Report: Vengeance + Dust & Bones + Pump, Uster (CH), 7/03/2008

Di Marcello Catozzi - 13 Marzo 2008 - 15:49
Report: Vengeance + Dust & Bones + Pump, Uster (CH), 7/03/2008

Novara, 7 marzo 2008.
Parto di buon’ora, nella speranza di evitare le code autostradali. Ho appuntamento a Lainate con un drappello di fanatici (in questa circostanza, direi che il termine italiano rappresenti molto meglio il concetto, rispetto all’anglosassone “fan”) provenienti da Piacenza. Ci aspettano i Vengeance, nella confinante Svizzera, e il nostro desiderio di rivedere questa dirompente band dopo un anno e mezzo di attesa è davvero incontenibile.
Ore 10.00: il drappello metal si è definitivamente formato. Possiamo quindi saltare in auto e muovere subito alla volta di Zurigo, placando la nostra insaziabile fame di Rock con un po’ di buona musica sparata a manetta dallo stereo.
Nel pomeriggio facciamo il nostro ingresso a Zürich, dopo qualche imprevista (non proprio) deviazione di percorso dovuta: alle distrazioni del pilota, alla mancanza di un bel GPS e, forse, all’esagerato volume della musica; del resto, dobbiamo pure entrare in qualche modo nel clima del concerto! Attraversiamo la città con ulteriori difficoltà e ritardi, riuscendo poi a imboccare (anzi, imbroccare) l’autostrada in direzione Uster, dove avrà luogo l’evento. Ma per ora, nonostante gli inconvenienti, il tempo è con noi; sto cominciando, comunque, a rimpiangere seriamente il fatto di non aver portato il mio prezioso navigatore, fidandomi delle tranquillizzanti rassicurazioni della mia amica piacentina, secondo la quale non ci sarebbero stati problemi nel raggiungere il locale. Ah, tecnologia, quanto mi manchi…!
Come volevasi dimostrare, purtroppo perdiamo più di un’ora e mezza per trovare il Rock City, che, stando alle coordinate fornite dal sito, sarebbe risultato di facile individuazione; invece, nella realtà, tra indicazioni errate e ripetuti tragici errori di navigazione, la ricerca si è rivelata più ardua di una caccia al tesoro bendati; finalmente, dopo innumerevoli ed esasperanti giri concentrici passando negli stessi punti, scorgiamo l’insegna del locale, nascosta in mezzo a due capannoni della zona industriale, nel desolante grigiore del paesaggio di cemento: una sorta di padella grigia appesa a un muro grigio, peraltro occultata da un gigantesco furgone (bianco sporco, ovvero grigio). Completamente esausti, dopo 8 ore di peregrinazioni automobilistiche condite da giustificate imprecazioni (credo che il chilometraggio totale effettuato oggi ci avrebbe condotti oltre i confini della Lapponia), scendiamo per sgranchirci le gambe proprio mentre, dall’angusta scaletta che conduce all’entrata, esce Peter Bourbon, il quale ci dà un caloroso benvenuto, con l’inseparabile sigaretta fra le labbra. Dopo qualche minuto sopraggiunge anche il simpaticissimo Leon Gowie, che ci regala una gradita nota di colore, poiché indossa una sgargiante felpa di un azzurro intenso, con la scritta Italia sul petto. Successivamente s’ode una voce sgraziata: Itaaaliaaaaa!” è Jan Somers, come sempre molto cordiale e… ehm… “carico” (di sicuro non ha guidato lui fino a qui: avrebbe rischiato l’arresto); infine si unisce all’allegra brigata anche il manager, Mr. Eric Prins. Siamo invitati ad assistere al sound check, ma cortesemente decliniamo l’invito dandoci appuntamento a più tardi: infatti dobbiamo ancora avventurarci alla ricerca del nostro hotel e, considerata la nostra particolare attitudine all’orientamento, prevediamo ulteriori sofferenze, peggiori di quelle vissute da Teseo nel labirinto del Minotauro, visto che siamo sprovvisti dell’indispensabile filo di Arianna (ovvero il navigatore). Dopo un’ora abbondante di viaggio da Uster a Zurigo, la nostra tortuosa e sofferta rotta ci conduce all’albergo: c’è appena il tempo di sistemare le valigie e rimetterci di nuovo in auto per tornare a Uster, prima che ci dimentichiamo i punti di riferimento.

Alle 21.30 facciamo il nostro ingresso al Rock City, un caratteristico antro sotterraneo molto R’n’R style, popolato di rockettari e bikers che paiono scesi dalla macchina del tempo; provenienza: anni 80. Ci troviamo subito a nostro agio, a parte la spirale di fumo nella quale veniamo inesorabilmente avvolti, con grande gioia delle nostre vie respiratorie. L’ex Ministro Sirchia viene iscritto immediatamente nella mia lista dei rimpianti, insieme al mio Garmin.

Il palcoscenico è già allestito e pronto per scaricarci addosso qualche quintale di decibel. Ci attende l’appetitoso programma della serata:

– PUMP
– DUST AND BONES
– VENGEANCE

Sbircio nel backstage e riesco a intravedere i preparativi degli opener dell’evento, il quintetto metal dei teutonici Pump, originari di Ludwisburg. Salgono sul palco e danno il via allo show, con ritmo sostenuto e schitarrate violente e ben dosate. Il repertorio, fatto di brani tiratissimi alternati a piacevoli ballatone hard, attinge alla produzione quinquennale dei giovani ma talentuosi rockettari, che propongono la seguente set-list:

• Reckless
• Higher
• Couldn’t care less
• Allright now
• Revolution on my mind
• I can’t deny
• How does it feel?
• Wasted
• Dangerous

La formazione capitanata dall’ex Brainstorm Markus Jürgens si disimpegna alla grande, fornendo una prestazione di prim’ordine che scatena applausi spontanei a ogni pezzo. Solidità ed energia pura (grazie al duo formato dal picchiatore Andreas Minich e dal bassista Stephan Bürks), unitamente a uno stile in cui convivono metal, blues-rock e hard ‘n’ heavy (con le chitarre di Steff Bertolla e Aki Reissmann), costituiscono il marchio di fabbrica di questa graditissima sorpresa; le ispirazioni dei musicisti si rifanno chiaramente agli illustri modelli della Storia scritta da Whitesnake (cfr. Dangerous), Dokken (di cui, fra l’altro, i Pump sono stati supporter), Skid Row, ecc. Ciò premesso, mi sentirei di affermare che l’eredità del Rock and Roll è in buone mani, finché esisteranno gruppi come questo!

L’orologio segna le 23.00 quando i Pump lasciano l’onore della scena agli elvetici Dust and Bones, che stasera giocano in casa nella certezza di raccogliere i tre punti (parlando in gergo sportivo).
Il quartetto parte in quarta con il proprio masterpiece, “Dreams”, mettendo in mostra una buona intesa e coinvolgendo i fans nelle canzoni più note. La voce di Pascale, con bandana nera d’ispirazione piratesca, è calda e ben intonata; magari a qualcuno potrebbe sembrare avulsa dal contesto Metal ma, nei pezzi meno tirati e più soft, la vocalist dà il meglio di sé adattandosi al sound e al genere, e ricorda un po’ lo stile di Tony Harnell (a cui la stessa Pascale dichiara di ispirarsi). Un po’ Mötley Crue, un po’ Hardcore Superstar, il gruppo ricalca il noto cliché del glam rock, mettendo in pista una prestazione più che dignitosa che entusiasma il pubblico. Da sottolineare la prorompente presenza scenica di Fönzu, il bassista emulo di Nikki Sixx che, a un certo punto, salta giù in mezzo alla gente scuotendo la folta chioma in preda a trance agonistica.

La scaletta dei brani proposti è la seguente:

• Dreams
• Un and down
• Let us go together
• Sunshine
• I don’t need your lies
• Why you break my heart?
• Celebrate Sundays
• Life begins
• I got a new car

I Dust and Bones raccolgono il meritato applauso di congedo e si congedano, lasciando spazio (quel poco a disposizione) allo stage manager dei Vengeance (65 e non li dimostra), che con gesti calibrati si adopera per allestire le apparecchiature degli headliner della serata. Noi ripariamo alla svelta nella zona bagni, l’unica dove l’aria pare più ricca di ossigeno e ci consente, quindi, di boccheggiare per qualche minuto come povere cernie.
Intanto, nel backstage, accanto alla professionalità di Hans (che con le bacchette procede al suo scrupoloso riscaldamento), di Peter e Barend (anch’essi dediti a un serio warm-up), convive l’aspetto goliardico di quei due ragazzacci terribili che rispondono ai nomi di Leon Gowie e Jan Somers. Il primo ci offre continuamente lattine di birra, chiedendo il nostro aiuto in quanto imprigionato dalla cerniera della sua felpa azzurra citata in precedenza. Il secondo si diverte a fare scherzi a ogni femmina malcapitata che ha la sventura di transitare nel suo raggio d’azione. Irriducibili protagonisti anche off stage, non c’è che dire!
Dopo una doverosa iperventilazione, respirando le ultime boccate d’aria (quasi) pura, abbandoniamo la toilet-zone per avventurarci nello smog del front, pronti ad accogliere i nostri eroi:

– LEON GOEWIE             voice
– BAREND COURBOIS   bass
– PETER BOURBON        guitar
– JAN SOMERS               guitar
– HANS IN ‘T ZANDT    drums

Lo stage announcer presenta gli headliner, dando pure il benvenuto agli amici italiani (che onore!), dopo di che si dà il via alle danze con la dirompente “Down ‘n’ Out”. I suoni sono taglienti quanto basta per entrare dritti nello stomaco, e subito ci si lascia coinvolgere dal tiro infernale imposto dalla base ritmica di Barend e Hans, quest’ultimo in grande condizione fisica.

I due chitarristi, l’uno (Peter) in camiciona rossa a quadri scozzesi tipo “Coldiretti” e l’altro (Jan) in calzoni e stivali leopardati con tracolla in tema (il suo stilista dev’essere Cavalli), si passano la palla l’un l’altro, deliziando la platea con assoli grezzi e puliti, come insegna il Manuale del Rock (cfr. pag. 666). Niente pedaliere, niente effetti speciali: puro Rock and Roll, nudo e crudo. Un sano piacere per le orecchie e per lo spirito. Con la scintillante “She’s a woman” si continua nel segno della rocciosa compattezza, frutto di venticinque anni di esperienza. Leon domina la scena come elemento catalizzatore, grande istrione e totale padrone del palco, con i suoi ammiccamenti, le sue smorfie, ma soprattutto con la sua tipica voce un po’ graffiata che ti entra direttamente nella pelle, grintosa e acuta nei pezzi più tirati, quali “Rip it off”, dolce e modulata nelle canzoni più soft, quali “If loving you is wrong”, con un’intro molto suggestiva grazie alle note dell’Ovation nero lucido di Peter, inframmezzata dagli accordi volutamente ruvidi di Jan Somers. A riguardo di quest’ultimo va sottolineato che, ancora una volta, le nostre previsioni sulla lucidità che avrebbe palesato in concerto (avendolo visto, come al solito, barcollante fin dal pomeriggio), vengono fortunatamente disattese, giacché Jan si disimpegna alla grande, sempre puntuale e preciso, incisivo, creativo; addirittura, durante la title track “Back in the ring” è in grado di portare a termine con successo il suo lavoro, nonostante la rottura della quarta corda, all’inizio del brano, senza che l’assolo e la ritmica ne risentano minimamente.

Barend Courbois, dal canto suo, si esibisce in un bass-solo che definire esaltante sarebbe alquanto riduttivo. Sorretto da un drumming mozzafiato imposto da Hans, il bassista esalta la platea con una dimostrazione di tapping a tutto spiano, sparando una serie di scale vertiginose alternate ad accordi sincopati in un trionfo di velocità e tecnica, con il ritmo che cresce sempre di più in modo esponenziale, al punto che ci guardiamo esterrefatti e beati da tale performance! Semplicemente fantastici.
Ecco la set-list completa dello show:

• Down ‘n’ Out
• She’s the woman
• Dreamworld
• May Heaven strike me down
• Take it or leave it
• Take me to the limit
• If loving you is wrong
• R’n’R Man
• What the Hell
• Planet Zilch
• Rip it off
• Back in the ring
• R’n’R shower
• No mercy
• Arabia

Con enorme soddisfazione da parte nostra, abbiamo il piacere di ascoltare dal vivo alcuni pezzi storici, capaci di far saltare e cantare la gente e, soprattutto, di suscitare intense emozioni, come la scoppiettante “Rock and Roll shower”, in cui il generosissimo frontman, nonostante le imperfezioni a livello sonoro dell’impianto e il poco spazio a disposizione, non si risparmia e non si sottrae al rito della doccia utilizzando un bottiglione di Jack Daniels, nel segno della più rigorosa tradizione!

Simpatia e spontaneità sono fra i segreti di questa strepitosa band, forse poco conosciuta nel nostro Paese (ho deciso di mettere la maiuscola per un eccesso di bontà), ma degna rappresentante del più genuino Rock and Roll. A volte guardo questi musicisti e la sensazione che avverto è di essere fuori dal tempo, totalmente immerso nell’era gloriosa degli anni 80, con ingenti dosi di sano Hard Rock e puro Metallo nelle vene! Un’altra considerazione, secondo me importante, riguarda l’autentico piacere di suonare che manifesta ogni singolo componente e che, inevitabilmente, si estende al pubblico, coinvolgendolo in quella magica osmosi che solo la Musica di qualità riesce a creare: i cinque si divertono sinceramente a suonare insieme, e si vede!
Sotto il profilo tecnico, definire il genere dei Vengeance essenzialmente “hard rock” sarebbe un po’ riduttivo: agli albori della propria storia la band ha infatti proposto – specie con i primi album – un prodotto di stampo Metal, i cui influssi si possono chiaramente avvertire anche oggi. E’ il caso dell’epica “Arabia”, celeberrimo anthem caratterizzato da potenti riff conditi da toccanti melodie orientaleggianti, eseguita per ultima, a suggello di una prestazione magistrale di questi vecchi marpioni olandesi: Leon si presenta (anche qui nel rispetto della tradizione) vestito da califfo, con il turbante e le gigantesche babbucce, e alla fine della canzone si rovescia in testa il classico boccale di birra, nel tripudio generale.

L’entusiasmo è al massimo! Soddisfatti nonostante gli occhi che bruciano e qualche sintomo di asma bronchiale, tributiamo una strameritata ovazione ai nostri eroi: è stata davvero una grande serata per la gioia di chi ha avuto la fortuna di assistere al concerto di questa vera Rock and Roll band. E da vecchio rocker, con tanti anni di concerti alle spalle e tanti chilometri sul groppone, mi sento di affermare che valeva sicuramente la pena affrontare cotanta tribolata navigazione, per gioire di uno show di tale portata.
Lo consiglio quindi, di cuore, a tutti coloro che hanno ancora il Rock nelle vene! I Vengeance, per la cronaca, saranno in Italia (per la prima volta in assoluto) il 19 marzo al Mojito Club di Pontenure (PC), il 20 marzo alla Stazione Birra di Roma e il 22 marzo al Lucille di Verona.
Vengeance forever!

Marcello Catozzi