Report: Tradate Iron Fest 2005
Dopo l’editoriale del nostro Aureo Direttore, che ha analizzato la maniefstazione nel suo complesso, ecco il report della mera componente musicale del Tradate Iron Fest 2005.
Buona lettura.
Mercoledì 1 giugno:
MERQURY BAND [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Non è affatto facile suonare i pezzi dei Queen, e ancora meno è farlo su un palco. I Merqury Band ci sono riusciti, proponendo una carrellata di capolavori tra Sheer Heart Attack e Innuendo, in maniera assai dignitosa e accattivante. Questa formazione ha a mio avviso tre incredibili punti di forza in Danny Conizzoli (al limite della perfezione), Ferdinando Altavilla (influenzato ma di grande voce e carisma) e Fabrizio Palermo (estremamente deaconiano) ma, davanti a fan sfegatati dei Queen come chi scrive, la band perde diversi punti quando i soli di May sono affidati al poco fedele Cristian Conizzoli, e quando Marco Ferranti si lascia prendere la mano dietro le pelli snaturando di non poco il groove dei pezzi della Regina. Tutto sommato, uno show più che riuscito.
Giovedi 2 giugno:
GUN FIRE [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Chiamati ad aprire in sostituzione degli Skylark (posso dire che il festival ci ha guadagnato e non poco? Ormai l’ho detto…) i Gun Fire si ritrovano con una mezzoretta di tempo in cui scaricare il loro heavy/speed puro ed energico, venti anni di militanza in una scena che non ha saputo mai ripagarli, e una volta di suonare che non può che fare onore a una band che sulla carta potrebbe pretendere ben altra posizione. Così si fa, ed èraccogliendo queste opportunità che spero la formazione marchigiana riuscirà a risalire la china, perchè i presupposti ci sono tutti.
WOTAN [Matteo Lavazza]
Avevo visto in azione gli epic metaller Wotan già in diverse occasioni, ma ero curioso di vedere come avrebbero reso di fronte a un pubblico così numeroso, non composto solo dai loro sostenitori e soprattutto su un palco delle dimensioni di quello del Tradate Iron Fest. Dopo la loro esibizione posso tranquillamente affermare che il gruppo ha superato brillantemente la prova, infatti, canzoni come la grande Lord of the Wind hanno saputo trascinare gli estimatori del metallo più epico, così come le uscite del cantante Vanni in elmo alato o con lo spadone. Sono assolutamente convinto che l’epic più puro abbia ancora molto da dire, e l’esibizione dei Wotan mi ha dato un ulteriore conferma di ciò.
ELVENKING [Gaetano Loffredo]
Scocca l’ora degli Elvenking, brillante folk-power metal band che si è calata puntuale sul palco di Tradate ed è apparsa quasi come a rappresentare la luna (inneggiata, celebrata e rimirata all’infinito nei testi dei loro album) che contrasta il sole spossante delle 17.20 di una rovente giornata di giugno.
Il ritorno di Damnagoras dietro al microfono non è altro che motivo di prestigio per il magico sestetto tricolore, ed è lo stesso frontman che si esalta visibilmente di fronte ad un pubblico sì poco numeroso, ma colorito e attentissimo, pronto a scrutare anche i minimi dettagli della performance.
I classici tratti da Heathenreel e da Wyrd ci sono tutti: si parte con le atmosfere celtiche di To Oak Woods Bestowed, passando per la veloce “skycladiana” Pathfinders e atterrando sulla fatata Pagan Purity. Il padrone dello show è, senza dubbio, lo Yamaha EV-204 electric violin di Elyghen che regala momenti emozionanti trasportando le menti dei presenti in una Tradate Medievale, all’interno di una festa alternata da canti e balli cadenzati e dalle sfuriate della chitarra elettrica di un Aydan in ottima forma. Peccato per qualche momento “vuoto” a causa dei soliti e prevedibili problemi al mixer, per il resto, una conferma importante in attesa del successore di Wyrd.
NODE [Alberto ‘ Hellbound’ Fittarelli]
Un’esibizione davvero sfortunata per la band lombarda, che sa darsi da fare con molta professionalità sul palco ma si è trovata spesso in condizioni disastrose per motivi indipendenti dalla sua volontà. In questo caso è l’impianto esterno del festival che decide di smettere di funzionare ad intervalli, lasciando il gruppo ad eseguire i pezzi senza che la gente li possa sentire! Peccato, l’abbattimento dopo la quarta volta diventa evidente e si perde così l’energia trasmessa da ottime canzoni come Das Kapital, title-track dell’ultimo album. Speriamo nella prossima, magari controllando le congiunzioni astrali prima del concerto.
NECRODEATH [Matteo Lavazza]
La band genovese fa parte di diritto della storia del metal estremo italiano, e vederli in azione sul palco è sempre un piacere. Anche in questa occasione Peso e soci hanno scaricato sull’audience tonnellate di violenza, che il pubblico ha sembrato gradire. La scaletta ha ripercorso un po’ tutte le fasi della carriera del gruppo, ma sono stati soprattutto i pezzi più datati quelli che hanno riscosso il maggior successo. Unico appunto che mi sento di muovere alla band sono le presentazioni dei brani da parte di Flegias, davvero troppo prolisso.
DOMINE [Paola Bonizzato]
Chiudono la serata di giovedì dedicata al metallo tricolore i Domine, che trascinano i fans sfegatati coi più avvincenti cavalli di battaglia del repertorio. Qualche problema tecnico anche per loro vede i suoni arrancare un po’, ma l’energia della band non si sprigiona solo con l’impianto alle loro spalle, bensì anche con la carica dei vari membri: primo tra tutti un impetuoso Morby che coinvolge il pubblico in cori da brivido (come non dimenticare la chiusura con Thunderstorm?). Da una parte degli artisti che hanno offerto uno show ricco e un repertorio vario, dall’altra dei metallari che sono usciti dai cancelli del Tradate Iron Fest con una grande soddisfazione. Non ce n’è per nessuno: i Domine si sono confermati come la band italiana più amata nel corso della manifestazione.
Venerdì 3 giugno:
WILD SIDE [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Sotto un sole martellante e massacrante salgono sul palco i Wild Side, quattro personaggi fautori di un hard rock molto ottantiano, semplice e tirato. Guidati dalla chitarra solista e dalla voce dell’ottimo Rich Newport (molto Zakk Wylde in tutto) , la band si affida a un paio di capolavori hard-rock come Riff Raff, Dirty Deeds Done Dirt Cheap e Tie Your Mother Down (Ac/Dc e Queen per i blasfemi), e il gioco è fatto.
FIRE TRAILS [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Deluso, non posso nasconderlo. Da Pino Scotto e soci era lecito attendersi qualcosa di più, e invece sul palco si è vista con una band che non ha saputo sprigionare energia nonostante la buona presenza scenica. I peggiori della giornata.
PINK CREAM 69 [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Troppo poco street per travolgere, troppo poco glam per accattivare, troppo poco hard rock per guadagnarsi le simpatie dei nostalgici del genere, la band non è riuscita a imporsi sul pubblico di Tradate. Peccato, perché lo show e la loro proposta musicale hanno messo in mostra una band di buon livello, sicuramente degna del posto che occupava in bill, e sicuramente degna di un’accoglienza più calda.
AXEL RUDI PELL [Matteo Lavazza]
A mio parere l’esibizione del chitarrista tedesco è stata in assoluto una delle migliori di tutto il festival. Tecnicamente il gruppo si è attestato a livelli stratosferici, con Pell incredibilmente fluido e preciso alla chitarra, Terrana tellurico come al solito dietro alla batteria, Gioeli stupefacente alla voce. Il gruppo ha saputo dosare intelligentemente potenza ed atmosfera, infatti se canzoni come Fool Fool hanno trascinato la gente con la loro carica, l’intermezzo acustico è riuscito a commuovere, soprattutto grazie ad una Ocean of Time davvero da brividi.
L’esibizione del Tradate Iron Fest ha fatto capire a molte persone quale grande peccato sia stato commesso dai promoter italiani che, mai, avevano portato prima d’ora la band in Italia. Un gruppo che ha saputo coinvolgere ed emozionare la maggior parte di presenti, peccato solo che non fossero gli headliner di questa giornata…
GOTTHARD [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Headliner della serata hard rock sono gli svizzeri Gotthard. La loro esibizione di hard rock semplice e divertente ha colpito nel segno, anche se il loro lato “romantico” troppo prolisso ha finito con lo spezzare il ritmo piuttosto che concedere qualche minuto di respiro tra un brano veloce e l’altro. Nonostante un concerto ottimo, l’impressione è che la band non sia pronta a fare da headliner in un festival, sia a livello di pezzi di repertorio che di gestione di un tempo così ampio. Sicuramente il dover dare il meglio in tempo più breve avrebbe giovato alla costanza dello show.
Sabato 4 giugno:
BATTLE RAM [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Pollice in alto anche per la creatura epica di Gianluca Silvi, act italiano che ha solcato i palchi del Tradate nei due giorni conclusivi (quelli con i grandi nomi, insomma). La loro proposta compatta e decisa riesce a richiamare sotto un sole cocente e la polvere soffocante una discreta presenza di pubblico, il quale assisterà a una prestazione degna di dare il via ai giorni principali della manifestazione. Un nome che, se già si trova in posizione dominante nel panorama culto dell’epic metal, col tempo ne uscirà per arrivare a occupare un posto di rilievo nella scena italica.
VICIOUS RUMORS [Matteo Lavazza]
Rivedere ancora una volta i Vicious Rumors su un palco italiano è stato per me un grande piacere. Piacere ancora più grande visto l’ottimo livello dello show proposto, con in scaletta alcuni dei loro classici, come le grandiose Don’t Wait for Me e Down to the Temple. Geoff Thorpe è stato il solito fantastico motore ritmico, bene accompagnato da un Larry Howe alla batteria per cui sembra che il tempo non passi mai. Anche il brano tratto dall’ultimo disco, di cui colpevolmente non ricordo il titolo, mi ha decisamente colpito. Spero che loro esibizione possa aver incuriosito qualcuno riguardo alla loro musica, vista la storia, e le traversie, che i Vicious Rumors hanno alle spalle meriterebbero davvero molta più considerazione da parte di tutti.
SENTENCED [Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli]
Che dire? L’ultima esibizione di una band storica in terra italiana si perde nell’esecuzione di un pugno di pezzi vecchi, appena appena implementati dall’intro strumentale arrivata direttamente dal loro periodo death metal (preistoria, ormai) e tante, troppe canzoni nuove (e insignificanti). Una performance non esageratamente scadente, certo, ma nemmeno il degno saluto ad un gruppo così influente per il metal da anni… il solito accento sull’alcolismo da depressione, un Mika Tenkula irriconoscibile per forma fisica, postura e incisività strumentale, insomma: è Ville Lahiala a farsi carico di tutto, ma non basta per chi voleva ascoltare il meglio della loro carriera. Un’occasione, l’ultima, andata persa.
RAGE [Matteo Lavazza]
È strano come ci siano dei gruppi che raggiungono il successo solo dopo anni e anni di concerti e sudore. Di certo, quando questo successo arriva, i risultati sono però eclatanti. Come suggeritomi da qualcuno durante la loro esibizione, i Rage stanno diventando per i loro fans uqello che gli Slayer sono per i thrasher più incalliti. È stato infatti davvero sorprendente vedere con quale devozione e con quale carica la gente ha seguito l’esibizione del gruppo, che dal canto suo ha sciorinato la solita prestazione maiuscola.
Da Don’t Fear the Winter in poi l’esaltazione del pubblico è stata totale e assoluta, anche perchè quando un gruppo può permettersi di scaricare sulla gente canzoni del calibro di Going Down, Great Old Ones, Black in Mind, Solitary Man oppure War of Worlds, è quasi impossibile non risultare convincenti. Una nota di merito va a Peavy, che ha suonato alla grande nonostante l’incidente occorsogli poco prima del festival, e testimoniato da una lunga cicatrice sul braccio, mentre l’ unica piccola pecca sta nel fatto che la scaletta proposta sia stata praticamente la stessa, in scala ridotta, dell’ultimo tour, ma come ho detto prima quando il livello musicale è così alto, direi che questo non sia un grosso problema.
JON OLIVA’S PAIN [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Si può ingrassare a dismisura, si può perdere parte della voce, si può essere perseguitati da una scomparsa dopo l’altra… ma il carisma e la Classe (con la C maiuscola) di un uomo come Jon Oliva non svaniscono nel nulla. Simpatico e travolgente, il Mountain King ha riversato tutto il suo genio artistico in 95 minuti da brividi, con una miscela di splendidi pezzi del suo nuovo progetto come The Dark e All the Time (senza dubbio tra i migliori del nuovo Tage Mahal) e i capolavori intramontabili dei Savatage dell’era Criss. Gutter Ballet, Jesus Saves, Tonight He Grins Again, City Beneath the Surface, Ghost in the Ruins, Hounds, Believe, Sirens, Power of The Night… fino all’immortale Hall of the Mountain King che ha chiuso lo show. Una band decisamente all’altezza, affiatata e precisa, è la ciliegina finale di un concerto emotivamente e musicalmente spettacolare.
Con il dito puntato al cielo verso il buon Criss, il cuore a mille, e gli occhi lucidi per l’emozione, ti diciamo “Bentornato, Jon”.
SAXON [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Ritengo i Saxon una delle migliori band live del metal, ma negli ultimi tempi (per esempio lo scorso Wacken) mi trovo a non condividere una prima parte di show non sempre ai livelli che ci si attenderebbe da una formazione e da un nome del genere. Qui a Tradate l’apertura è affidata a Lionheart, pezzo che, se comparato alle vecchie opener Heavy Metal Thunder e Motorcycle Man (brani che giungeranno più avanti nella setlist), non riesce nemmeno a reggere lontanamente il paragone. Dopo però succede qualcosa: in una sequenza ininterrotta arrivano le devastanti Crusader, Princess of the Night, And The Band Plays On, Wheel of Steel, Denim & Leather e compagnia a mietere vittime e a far dimenticare una prima parte di show non troppo travolgente, alla quale segue una seconda metà di concerto degna del monicker Saxon.
Domenica 5 giugno:
EXCITER [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Attesi per lungo tempo in terre italiche, gli Exciter salgono sul palco del Tradate Iron Fest con una carica impressionante e inanellano una sequenza di vecchie glorie che scatenano un headbanging furioso. I picchi sono ovviamente Violence & Force e l’inno Heavy Metal Maniac, ma tutto lo show dei speed-metallers canadesi è di altissimo livello, tanto da richiamare sotto il palco, nonostante l’orario e il caldo devastante, buona parte dei presenti. Tanto di cappello anche alla simpatia e alla disponibilità di tutta la band, che non si è tirata indietro davanti alle richieste dei fan e ha anche deciso di gustarsi il finale dei Candlemass e Ronnie James Dio in compagnia della redazione di TrueMetal…
ANVIL [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Come nel migliore dei sogni di ogni amante dello speed grezzo e selvaggio, dopo gli Exciter il Tradate Iron Fest accoglie sul palco un’altra istituzione canadese di inizio anni ’80: gli Anvil. La band pare però subito in difficoltà a ripetere i livelli dei connazionali, e così, nonostante un buono show notevolmente farcito di pezzi dal periodo 81-87, l’esibizione di Lips e soci si trova parzialmente offuscata dalla carica spettacolare degli Exciter. Ottawa batte Toronto 2-0
ONKEL TOM ANGELRIPPER [Matteo Lavazza]
Il concerto dello Zio di ogni buon metallaro era un po’ un incognita, vuoi per la lingua, vuoi per il fatto che i suoi dischi dalle nostre parti non sono molto conosciuti. Alla fine però un po’ tutti si sono divertiti durante il suo show, ed era quasi impossibile non farlo. Tra gente invitata sul palco a fare casino con lui, errori tecnici mostruosi (forse è meglio dire che ogni tanto qualcuno del gruppo andava a tempo con l’altro) e un Fenrir che sul palco ha dimostrato di essere uno degli uomini più scoordinati del pianeta, il buon Tom e il suo gruppo hanno confezionato un concerto all’insegna del buonumore, del divertimento, e soprattutto della birra! E chi se ne frega se nessuno capiva quello che il frontman dei Sodom andava dicendo, e forse nemmeno quello che la band suonava, ogni tanto uno show del genere fa solo bene alla salute! E ricordate, che alle Hawaai non c’è birra, quindi BIER HER!
DESTRUCTION [Alessandro ‘ Zac’ Zaccarini]
Curse the Gods, Nailed to the Cross, Mad Butcher, Thrash Til Death: già dalle primissime devastanti battute, il trittico tedesco è il solito devoto e impeccabile servitore del thrash metal serrato e violento quanto fenomenale. A una partenza a dir poco esaltante, basta affiancare un paio di vecchi pezzi, aggiungere qualcosa dall’ultimo Metal Discharge (nel caso, la title-track) e un’altro paio di vecchie glorie come Life Without Sense e Eternal Ban per avere, come al solito, la teutonica macchina da assalto che abbiamo imparato ad amare con gli anni. Grandissimi, come sempre.
DISSECTION [Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli]
Ma non è che qualcuno l’ha giurata ai gruppi estremi, durante il Tradate Iron Fest? Dopo i problemi tecnici avuti da Necrodeath e Node il 2 giugno (ma non solo da loro, va detto) sembrava che tutto fosse stato risolto… peccato che la linea della chitarra di Jon smetta di funzionare da subito, lasciando il frontman solo col microfono e la base musicale fornita dai suoi compagni. Una sfortuna tremenda, dato che il combo pare perfettamente in grado di fornire una prestazione maiuscola. Ma tanto di cappello alla band, ed in primis al cantante, che ha continuato la sua prestazione senza abbattersi e gratificando comunque i numerosi ragazzi accorsi sotto al palco per ammirarli per la prima volta in un festival italiano. Sentire pezzi come The Somberlain eseguiti dal loro compositore non è da tutti i giorni, in ogni caso…
CANDLEMASS [Alessandro ‘ Zac’ Zaccarini]
Il cielo, quasi ad assecondare l’evento, si oscura in un tramonto cupo e tetro, accogliendo per la prima volta in Italia i Candlemass. Da Black Dwarf e Mirror Mirror, a cui è affidata l’apertura dello show, Messiah Marcolin e compagni danno vita a un concerto fantastico, incentrato su alcuni pezzi nuovi e sui classici di Nightfall e dintorni. Un’esibizione di un’intensità immensa, condotta dall’enorme carisma e dalla grande presenza scenica del frontman, capace di tenere in mano il pubblico di Tardate con un inaspettato vasto repertorio di frasi in italiano, per poi donarlo in pasto a una prestazione globale eccelsa, che ha forse in Solitude l’apice assoluto. Un pezzo di storia, uno show da ricordare.
RONNIE JAMES DIO [Alessandro ‘Zac’ Zaccarini]
Sessantaquattro (!) anni e non sentirli. Una voce superba, maestosa, che ancora una volta viaggia divinamente su capolavori di band trascendentali come Black Sabbath, Rainbow e Dio. Il folletto americano mette in mostra tutta la sua enorme classe e la sua ugola unica su pezzi come Holy Diver, Don’t Talk to Stangers, Heaven and Hell, Long Live Rock’n’Roll, Stargazer, We Rock, The Last In Line e Rainbow in the Dark. La dedizione che corre tra un cospicuo pezzo di storia del Rock e il suo pubblico, incantato dalle magie di una voce al di là di ogni possibile comprensione, è di gran lunga più forte del violento temporale che accompagna buona parte dell’esibizione. Senza rivali.