Report: Vengeance e Houston!, 8/11/2008, Mozzate (CO)
Alle 22.30 una discreta quantità di gente sta occupando il MotorockAs, il noto locale di fresca ristrutturazione, che, grazie all’impegno e alla passione di Ale, Zorro, Cristian e del resto dello staff, riesce sempre a proporre musica di prim’ordine.
Curiosità e attesa serpeggiano tra le file: sia per gli Houston!, giovani promesse che stanno facendo molto parlare di sé, sia per il ritorno degli olandesi Vengeance, vecchi marpioni che calcano le scene dagli anni 80 e che, da qualche tempo, si stanno facendo apprezzare anche qui, grazie alle loro ultime apparizioni in terra italica, con il loro classico e potente Hard Rock infarcito da influssi Metal.
Gli Houston! sono sul palco, pronti ad aprire la serata: questi ragazzi sono reduci da un tour in Olanda, e durante la calata dei Vengeance in Italia sono loro i supporter ufficiali. I giovani emiliani hanno appena pubblicato il loro primo disco, “Fast in Elegance”, che sta raccogliendo tanti riscontri positivi.
La formazione è la seguente:
– Nice J. Ryan vocals
– Gaby Faxintown bass
– Phil guitar
– Nello drums
Si attacca con uno dei cavalli di battaglia della band, ovvero la scoppiettante e orecchiabile SIX HOURS OF SEX IN CALCUTTA, cui fa seguito la trascinante WHEN THE COWBOY SAYS, che nello stile e nel sound ricorda i primi Mötley Crue.
Il ritmo si mantiene sostenuto con la vivace CONFIDENCE, poi il ritmo rallenta con la versatile ANOTHER DAY, eseguita da un Nice particolarmente ispirato. Da segnalare è anche l’impeccabile prestazione ai tamburi di Nello (al secolo: Giovanni Savinelli), provvisto di un bagaglio tecnico davvero non comune.
I suoni sono puliti e nitidi: merito di Alessandro Del Vecchio, che dimostra di trovarsi a suo agio tanto dietro un mixer quanto dietro alle sue tastiere!
Lo show procede con l’inedita e scatenata SICK SEX SIX, cui fa seguito la più pacata NIGHT FRAGILE, nella quale risiede – secondo il modesto parere di chi scrive – tutta l’essenza degli Houston!: grande tecnica, gusto sopraffino e indovinati arrangiamenti, frutto di contaminazioni di svariata provenienza (Glam, Hard Rock, AOR, Metal, ecc.). Risulta piuttosto difficile inquadrare questa band in un ambito ben definito, perché nelle sue canzoni convivono più generi diversi fra loro, il che disorienta chiunque sia istintivamente portato a etichettarla in un settore specifico. Il risultato finale, comunque, è ottimo, stando anche ai pareri raccolti in sala.
E’ il momento di presentare una new entry, ovvero la melodica ONE DAY (anteprima di quello che verrà, con il prossimo disco: si chiamerà “Mechanical Sunshine”), quindi si prosegue nel segno delle novità con le frizzanti TRUTH ABOUT ME e ANGHELL CLOWN e, infine, si chiude con un’esplosiva cover di Rob Zombie: DRAGULA.
Alla fine del concerto raccolgo una marea di commenti entusiastici (di differente estrazione: musicisti e gente comune), anche da parte di chi non aveva mai assistito a un’esibizione degli Houston!, segno che il prodotto si sta confermando valido e apprezzabile, non solo in Olanda (dove i rampanti piacentini stanno mietendo un discreto successo, grazie a frequenti passaggi in radio e al recente tour), ma anche dalle nostre parti.
Con la soddisfazione di aver preso parte a un bel momento di musica, ci si appresta ora a dare il bentornato ai gloriosi Vengeance, dopo circa un anno dall’ultima occasione.
Il mitico e simpaticissimo Hennie, con l’inseparabile basco sulla chioma incanutita dal tempo (65 primavere sul groppone lo candidano a conseguire il primato del roadie più “datato”: un caso da sottoporre al Guinness Record), sta ultimando di predisporre lo stage (un po’ bassino, in verità, a discapito della visuale dalle seconde file) per l’inizio dello spettacolo, mentre scende in pista il team dei Tulipani, pronto ad accendere i motori. La line-up appare rinnovata per 2/5:
– Leon Goewie vocals
– Barend Courbois bass
– Jan Somers guitar
– Timo Somers guitar
– Erik Stout drums
Si parte con un trittico capace di stendere un elefante: DOWN ‘N’ OUT, TAKE IT OR LEAVE IT e DREAMWORLD. L’impetuoso fiume di note entra subito nello stomaco, come un diretto di Tyson. La muraglia di suono investe i malcapitati che avevano guadagnato il front, facendoli retrocedere di qualche passo, non si sa se spaventati dal volume devastante oppure dalla grinta (in verità un pochino sopra le righe) del leader. Infatti Leon si presenta brandendo un gigantesco racchettone da tennis e una bottiglia di Jack Daniel’s (vuota: non è difficile indovinare che fine abbia fatto il suo contenuto), ostentando un look alquanto trasandato: cilindro nero da prestigiatore, gilet di pelle e improponibili calzoni maculati.
Irretito dal malfunzionamento di un diffusore, inizia a prendere a calci il povero monitor, invocando l’intervento dello sfortunato fonico (che sicuramente starà rimpiangendo i cari, lontani mulini a vento). Poi si mette a litigare furiosamente con l’asta del microfono (la stessa cosa era successa due giorni prima, a Piacenza: che le macchine stiano cominciando a ribellarsi alle sue continue angherie?); l’imbestialito Leon continua a cantare da par suo, ma – più che mai infastidito dai suddetti problemi alle spie – a un certo punto volta le spalle alla platea e scopre il suo nobile fondoschiena, scandalizzando in tal modo una parte del pubblico.
Sotto il profilo musicale, fortunatamente l’esibizione procede sui consueti livelli di consumata perizia, grazie alla robusta sezione ritmica di Barend ed Erik (sempre regolari e affidabili) e alla tecnica sopraffina della premiata Ditta Somers, piacevolmente incisiva e creativa.
Gli olandesi sciorinano un’entusiasmante serie di successi dei tempi che furono, quali TAKE ME TO THE LIMIT (dal titolo più che mai significativo, viste le circostanze), SHE IS THE WOMAN e POWER OF THE ROCK.
L’ira di Goewie non accenna a placarsi, nonostante lo zelante prodigarsi dei tecnici attorno ai monitor della discordia. Show must go on! Si continua con altre hit che coinvolgono gli ultras del front: ROCK AND ROLL MAN, MAY HEAVEN STRIKE ME DOWN, WHAT THE HELL e PLANET ZILCH.
A dispetto dell’atteggiamento imbizzarrito del frontman, il concerto prosegue senza che la qualità della musica ne risenta minimamente, in virtù dell’indiscussa professionalità di questi musicisti, i quali palesano le consuete doti tecniche e artistiche: grande compattezza e intesa, sound roccioso e ritmiche trascinanti.
A tal proposito, confesso che ero piuttosto curioso di verificare se i recenti avvicendamenti verificatisi in seno al gruppo avessero prodotto effetti collaterali.
In primo luogo, mi pare di poter affermare che l’avvento di Erik Stout (per la cronaca: anche drummer di Joe Stump) al posto di Hans In ‘t’ Zandt non abbia creato scompenso alcuno, sebbene quest’ultimo risultasse più tecnico rispetto a Erik nei passaggi, specialmente negli stacchi e nelle rullate; peraltro, questo biondone dal drumming essenziale e selvaggio (comunque sempre preciso come un metronomo) pare dotato di mano più pesante rispetto al suo predecessore: il che, nel contesto, non stona affatto, anzi si sposa alla perfezione con la tipologia di sound del gruppo.
In secondo luogo, l’entrata di Timo Somers sembra aver portato nella band non solo una ventata di gioventù, ma anche una sana iniezione di velocità e tecnica che, unitamente alla classe e alla freschezza messa in mostra da questo sorprendente figlio d’arte (si tenga presente che il talento in questione ha appena diciassette anni), rappresenta un notevole salto di qualità nell’economia generale. Fra l’altro, l’imberbe virtuoso pare molto più equilibrato rispetto all’illustre genitore: il che depone senz’altro a suo favore, in un’ottica di prosieguo della carriera!
Il treno prosegue nella sua folle corsa, rapido e sicuro, rabbioso e sbuffante, senza mai deragliare, alla faccia dei valori leggermente sballati del suo macchinista, offrendo ai fans ulteriori episodi densi di vigore: la tosta BAD BOY FOR LOVE, la fiammeggiante RIP IT OFF e l’immancabile ROCK AND ROLL SHOWER, durante la quale Leon si produce nel rito della doccia, con il classico boccale di birra rovesciato e tenuto in equilibrio (stasera più precario del solito) sulla bionda chioma. Chissà che, magari, la temperatura della bevanda non riesca nell’impresa di raffreddargli i bollenti spiriti..!
Con questo spettacolo nello spettacolo si chiude lo show, e il pubblico rimasto in sala tributa un meritato plauso a questa gloriosa band olandese, che, pur portando sul groppone 25 anni di scatenato Rock and Roll, non dà alcun segno di ossidazione ma, anzi, dimostra di non avere perso un solo grammo del suo smalto.
Dopo qualche minuto di riposo dietro le quinte, il vulcanico capo banda decide che non è ancora giunto il momento di calare il sipario e, pertanto, trascina i suoi nell’arena per eruttare un’ultima fiammata: ARABIA, mirabile perla del passato dalle reminescenze orientaleggianti, eseguita con immutata grinta e potenza. Lo stesso Goewie, nonostante quella sorta di alterazione alcolica fin qui evidenziata, è riuscito durante tutto il concerto a tirar fuori dal suo cilindro magico, mantenendone sempre alto il livello, la solita voce che spacca!
L’instancabile vocalist, grondante sudore e birra, stasera ha dato proprio tutto (e anche di più): si mette una mano sul cuore per ringraziarci, dicendo con enorme trasporto che questo show è tutto per noi e che ci ama. Incorreggibile… e comunque commovente!
E’ giunto davvero il momento del congedo, stavolta: negli sguardi di questi navigati animali da palcoscenico c’è tanta stanchezza, ma anche orgoglio e fierezza, oltre alla riconoscenza per avere vissuto insieme a noi un’altra bellissima serata di grande musica, al di là degli eccessi “leoneschi”. Qualcuno probabilmente non avrà gradito il suo atteggiamento, ritenendolo imbarazzante, irritante o, peggio ancora, offensivo, chissà… Per qualcun altro è stato soltanto simpatico e spontaneo nelle sue tipiche esternazioni, seppure un pochino più esagerate del solito.
Per un vecchio rockettaro dal grande cuore, in fondo, la verità come sempre sta nel mezzo: it’s only Rock and Roll… but I like it.
Marcello Catozzi