che diventi un appuntamento fisso per ogni anno. Chi sa, poi, perché si chiama “Tattoo the Planet”, ce lo venga a spiegare 🙂 .