Report: True Metal Fest Act II (23-11-08, Bologna)
Parole di Angelo D’Acunto e Federico Mahmoud
Foto di Angelo D’Acunto
Sono passati circa sette mesi dalla prima edizione – era il 13
aprile – e il TrueMetal Fest, prestigiosa kermesse organizzata da BolognaRockCity e
orgogliosamente patrocinata dalla nostra webzine, concede il bis con
un’invitante selezione di band del territorio. Non poteva d’altronde mancare l’headliner
di caratura internazionale: dopo la fortunata apparizione dei Tygers of Pan Tang
(di ritorno il prossimo 9 gennaio), è il turno dei redivivi Tokyo Blade,
capitanati dal veterano Andy Boulton. Una presenza ingombrante, che tuttavia ha
dovuto sudare le fatidiche sette camicie per star dietro ai colleghi italiani;
il pubblico se n’è accorto, tanto che in parecchi a fine serata attribuiranno a
Bud Tribe e co. la palma di vincitori. A proposito di paganti: 10 euro per un
pacchetto del genere è un regalo di Natale con un mese d’anticipo; è un peccato
dover constatare, per l’ennesima volta, l’indifferenza con cui certo pubblico
snobba i prodotti del vivaio italiano. Nemmeno il fascino “esotico” di un
headliner straniero ha fatto il miracolo. Sarà per la prossima volta, sempre che
– perdonate la franchezza – i benefattori di turno non preferiscano dedicarsi a
impieghi più redditizi. Da parte nostra, come sempre, massimo supporto. Buona
lettura!
L’onere (e l’onore) di aprire il festival, suoni in via di definizione, un
pubblico che in buona parte è ancora in viaggio: sono handicap che non
spaventano i rampanti Assedium, intenzionati a strappare i primi applausi della
serata con una manciata di estratti dai due dischi pubblicati. L’opener,
Imperial Dream, è uno dei brani di punta dell’esordio Rise of the Warlords,
rilasciato nel 2006 via MyGraveyard: una galoppata irresistibile che fa il paio
con Primal Rage (dal secondo full-length, Fighting for the Flame), ispirata agli
Omen più corazzati. Nonostante alcuni problemi tecnici, la band fa fronte comune
e si produce in un’esibizione compatta, decisa, al solito comandata
dall’istrionico vocalist Luca “Fils” Cicero (rinomato cabarettista oltre che
grande screamer). L’incedere minaccioso di Ivanhoe – The Knight Errant (maestosa
la parte centrale) testimonia i passi da gigante compiuti con l’ultima fatica,
ma è il pathos di Romanitas a suscitare l’ovazione più sincera tra il pubblico.
Epic heavy metal tracotante, intriso di sudore e sangue. Una scaletta ridotta
all’osso non cancella i meriti di un gruppo che, numeri alla mano, alla
maturazione in studio ha fatto corrispondere un decisivo salto di qualità nelle
esibizioni dal vivo. Avanti così.
Federico Mahmoud
Nati nei gloriosi anni ’80, nei quali hanno pubblicato solo un
demo e un EP prima dello split-up, e tornati sulle scene nel 2001, i marchigiani
Gunfire hanno l’arduo compito di continuare a scaldare il freddo
ambiente del SottoTetto Sound Club dopo l’ottima esibizione degli Assedium.
Anche in questo caso l’affluenza del pubblico non è delle più numerose, né tanto
meno la partecipazione dei presenti è attivissima e i suoni, vera e
propria croce per tutti i gruppi che si ritrovano fra i primi a salire sul
palco, non sono sicuramente ai massimi livelli; troppo alto il volume del basso a
discapito di suoni di chitarra altalenanti. Ma nonostante ciò i nostri tengono
duro e affrontano il palco con grinta ed entusiasmo, cercando in tutti modi di
far smuovere tutti presenti richiamandoli più volte a spostarsi verso le prime
file. La setlist della serata attinge dall’esiguo repertorio a disposizione del
gruppo di Ancona e i pezzi sono eseguiti nel migliore dei modi, grazie
sopratutto alle ottime qualità vocali del singer Roberto Borrelli, i cui
acuti lasciano a bocca aperta più d’uno dei pochi presenti per l’occasione.
Insomma, prova più che buona ma penalizzata da suoni di medio livello
qualitativo.
Angelo D’Acunto
Spalleggiati dal pubblico casalingo, i Tarchon Fist di Lucio Tattini
(vecchia gloria dell’HM felsineo) sono protagonisti di uno show intenso
e coinvolgente, che saccheggia il debutto omonimo e non risparmia sorprese. Apre
le ostilità Eyes of Wolf, cavallo di battaglia del quintetto e autentica hit
dell’esordio pubblicato su MyGraveyard: riff ispirati e pregevoli linee
melodiche sono i punti di forza di un brano avvincente, perfetto nelle vesti di
opener. L’interazione costante con le prime file è la chiave del successo di
Metal Detector e We Are The Legion, episodi improntati a una coralità che non
lascia indifferenti. Fatta eccezione per Sange (voce), a tratti sotto tono
rispetto all’eccellenza delle precedenti uscite, tutta la band è in forma e
decisamente motivata a onorare l’invito; da segnalare, tra gli altri,
l’essenziale contributo di Animal, uno che non ama carezzare la batteria. Tra un
inedito e un pezzo rodato (la gagliarda Ancient Sign of the Pirates) il gruppo
trova il tempo per qualche scorribanda tra gli astanti e, quasi a rivendicare le
proprie radici musicali, estrae dal cilindro un’incendiaria versione del
classico Princess of the Night. Pugni alzati in tutto il locale. A coronamento
di un’esibizione applaudita spuntano due capisaldi del repertorio Rain,
formazione storica della scena tricolore di cui Tattini è stato fondatore e
leader: Headshalker – un titolo, un programma – e la battagliera
Born to Kill,
anticipata dalla più “fresca” It’s My World. Tonici e affiatati, i sempre più
lanciati Tarchon Fist mettono a segno l’ennesimo colpo di una stagione vissuta
da protagonisti. In attesa del nuovo album, di prossima pubblicazione, non
perdeteli nelle date di dicembre / gennaio 2009.
Federico Mahmoud
Dopo i bolognesi Tarchon Fist, salgono sul palco i Bud
Tribe di Daniele ‘Bud’ Ancillotti. Il gruppo capitanato dal frontman
della Strana Officina, chiamato in extremis a sostituire i Sabotage,
è riuscito a mettere in atto uno show assolutamente devastante, grintoso e
coinvolgente, capace addirittura di far passare in secondo piano quella che sarà
l’esibizione degli headliner Tokyo Blade. La partenza è affidata alla
coppia Star Rider/Face The Devil, combo d’attacco che comincia già
da subito a movimentare la situazione appena sotto il palco. Buoni i suoni e
ancora meglio la prestazione della band: la sezione ritmica composta
dall’accoppiata Caroli/Ancillotti (Sandro, fratello di Daniele)
precisa in ogni intervento e sempre pronta a sostenere i riff rocciosi che
fuoriescono dalla chitarra del funambolico Leo Milani. Ma a dirigere le
danze c’è sempre lui, Bud, sulle scene da trent’anni e ancora presente
sui palchi grazie sopratutto alla passione e alla voglia di continuare a
divertirsi. Anche il pubblico presente (ahimè non così numeroso come ci si
aspettava) appare coinvolto in pieno con l’atmosfera ricreatasi
all’interno del locale. In scaletta c’è anche posto per due immancabili classici
della Strana Officina: la stupenda Non Sei Normale, cantata
a squarciagola da tutti i presenti, e la possente Metal Brigade
(preceduta dalla coinvolgente Rock ‘n’ Roll Tribe) capace di
innescare un pogo scatenato fra le prime file e che mette fine ad una esibizione
impeccabile e coinvolgente.
Angelo D’Acunto
Il richiamo della Storia è irresistibile. A Bologna il via vai
di giganti hard n’ heavy non si ferma e così, dopo aver ospitato connazionali (Tygers
of Pan Tang, di ritorno nel 2009) e colleghi d’oltreoceano, il SottoTetto
spalanca le porte a un’altra leggenda britannica: Tokyo Blade. Dei campioni che
incisero, nella prima metà degli anni ’80, il fantastico Night of the Blade è
rimasto il solo fondatore Andy Boulton, visibilmente sovrappeso ma tuttora
funambolo della chitarra. Intorno a lui una band di nuova generazione, con gli
Overloaded Chris Gillen (voce) e Frank Saparti (basso), l’ex-Arrest
Bryan
Holland alla seconda chitarra e il batterista Lorenzo Gonzales. Lo show è un
prevedibile tributo al già citato masterpiece della band, ma non mancano accenni
al resto della produzione e antipasti (Rip It Up) in vista di un comeback atteso
dieci anni. L’incedere maestoso di Love Struck è il motivo inaugurale di un
concerto che, nonostante l’iniziale freddezza del gruppo (probabilmente colpito
dalla scarsa affluenza), procede senza intoppi e regala sprazzi di grande heavy
metal. Il merito è ovviamente di un repertorio che spara a raffica brani del
calibro di Someone To Love, Lightning Strikes (Straight to the Heart),
Blackhearts and Jaded Spades o la poderosa Death On Main Street. Pur difettando
di presenza scenica, Chris Gillen è un vocalist capace e discretamente
versatile, come testimonia l’accalorata interpretazione del classico Long Live
Rock & Roll (Rainbow); supportata da una sezione ritmica puntuale, la coppia
Boulton-Holland forgia il rifferama incandescente che fa di pezzi quali
Attack
Attack autentici must. In chiusura l’uno-due mortale: If Heaven Is Hell (NWOBHM
ai massimi livelli) e il manifesto Night of the Blade; “night of the blade /
there’s no escape / night of the blade / run for your life” canta a squarciagola
il pubblico, risvegliato da cotanto fragore metallico. Il degno commiato di una
band che, nonostante gli anni sul groppone e una formazione pesantemente
rimaneggiata, si accinge a riconquistare il terreno perduto. Non sarà facile: la
concorrenza (inclusi i “rivali” italiani) è spietata, ma il Samurai di Salisbury
è pronto a mietere nuove vittime.
Federico Mahmoud