Report Wacken Open Air 2005
Puntuale come ogni anno, all’inizio di agosto prende il via la manifestazione più importante del metal europeo, la vera Mecca per ogni metallaro: Wacken Open Air. E anche quest’anno Truemetal ha spedito la propria delegazione – nelle persone di Zac e Fenrir – nel cuore fangoso del WOA 2005, pronta a riportare concerti, gossip e traumi degli oltre 30.000 partecipanti a questa sedicesima edizione, purtroppo non propriamente allegra dal punto di vista meteorologico.
Già, se il Wacken 2004 si era svolto sotto un sole rovente, senza nemmeno una nuvola in cielo, con massime che sfioravano i 33 gradi e l’ombra centellinata – una delle settimane più calde della storia del nord della Germania – quest’anno gli déi hanno voluto sfidare la pazienza dei “metalheadz” portando freddo, vento e pioggia a tratti alluvionale. La macchina organizzatrice di Wacken non si è trovata del tutto impreparata, anche se putroppo lo scalpitio continuo di migliaia e migliaia di persone ha reso impossibile l’agibilità di buona parte dell’area concerti, trasformata in un pantano di fango nero e viscoso che arrivava al polpaccio e si incollava alle scarpe e ai pantaloni come catrame. Per tutti e quattro i giorni ufficiali lunghe ore di pioggia battente si sono alternate a brevi schiarite, in particolare durante il tramonto, e buona parte dei concerti sono stati influenzati dagli eventi meteorologici. Più popolosi del previsto sono stati i concerti nelle aree coperte, come il wet stage (nome ironico, visto che è stato l’unico palco asciutto), mentre alcuni momenti come gli Obituary e i Within Temptation sono stati letteralmente martellati dal diluvio. Diluvio che ha portato una serie di effetti collaterali concatenati, ovvero fango nelle tende, impossibilità di trovare abiti asciutti dopo due giorni e difficoltà di aggregazione durante le ore notturne a causa del vento freddo e umido (notoriamente i metallari non si coprono molto). Per fortuna le zone del campeggio erano coperte da uno strato d’erba molto consistente, quindi si è evitato l'”effetto 2001″, quando le zone del campeggio più a valle sono state investite da piccoli fiumi di fango, ma è rimasto il fatto che nelle zone comuni era spesso impossibile il passaggio, specie quando dopo due o tre giorni iniziava a trasudare un odore di ammoniaca poco piacevole.
Nonostante tutto, il festival è stato un successo e si è presentato come palco di grandi emozioni, pieno di gente da ogni angolo d’Europa che ha creato la solita aggregazione festante multilingue nel segno del Metal, della birra e del cibo grasso.
GIOVEDI
Zac: Wacken 2005 si apre con i Tristania, ma a parte la bellezza della splendida Vibeke Stene, è con i Candlemass che la mia soglia d’attenzione si alza realmente. Tornati alla grande con l’album della reunion, dopo aver dato vita a uno show spettacolare al Tradate Iron Fest, complici i giochi atmosferici che gli dei del metal hanno concesso alla band svedese, i signori del doom metal approdano in quel di Wacken. Anche qui si parte con Black Dwarf, opener del nuovo disco, ma ben presto è palese che lo show non possa reggere il paragone con quello di un mesetto fa in terra italica. La scaletta è rimaneggiata (in peggio) e la band pare non sentirsi troppo a proprio agio sotto gli ultimi raggi del sole. Nonostante ciò però l’esibizione è comunque positiva, e positivo è il responso del pubblico che gradisce gli estratti di Epicus Doomicus Metallicus alla stregua di quelli del nuovo Candlemass.
Oomph!: eccola puntuale la ‘tedescata’ del giovedì. Se l’anno scorso, nel corso della serata hard-rock, non ci era andata malissimo con i Böhse Onkelz, quest’anno c’è da piangere. All’interno di una nottata tematica orientata verso il gothic-doom, fanno il loro ingresso in scena questi strani figuri, abbigliati a metà tra Star Wars e le gag futuristiche del mitico Drive In. Bastano pochi minuti per poter etichettare la band come “i Rammstein dei poveri”. Decisamente poveri, poiché dei Rammstein gli Oomph! si limitano a scopiazzare qua e là, senza aver una tenuta di palco o un bagaglio musicale lontanamente equiparabile. Monotoni e scontati, come una gloriosa nazione che ha fatto scuola nel metal riesca a sopportare gente simile, è un mistero…
Archiviati gli uomini grigi (no, Momo non c’entra) è il momento del fenomeno più commerciale (in senso neutro) del metal del nuovo millennio: i Nighwish. Una schiera infinita di fan dentro e fuori il metal, vendite da capogiro e un’immagine tra le più curate e sfruttate della scena. È dunque con tanta curiosità, dovuta anche alla luce delle voci che li davano in gran forma, che ci accingiamo a seguire lo show della band finnica. La partenza è tutta da dimenticare, con suoni impastati e la pluri-osannata Tarja (dovevate vedere che coda al meet&greet solo per lei) che non riesce a essere convincente. Anche i pezzi con qualche carta da giocare in sede live, come Wishmaster, risultano dannatamente noiosi. Ci scappano un paio di momenti in cui l’ugola della castana singer soffre fin troppo, e il break centrale in cui il microfono viene affidato a Marco Hietala è per lei una boccata di ossigeno indispensabile. Dal suo rientro sul palco le cose vanno decisamente meglio e si concretizzano in un encore che finalmente mostra una band degna di essere headliner, con la cover di Over The Hills And Far Away (landa già esplorata anche dai Thyrfing) che si pone come momento più alto di tutto lo show.
Fen: Insomma, non è stata una gran serata per i miei gusti personali, ma posso dire di aver apprezzato gli Oomph!, forse perché in un certo qual modo mi ricordavano la trascinante freschezza dei Bohse Onkelz, che l’anno scorso furono un fulmine a ciel sereno per me. Non li ho trovati i Rammstein dei poveri, anche perché suonano dal 1989 e gli stessi Rammstein dichiarano di essere stati influenzati dal loro sound (quindi casomai sono loro a copiarli) – lo show era al limite del vertiginoso, tra meccanica e suoni sintetici, ma chi conosce Wacken sa bene che tra le band all-deutsche non può non mancare un gruppo del genere. Canzoni semplici, utili per smuovere il torpore dell’umidità della giornata appena trascorsa. Come era lecito aspettarsi, i Nightwish hanno creato un capolavoro di show, anche se non rappresentano di certo il mio ideale di band, e Tarja Turunen ha tirato fuori una gran voce, anche se decisamente sottotono all’inizio, ma a seguito di un coinvolgente ‘come cover me’ le corde vocali le si sono riscaldate a sufficienza, mettendo in scena ciò che tutti attendevano e creando un’esperienza memorabile per i fans accaniti di una delle band più di successo degli ultimi anni.
Nightwish |
Accept |
Bloodbath |
Corvus Corax |
VENERDI
Zac: Se i fratelli hanno scritto la storia del rock, a Marky Ramone spetta il compito di onorare la memoria della band più importante e fondamentale del punk-rock. Via di classici dunque, e non poteva essere altrimenti, tra una Rock’n’Roll High School e una I Wanna Be Sedeated, fino a una acclamatissima Hey Oh, Let’s Go che chiude baracca e burattini. Praticamente una cover band, ma una cover band di quelle che hanno un nome che merita rispetto e che, da 30anni, è sinonimo di divertimento. Rock’n’roll!
Mi ritengo una persona di larghe vedute musicali, ma proprio non riesco a capire cosa ci possa essere di interessante nei Sonata Arctica. Forse una melodicità eccessiva che, unita all’immagine di questi bei ragazzoni, può fare breccia nel cuore di qualche adolescente… ma esaurito il sex appeal sulle 15enni ai primi ascolti cosa resta? Ripetitiva e uniforme, la proposta della band sembra ancorata irrimediabilmente a coordinate musicali sempre monocorde. Un grazie però ai Sonata Arctica va fatto, perché fuggendo dalla loro esibizione sono stato travolto dalla devastante proposta musicale dei giovani Sinners Bleed, che nel Wet stage stavano dando vita a una prova davvero notevole. Passando a ben altri feudi, praticamente agli antipodi della band finnica, è tempo dei Bloodbath. Ragionando a posteriori, lo show della band svedese a questo Wacken 2005 poteva essere un evento indimenticabile; è stato invece un buon concerto ma niente di più. Perché? Primo perché i suoni non erano all’altezza (forse la prima volta che succede in un main-stage di Wacken) e secondo perché il frontman (a sorpresa) Mikael Åkerfeldt pare essersi dimenticato di non essere a Wacken con gli Opeth, ma con una band aggressiva, violenta e che necessita una certa dose di continuità tra un pezzo e l’altro. Il suo siparietto death voice / high pitch / Dani Filth diverte le prime volte ma diventa presto un tormentone evitabile, anche perché i pezzi della setlist sono davvero ottimi e meriterebbero ben altra legatura e presentazione. Nell’ora a disposizione, i Bloodbath infilano tutto il primo Ep Breeding Death e condiscono con il meglio della loro produzione, tra una Bathe in Blood che arriva diretta da Resurrection Through Carnage e i pezzi dell’ultimo ottimo Nightmare Made Flesh, da cui vengono pescate gemme come Brave New Hell, Outnumbering the Day e una devastante Bastard Son of God. Monicker da annoverare invece tra le delusioni di questo Wacken 2005 è quello dei Metal Church. Mi attendevo uno show degno del loro nome e del loro passato, e invece la formazione americana è apparsa sufficiente sì, ma non oltre. Mi aspettavo uno spettacolo da ricordare e invece Badlands e compagnia non hanno graffiano come avevo in mente. Probabilmente mi aspettavo troppo, peccato.
È con grande rammarico che ho appreso la cancellazione dello show degli Hanoi Rocks, unico baluardo street/glam in tutto il bill wackeniano. Il loro posto viene ceduto ai Doomfoxx, gruppo street che esce dignitosamente dall’improvvisa promozione (dal Wet al Party Stage) con grinta e attitudine che se affiancati a una produzione di valore finiranno col portarli lontano. Passata questa piccola divagazione hard rock si torna al classic e al power metal con gli Edguy, e le cose vanno fortunatamente molto diversamente rispetto ai Sonata Arctica. Non sono un fan della band tedesca, ma la classe e il carisma di Tobias Sammet mi colpiscono sempre in maniera positiva. Il singer tiene il palco bene, anche se non in grande giornata canta dignitosamente, e soprattutto pare essere in piena sintonia con un pubblico che se ne frega della pioggia che comincia a martellare sul True Metal Stage. Scomparsi gli Helloween degni di questo nome, gli Edguy pare siano gli eredi naturali per portare lo stendardo del power metal disinvolto, spensierato e perché no, festaiolo. Happy metal!
Se vi dicessi che i Potentia Animi erano uno dei gruppi (se non “il gruppo”) che più attendevo in tutto il bill di Wacken? Mi prendereste per pazzo, lo so, ma questa formazione ha una classe e un’originalità davvero sorprendente. Band di assoluto culto, autrice di un folk (non metal!) tardo-medievale piuttosto ricercato e basato su alcuni theme secolari, i Potentia Animi hanno preso il meglio del loro unico disco Das Erste Gebet e l’hanno riadattato in sede live per una quarantina di minuti indimenticabili. La band sale vestita da vescovi, indossa le solite maschere e comincia la canzonatura del clero che la contraddistingue. Si parte con gli episodi corali per poi passare alle composizioni più vivaci e trascinanti. La gente si abbraccia, salta, festeggia, ride sulla geniale Gaudete, brano a cappella in ligua latina e dalle tinte decisamente blasfeme, e si esalta quando la band tira fuori una Thunderstruck tutta a modo suo e una citazione degli In Extremo: folk uber alles! Neanche a farlo apposta solo 5 minuti dopo la fine dello show dei Potentia Animi vanno di scena i Corvus Corax. I Corvus Corax non sono assolutamente un gruppo metal, anzi, negli ultimi tempi hanno sterzato verso lidi elettronici facendo storcere il naso ai fan delle prime ore e ai metalheads che li seguivano durante i primi anni della loro carriera. Eppure, il loro show tiene incollati migliaia di persone. Tra costumi medievali, cornamuse, orchestra, cori, una coreografia stupenda e suoni brillanti e precisi, la loro esibizione è senza dubbio una delle cose migliori di questo Wacken 2005. Diversi da tutto il resto (anche se favoriti da un bill che prevedeva tanti folkers presenti) i Corvus Corax hanno chiuso alla grande la prima giornata piena del WOA, tenendo con la testa all’insù una moltitudine di persone. Suggestivi.
In questa edizione 2005 il Party Stage era davvero di un livello altissimo, con chicche per i viking-folk metallers da leccarsi i baffi. Alle 2.15 le note di Victoriae & Triumphi Dominus accolgono sul palco i tre crociati che con i loro tamburi scandiscono l’incedere dell’intro marziale in un crescendo di tensione. I Turisas salgono sul palco vestiti di pelli e tuniche, le lame impattano sulle gole dei guerrieri cristiani e tutto l’impeto di As Torches Rise può rivoltarsi sul pubblico di Wacken. Mathias D.G. Nygård tiene il palco ottimamente e lo show procede con gli episodi migliori dell’unica creatura da studio della band. Da The Land Of Hope And Glory a One More, da Sahti-Waari a un Midnight Sunrise uscita davvero in maniera sublime, è un trionfo di power metal aggressivo ed epico, suonato in maniera superba. C’è ancora spazio per un divertentissimo medley di theme celebri riarrangiati in versione folk-metal (dall’Eurovisione, a Dinasty fino alla Lambada) e la devastante Battle Metal come epilogo. Show precostruito (non poteva essere altrimenti quando sul palco si arriva ad avere 12 persone) ma di una carica e una energia impressionante. Bravissimi.
Fen: Finalmente lo show si è riscaldato nella giornata di venerdì, con una levataccia sotto la pioggia battente per andare a dare un’occhiata ai Naglfar, i cui battiti si percepivano chiaramente anche dalle docce e dalle zone in cui si faceva colazione, ben al di là della zona concerti. Anche se li avevo già visti in occasione del tour con i Finntroll dell’aprile passato, non posso fare a meno di sottolineare come il nuovo cantante sia senza dubbio equilibrato ma manchi del mordente del precedente, specie in pezzi tirati come “I am Vengeance”, o le parti più infami di Vittra – che complice anche la pioggia battente non sono riuscite a riscaldare a dovere il pubblico che preferiva rimanere altrove, sebbene i fans più intransigenti fossero accorsi a popolare il pit di una band dalle prestazioni non proprio al massimo, ma nemmeno particolarmente sottotono. Consci del fatto che si sarebbe fatta notte fonda ci siamo lentamente divisi ad asciugarci le ossa pronti per dare un ascolto anche ai Sonata Arctica, per vedere se dopo lo show non proprio felice di due anni fa sarebbero riusciti nell’intento di dare una parvenza di maggiore aggressività on stage; per la seconda volta invece mi sono dovuto ricredere tristemente: il cantante non riusciva a tirare fuori la voce esattamente come l’anno prima, ma alla giovane audience questo non interessava poi troppo: un vero peccato perché le loro proposte da studio, interessanti quantomeno, non meritano un trattamento live così piatto e in un certo senso costruito. 10 minuti di tempo per correre verso lo stage degli Ensiferum e gettarsi nel pogo sfrenato del Party Stage, uno stage piccolo che favoriva un incolonnamento stretto e lungo dell’audience, rendendo ancora più cruente le sessioni più tirate della piccola grande band finlandese. Dopo il loro cambiamento d’immagine è stato proprio Iron la parte più brillante della loro esibizione, ma complice un’acustica non molto buona (problema acuito durante la performance di Finntroll, Equilibrium e specialmente Eisregen) e una furia dei più giovani a volte decisamente fuori luogo, hit come Lai Lai Hei o Sword Chant sono diventate una centrifuga di caos difficilmente discernibile. Bravi comunque, con una buona tenuta di palco anche se un po’ artificiali, come brave sono state tutte le band finlandesi giovani che si sono presentate in questo wacken insolitamente finnico. La tristezza della perdita degli Hanoi Rocks, uno spettacolo glam che non mi sarei perso facilmente, ha immediatamente riportato con i piedi per terra la folla di Wacken, alle prese con una pioggia torrenziale che mi ha costretto a coprirmi per un breve periodo dentro il Wet Stage nel quale si stava esibendo Saeko, bambolotta giapponese interamente costruita da una major (come si addice a una ‘idol’, figura artificiale molto radicata nel mercato musicale giapponese) nel tentativo di sfondare in Europa. Contratto milionario, faccia dovunque e enormi campagne pubblicitarie l’hanno fatta conoscere per quello che avrebbe voluto essere, una grintosa one-girl band dallo sguardo truce con tanto di jeans strappati e corpetti di pelle, e bisogna dire che il suo pieno di pubblico l’ha fatto, aiutata anche dalla provvidenziale pioggia. Le canzoni piatte, le mossette calcolate, i gorgheggi fuori luogo e i vestitini costruiti ad-hoc per far vedere e non far vedere le sue grazie mi hanno ricordato quanto fosse bella la pioggia, specialmente sotto l’uragano sonoro degli Obituary. Li aspettavo con una certa emozione dopo l’ultimo concerto mai visto a Praga quasi 10 anni fa. Certo hanno perso un po’ di smalto rispetto ai ruggiti degli anni ’90, ma all’attacco di “Slowly we Rot” gli indugi sono persi, e via di stagediving con anfibiate fangose in faccia e nei capelli. L’energia di Tardy è incontenibile sul palco, nonostante l’accoglienza un po’ fredda del loro ultimo lavoro, e in pezzi come “Internal Bleeding”, “Insane” e “Threatening Skies” il terreno ha davvero tremato di puro death metal, quasi a voler ricacciare in cielo la pioggia.
Un po’ di respiro per una birra, e poi il dilemma: sentirsi Mother Earth sulla paglia semi-asciutta appena srotolata oppure infognarsi nella bolgia del party stage con gli Eisregen? Il problema non si è posto: infatti anche se la decisione è stata chiaramente a favore degli Eisregen, le pomposissime tastiere dei Within Temptation erano talmente esagerate sopra il sonoro affilato e a tratti minimalista del combo tedesco che non si è potuto godere appieno di uno show altrimenti di buona qualità. Un po’ di pausa per la cena e un’asciugata, visto che stava calando la notte e il vento freddo iniziava a soffiare sui vestiti fradici, e siamo stati tutti trascinati a forza dal collega Zac in preda a crisi mistiche a godere dei Potentia Animi, uno spettacolo piacevole e rilassante, al pari della moltitudine dei Corvus Corax, che ha rappresentato uno svago più che benvenuto prima della lunga notte che avrebbe rappresentato il primo, grande dilemma.
Suonavano infatti contemporaneamente Turisas e Samael, due delle band in testa alle mie personali preferenze in quel Wacken. Avrei davvero desiderato un coltello per dividermi a metà e seguire entrambi i concerti, ma ciò non è potuto avvenire, per cui ho deciso di seguire maggiormente chi avrebbe cominciato per primo: ed ecco che alle due e un quarto di notte spaccate i Turisas hanno inizato a levare i loro canti bellici, incatenandomi in loco. Ovviamente Battle Metal ha rappresentato il 90% della performance, mentre un brano di Heart of Turisas ha fatto breccia nella monografica rappresentazione. Bisogna dire che si presentano perfettamente sul palco, con pellicce, armi, posizioni perfette e posture impeccabili… forse anche troppo. Sono infatti caduti, a mio giudizio, nell’errore in cui cadono molte band alle prime esperienze live – e non solo, vedi anche i Cannibal Corpse – ovvero una perfezione dell’esecuzione troppo artificiale. Tutto sembrava studiato nei minimi dettagli, il cantato ha seguito esattamente tutte le pause dell’album, così come gli stacchi musicali: la band e il pubblico sembravano due entità isolate tra di loro, anche se l’entusiasmo dell’audience era tangibile. Mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca, anche se si mischiava con lo stupore di poter sentire per la prima volta una band che ha esordito in maniera tanto clamorosa sul mercato power/viking/pagan. Un gran momento è apparso quando, durante la furia di Sahti Waari, un attimo di silenzio mi ha fatto percepire “On Earth” dei Samael a 100 metri di distanza: era ormai l’ultima band della giornata, quindi sono corso nel fango fino al Black Stage per godere delle ultime canzoni di una performance asettica e metallica, come si addice a una band maturata così tanto come il duo elvetico.
Equilibrium |
Finntroll |
Kreator |
Obituary |
SABATO
Zac: Da poco sulle scene, i Dragonforce hanno già raccolto una discreta schiera di fedeli e posizioni in bill di tutto rispetto. Questo, per me, è un altro enigma del metal di oggi. La loro musica è decisamente derivativa e segue senza scostarsi di un millimetro i sentieri già battuti da decine di band power degli ultimi anni, risultando una sorta di nuovi Freedom Call. Certo, rispetto a tutti i loro diretti avversari, la band gode di un’attitudine da palco e di un carisma assai superiori, e lo show di Wacken lo dimostra. Bravi a fare quello che fanno già in tanti, troppi. Quando sul palco sale (finalmente!) il primo act thrash del Wacken 2005, si comincia a fare sul serio. Signore e signori, gli Overkill. I loro riff sono una ventata di ossigeno per tutti i thasher & Co. arrivati all’area concerti e l’atmosfera si fa finalmente vivace. Le galoppate di Old School e Necroshine sono aria di casa per molti e le teste cominciano a sobbalzare seguendo i riff di Linsk e Tailer, in una proposta musicale che si fa finalmente aggressiva e potente. La scaletta dimentica qualche cavallo di battaglia, ma il combo americano esce a testa alta. Come previsto, appena terminato lo show di Bobby Ellsworth e compagni, il pubblico degli Overkill improvvisa un mini-esodo verso il Party Stage dove è il momento degli Holy Moses. Compito non difficile per Sabina Classen, icona tremendamente amata e supportata dalle metalheads tedesche, quello di animare per 60 minuti il terzo palco del Wacken. La front-girl gode della compagnia di Tom Angelripper per Im Wagen Vor Mir, dell’affetto incondizionato del pubblico e di una Too Drunk To Fuck che scatena il putiferio sotto il palco. Pollice in alto per una delle formazioni cresciute all’ombra dei grandi nomi, ma cresciute bene. Persi i Dissection per seguire gli Holy Moses (stessa sorte per Ensiferum ed Equilibrium, contemporanei di Bloodbath e Kreator) il mio focus si sposta sul TrueMetal Stage dove va in scena lo spettacolo di Axel Rudi Pell. Spettacolo nel vero senso del termine, perché la formazione, vuoi per le sue doti tecniche note a tutti, vuoi per una tenuta di palco più che buona (Pell, Mike Terrana e Ferdy Doernberg su tutti), propone uno show davvero godibile. Una vera e propria marea di persone occupa ogni angolo disponibile davanti al Party Stage per assistere allo show dei Finntroll (ai quali un palco principale non sarebbe di certo andato largo). Visti e rivisti, anche questa volta il rammarico è sempre lo stesso: i suoni. Il divertimento, la passione (sopra e sotto il palco), il vigore e la vitalità dei troll non manca, ma come già successo altre volte, dall’impianto esce una strana amalgama dove la tastiera si scorge appena e i suoni degli altri strumenti risultano notevolmente sballati. Come sempre bravissimo Wilska a tenere in mano il pubblico, a percorrere le linee sue e quelle che furono i Katla (tantissimi i pezzi del grande debut a discapito della sola title-track dallo splendido Jaktens Tid), ma i suoni penalizzano tutto, mutilando uno show che poteva tranquillamente porsi tra le esibizioni in assoluto migliori della tre giorni tedesca. [Tracklist: Manniskopesten, Vatteanda, Fiskarens Fiende, Jaktens Tid, Trollhammaren, Midnattens, Widunder, Det Iskalla Trollbot, Nattfodd, Grottans Barn, Ursvamp, Forsvinn Du Som Lyser (fast), Elyitres, RivFader, Sergesång]. Intanto sul TrueMetal Stage si affacciano gli Hammerfall. Joacim Cans e soci non hanno inventato niente, non hanno rivoluzionato niente, non hanno introdotto niente. Ma se la loro musica può risultare sterile e noiosa su disco, i pezzi guadagnano fior fior di punti in sede live, dove i riff si fanno più massicci e trascinanti e dove la band appare compatta e vivace.
Dodici mesi fa era toccato ai Destruction imbastire uno show devastante, oggi è il turno di un altro segmento della triade lasciare il segno: i Kreator. Il vecchio Mille Petrozza è notevolmente provato dall’età che passa, ma questo non è un impedimento insormontabile. Cavalli di battaglia uno dietro l’altro, suonati con aggressività e compattezza, tanto da mandare in estasi i presenti. Mazzate del calibro di Pleasure to Kill, Extreme Aggression e Violent Revolution sono gli apici di una prestazione davvero ad altissimi livelli e che oserei a definire la migliore dell’intera manifestazione. Devastanti. Alle 22.45 Wacken si ferma e si mette sull’attenti per assistere allo show dell’ufficiale dell’hard’n’heavy teutonico e della sua band. Dopo aver girovagato per il backstage per due giorni con figlio (un Udo in miniatura!) e moglie (un udo al femminile…) il piccolo graduato e i suoi Accept salgono sul palco con la consapevolezza di essere amati e attesi. Il responso positivo non manca. Il pubblico accoglie a braccia aperte la band, che ricambia con un concerto coi fiocchi. La coppia Frank-Hoffman funziona che è un piacere (e con più disinvoltura dell’appesantito singer) macinando i riff di pezzi trainanti come Restless And Wild, Neon Nights e Turn Me On, brani sui quali il signor Dirkschneider si muove ancora dignitosamente. È uno show per nostalgici, e di nostalgici a Wacken ce n’erano davvero tanti. Facendo avanti e indietro dallo show degli Accept riesco a seguire anche parte del concerto dei Primordial, band decisamente valida e camaleontica mai arrivata alla grande notorietà nonostante dischi di tutto rispetto. La sensazione, nonostante una prestazione che pare discreta, è quella che certe atmosfere siano assai difficili da riproporre in sede live. Un palco decisamente piccolo e un repertorio diviso tra folk/black/death e doom di certo non aiutano, nonostante il carisma di un frontman come A.A. Nemtheanga.
Fen: Ancora nubi e ancora pioggia sulla mattina di sabato che vede un inizio in norvegese con gli Zyklon, in grado di buttare giù dal letto gli ultimi dormienti grazie al loro solido mix techno-chaosblackdeath forte anche dell’ex-Emperor Trym. Parcheggiare nel Black Stage di per sé non sarebbe stato troppo male, giacché si sarebbero ripetuti fino al tramonto una serie di mostri sacri come Suffocation, Dissection e Marduk. Con mio sommo rammarico, complici tutte le altre attività collaterali di Wacken, sono riuscito a perdermi i Suffocation in favore dei Dissection, ed è stato uno show davvero da ricordare. L’inizio inquietante, con loro rivolti di spalle al pubblico per una serie interminabile di minuti – momento affascinante e un po’ inquietante – ha ceduto il passo a mostruosità sonore come “Where Dead Angels Lie”, “Retribution” e persino la meccanica “Starless Aeon”. La grinta sul palco è stata eccezionale, così come i movimenti degni di una band che sa come intrattenere il proprio pubblico, anche in mezzo a una vera pioggia di animaletti di pezza che si sono riversati ovunque tra il pit e lo stage, probabilmente omaggi promozionali distribuiti qualche minuto prima e finiti subito male. Nödtvedt carico come non mai ha trascinato la folla con un “The Somberlain” da urlo, e il tutto si è spento in attesa dei Marduk reduci dalla perdita a mio giudizio gravissima di Legion, che teneva il palco con una maestria da vero navigato. Da buoni pilastri del Black Metal scandinavo si sono presentati in corpsepainting tirando a lucido capolavori come l’immortale “Slay the Nazarene” e “Azrael” sotto un ennesimo rovescio di pioggia torrenziale, che mi ha spinto al termine dello show ad andare a vedere una chicca per pochissimi: la performance integrale degli Hard Time, band heavy croata formata da padre cantante, figlio chitarrista (di grande abilità, tra l’altro), altro ragazzetto bassista e un batterista attempato che hanno riportato in auge i bei tempi dei Motorhead, i tempi in cui le band suonavano vero, fottuto heavy metal e vivevano di questo. Una proposta musicale molto classica, suonata con rigore e con estro sul palco, ma intervallata purtroppo da uscite non proprio felici sul prezzo della birra e sulle donne croate che sarebbero meglio di quelle tedesche (che detto in Germania non è proprio il massimo) e concluso con un lancio di promo del loro primo album. Interessante e rilassante, stanti anche le trenta-quaranta persone massimo che popolavano l’intero wet stage.
Carichi come non mai si arriva fino ai Finntroll – e la prima fila è d’obbligo. Dopo un breve momento di pioggia si è intravisto un arcobaleno perfetto dietro allo stage, che ha fornito un panorama surreale al gruppo di troll che ha tirato fuori i soliti cavalli di battaglia come “Fiskarens Fiende”, “Rivfader”, la distruttiva “Ursvamp” e la coinvolgente “Trollhammaren” – la pressione contro le transenne era quasi insopportabile mentre lo stage diving diventava sempre più fitto: purtroppo, come già notato, il sonoro era a livelli ridicoli, scandalosi: non si percepiva quasi nulla lì, a due passi dallo stage, e nonostante conosca a memoria il 95% delle loro canzoni non riuscivo nemmeno a capire quale canzone stessero suonando se non dopo un’abbondante manciata di secondi: in questo senso Wacken 2005 si è dimostrato abbastanza carente, vuoi anche per le condizioni meteorologiche abbastanza avverse che forse non avranno facilitato il lavoro dei tecnici.
Si arriva poi senza colpo ferire agli Equilibrium, altra band con un solo album all’attivo ma dalla presenza scenica praticamente perfetta: il solito black-folk epico corale ha fatto da tripletta insieme a quello di Turisas ed Ensiferum, completando quindi l’offerta decisamente pagan del Party Stage. Prima della conclusione un grande rammarico è stato quello di non vedere quegli squilibrati dei Torfrock, band parodistica sulla falsariga degli Elakalaiset dello scorso anno che hanno saputo intrattenere quel pubblico un po’ più adulto e smaliziato con le loro beffe musicali ricercate.
Lo show si conclude con il tradizionale padrino di Wacken: Onkel Tom – il quale più che fare un concerto ha inscenato un vero e proprio varietà. Insieme ad Angelripper è intervenuta la Firefighters Band, un’orchestra già presente in pochi membri lo scorso anno, che ha suonato degli intervalli musicali tra il serio e il faceto tutti da godere. È stata anche introdotta una band “santificata” da zio Tom, gli Sputnik, dopo un’introduzione quasi apocalittica durata francamente un po’ troppo. Tom non si è sprecato più di tanto, cantando serie tre o quattro canzoni dopo ogni pausa, ma cantando sempre quelle giuste: il pubblico è stato un delirio di “in Rio de Janeiro”, “Eins, zwei, g’suffa!!” e “Delirium, Delirium!” – un po’ troppo dilatate tra di loro, specie alla fine di un Wacken molto impegnativo ma soddisfacente.
Potentia Animi |
Turisas |
Edguy |
Marduk |
Si è chiuso in questo modo un Wacken 2005 che è stato l’esatto negativo di quello 2004 a livello meteorologico, ma un grande show di emozioni e di esperienze uniche che ogni anno si ripete magicamente: See you in 2006!