Report Uriah Heep 18/12/2004 – Pratteln

Di Redazione - 23 Dicembre 2004 - 23:39
Report Uriah Heep 18/12/2004 – Pratteln

Non ci sono mai abbastanza parole da spendere riguardo un concerto di qualche vecchia leva del Rock anni ’70, poiché vale sempre la pena assistere alle performance live di band che hanno segnato un’epoca. E’ giunto il momento di chiudere l’anno corrente, dopo diverse “scorpacciate” concertistiche italiane ed europee, con un’intensa missione a Pratteln (Svizzera) per godersi l’ultima data del tour europeo degli Uriah Heep.
Fotografia e reportage a cura di Alessio “AlexTheProgMan” Battaglia.

I milanesi sono sempre stati “privilegiati”, dal punto di vista della distanza, da quel leggendario Z7, locale che settimanalmente ospita band di fama mondiale, di cui molti mai visti nel nostro Paese, e venerato dai cultori delle trasferte, ragione lampante che spinge me ed altri amici a percorrere, purtroppo in modo abbastanza faticoso causa maltempo, nove ore di strada (tra andata e ritorno) in automobile per l’atteso concerto.

Dal momento che la mobilità non è mai stato un problema per il sottoscritto, si parte puntuali come orologi svizzeri (guarda caso) alle 9.00 di sabato mattina, assieme ad altri due amici. Dopo un salasso di 28 euro per la vignette svizzera che consente il viaggio sulle autostrade, chiassosi e pieni di entusiasmo ci apprestiamo a raggiungere Pratteln.

All’arrivo ci siamo diretti direttamente allo Z7 per studiare la situazione. Dopo aver chiesto, senza la minima invadenza, informazioni riguardo la band e l’ora del soundcheck (previsto alle 17.30), ci allontaniamo per visitare la città e fare un minimo di spesa. Inutile dilungarsi in quanto Pratteln, tolto lo Z7, è una città del tutto anonima e senza vita.

Gli Uriah Heep giungono esattamente all’orario previsto, presentandomi a Box. Inutile sottolineare la grande cortesia ed altruismo da parte sua, dal momento che, senza andare troppo per le lunghe, ci fa accomodare tutti assieme all’interno del backstage per fare quattro chiacchiere allegramente e procedere con l’intervista concordata (e promessa) diversi mesi prima.

A fine intervista la direttrice dello Z7 mi consegna il pass aftershow dopo una piccola incomprensione, poiché non aveva capito quali fossero le nostre intenzioni; grazie a Mick Box tutto si è risolto per il meglio, poiché si ricordava bene della mia richiesta, tra l’altro accolta da lui stesso via mail.

Esattamente alle 20.30 viene annunciato il semisconosciuto gruppo di supporto Mace. Ho seguito i primi minuti del loro show con molto interesse, ma mi sono stufato immediatamente dopo poiché il trio è al limite dell’incapacità. Il batterista perde colpi, il bassista non riesce a stare a tempo e, per completare il tutto, il cantante/chitarrista sbaglia spesso e volentieri le scale. Motivo che mi ha spinto ad accomodarmi in disparte, in attesa dei mitici Uriah Heep.

Le luci si abbassano dopo il changeover del gruppo precedente e gli anglosassoni pescano “Blood red roses” da “Raging silence”, il primo disco con l’attuale formazione; è parecchio insolita come opener poiché, qualche ora prima, Box ha spiegato che non potevano proporre nuovamente la coppia “Return to fantasy” / “Universal Wheels”, quindi hanno preferito variare la scaletta di quest’ultima data per non risultare, giustamente, troppo ripetitivi. Ottimi presupposti anche con la magnifica “Rainbow Demon”, per la serie “l’autoindulgenza non fa per noi”. Il brano viene cantato molto bene da Bernie Shaw, senza scopiazzare mai troppo il compianto Byron, infatti l’esecuzione è particolarmente vitale anche nei brani a seguire.

Lo spettacolo, dal punto di vista visivo, è esemplare. Box dimostra a tutti di non essere un mostro di tecnica ma pieno di voglia di comunicare e di impressionare il suo beneamato pubblico e Shaw è un frontman davvero fortissimo; Bolder è invece il più placido rispetto a tutti gli altri, ma sempre caloroso e mai in disparte. Può sembrare retorica ma un buon spettacolo non deve per forza di cose essere messo in atto da mostri di tecnica inaudita: a volte basta il cuore e tanta voglia di divertirsi.


Inutile sottolineare tutte le highlights di questo show: tra le tante la rocciosa “Gypsy” presentata da Shaw; il guitar riffing di Box è devastante e i più scalmanati cominciano a saltellare impetuosamente nelle prime file con le braccia in aria. Non vanno assolutamente trascurate le più recenti “Between two worlds” e “Words in a distance” che, rispetto alle versioni da studio, trovano più grande interesse da parte del sottoscritto.

“If I had the time”, “Sunrise” e “July morning” sono le altre perle di questa superba scaletta che sembra procedere a gonfie vele, infatti nessuno ha osato fermarsi mezzo secondo. Il ruolo di Shaw continua ad essere fondamentale durante l’interazione del pubblico, specialmente quando esige i cori il più “loudest” possibile.

Il primo set volge al termine con l’indistruttibile “Look at yourself”, dall’omonimo album, la quale risulta ringiovanita di almeno 30 anni. Dopo pochissimi minuti riecco Kerslake dietro le pelli e gli altri quattro nascosti dietro le casse Marshall, pronti per il loro bis a base di “Easy Living” e
la sempiterna “Lady In Black”, con uno stupore generale. Questa sing-a-long pare essere interminabile, non a caso ce ne accorgiamo solo 10 minuti dopo la fine del brano.
La band si ritira nel backstage e purtroppo, a causa del volo di ritorno, non possono trattenersi ulteriormente.

Felici come una Pasqua ci prepariamo per il ritorno in patria con il sottoscritto visibilmente arzillo e pronto a rifare nuovamente quell’infernale percorso.
Un grazie di cuore a tutta la band per la gentilezza dimostrata e alle persone che hanno condiviso con me questa piacevole scampagnata.
Alessio “AlexTheProgMan” Battaglia