Rush: Fotoreport delle date di Londra e Milano
Parole di Alessio Battaglia e Filippo Benedetto per la data di Londra, Mauro Gelsomini per la data di Milano.
Foto di Alessio Battaglia, scattate durante il concerto di Milano.
Truemetal.it ringrazia: Gianni andreotti, Shelley Nott, Craig Blazier e naturalmente Barley Arts, nelle persone di Jacopo Levantaci ed Elena Pantera.
Prologo:
Gennaio 2004. Il website della band canadese veniva aggiornato con un banner raffigurante il grosso dragone arancione utilizzato nella copertina del DVD Rush In Rio che indossava una maglietta e un cappello conico tipico delle feste di compleanno. Non era uno scherzo del webmaster quell’animazione in flash inerente il trentennale e il possibile tour mondiale, era tutto vero.
Le prime date del tour intraviste intorno a febbraio non erano ancora complete e comprendevano esclusivamente Canada, Stati Uniti e Gran Bretagna; da qui la nostra decisione di prendere una bella settimana di ferie e goderci almeno una delle due date proposte a Londra in quel di Wembley.
Londra, Wembley 09/09/2004
Una trasferta particolare è stata questa di inizio settembre per un evento del tutto speciale: il concerto per il trentennale di carriera dei Rush. Il luogo in cui ci siamo ritrovati in anteprima a festeggiare questo piccolo e grande evento della musica prog-rock mondiale è stata Londra, della quale non possiamo esimerci dal ricordare, con sincero stupore e ammirazione, la capacità di organizzazione di questo popolo per quanto riguarda la quotidianità come (nello specifico che ci interessa) gli eventi culturali che interessano la capitale britannica.
In apertura di concerto è stato proiettato uno speciale filmato, molto divertente che ricorda le copertine dei loro studio album a partire dai primissimi per arrivare agli odierni. Gufi in volo, cani dalmata, coniglietti che spuntavano fuori dai cilindri, l’omino del logo, bulloni e rondelle hanno condito questa rallegrante animazione. Tra l’altro alla fine della proiezione introduttiva ha partecipato Jerry Stiller in tenuta simil metallara con tanto di headbanging di fronte ad un televisore.
L’inizio è a dir poco maestoso: un’Overture comprendente “Finding My Way”, “Anthem”, “Bastille Day”, “A Passage to Bangkok”, Cygnus X-1 (Prologue) ed Hemispheres”. Già questa serie di “classici”, seppur in forma di medley, ha lasciato presagire un concerto di grande livello corredato, come se non bastasse, da una coreografia spettacolare in modo da lasciare allo spettatore la possibilità di godersi la prestazione della band in più sincronizzato alla perfezione con “temi” visivi molto “stuzzicanti” per gli occhi.
Conclusa questa “parentesi introduttiva” la band al completo si lancia nell’esecuzione, davvero fulminante, di “Spirit of Radio”. I suoni non sono ancora perfettamente nitidi ma l’energia sprigionata dai tre canadesi lascia decisamente in secondo piano questo dettaglio emozionando a più riprese l’audience con un’esecuzione impeccabile. Senza lasciare respiro al pubblico subito dopo la band, tra le grida di viva approvazione, prosegue con l’esecuzione di “Force Ten” e qui i nostri mostrano tutta la grazia, l’eleganza tecnico strumentale di cui sono dotati. Non una sbavatura, ogni strumento suona perfettamente inserito in un “ingranaggio melodico” abbondantemente collaudato. In una parola, classe e grinta al servizio del gusto per l’armonia semplicemente sublime per gli occhi e per le orecchie. Dopo aver lasciato spazio ad un brano meno famoso ma altrettanto importante (Animate) ecco spuntare Subdivisions, un grande brano risalente a Signals che tutti hanno avuto modo di apprezzare per il dinamismo del trio e soprattutto del drumming preciso e vario del professor Neil Peart. Durante il brano viene proiettata una mappa che ricorda l’inizio del videoclip. Dopo l’esecuzione della bella “Earthshine”, riproposta “intatta” nel suo splendore, la band propone al pubblico un “trittico” micidiale: si tratta di “Red Barchetta” (con un suggestivo “commento” visivo di una strada animata come un videogame), “Roll the bones” (durante la quale si è potuto notare un enorme teschio volante sullo schermo alle spalle della band) e “Bravado” , songs vivamente acclamate dal pubblico. Il concerto ormai “viaggia” sulle note di altri brani famosi del gruppo, come “YYZ”, “The Trees” (corredata da una coreografia bucolica ritraete una serie di alberi), “The Seeker” e “One Little Victory” (dove la sincronia fra spettacolo “on stage” e coreografia filmica si fa platealmente spettacolare alla visione del Drago che sembra sputare fuoco dallo schermo direttamente sul palco) . A questo punto la band prende una pausa di una decina di minuti dopo la quale viene proiettato un cartone animato divertente ritraente i tre canadesi al comando di una navicella (chiamata “Cygnux-X”) intenti a combattere il Dragone-mascotte della band. Appena finisce il “cartoon” ecco che la band si lancia nell’esecuzione, splendida e coinvolgente, di “Tom Sawyer”, seguita subito dopo da altre “perle” come Dreamline”, “Secret Touch” e “Between the wheels”. Non poteva mancare in un concerto così speciale la riflessiva “Mystic Rhythms” (eseguita con gusto sopraffino da ogni membro della band) e la bellissima “Red Sector A”. Colpisce molto, fin qui, l’esecuzione assolutamente cristallina da parte dei tre musicisti, sia sotto il punto di vista tecnico strumentale che sotto il profilo degli arrangiamenti.
Uno dei momenti più esaltanti del concerto è stato l’assolo per batteria (in setlist intitolato, appunto “O’ Batterista), dove Neil Peart da dimostrazione di tecnica sopraffina e di originalità nell’impostazione di suoni e ritmiche che trova felice conclusione nell’accompagnamento ritmico di una orchestra di fiati davvero trascinante. Momento toccante del concerto è stato quando il duo Lee/Lifeson si è prodigato nella esecuzione di due songs acustiche: la bella “Resist” e la accattivante “Heart of full souls”. Quando il gruppo si lancia nella esecuzione della suite “2112” la band riceve applausi e grida di approvazione da parte dal pubblico che subito dopo delizia le proprie orecchie all’ascolto della splendida suite “La Villa Strangiato” (con un Lifeson particolarmente ispirato). Lo show sta volgendo a conclusione e le sorprese non mancano per un pubblico ancora avido di ascoltare i tre canadesi all’opera; ed ecco l’audience subito accontentata con l’esecuzione di un altro bel ” trittico” : By-Tor and the Snow Dog (non eseguita per intero), Xanadu e Working man (con una inaspettata chiusura in chiave reggae). La “coda” del concerto vede l’esecuzione, in rapida sequenza, di “Summertime Blues”, “Crossroads” e della splendida “Limelight” con l’apparizione nuovamente di Jerry Stiller che continua a giocare con il pubblico.
Per concludere possiamo dire di aver assistito ad un gran bel concerto, degna festa per un compleanno speciale… il nostro pensiero ora è volto alla data milanese durante la quale si ripeterà nuovamente una festa lunga 30 anni
Milano, MazdaPalace 21/09/2004
Come una sorta di disegno divino l’opera si compie alle ore venti e 32 minuti di martedi 21 settembre 2004, una data da tempo segnata sui calendari di molti italiani, visto che in questo giorno, che propongo di erigere a festa nazionale, i Rush si esibiscono per la prima volta in carriera nel bel paese.
Non perderò tempo a polemizzare sul fatto che in Brasile i nostri siano accolti da 120.000 persone, mentre qui un impiantucolo come il mazdapalace (capace di 11.000 anime strette come sardine) non ha la benché minima intenzione di riempirsi per più di due terzi. E sì che dovremmo rappresentare un paese con una tradizione prog rock paurosa, ma probabilmente – e io non me ne accorgo – lo facciamo in maniera estemporanea e alternativa ai concerti delle Spice Girls e di Cristina Aguilera.
Fatti salvi dunque i numerosi assenti ingiustificati (no, in realtà una giustificazione c’è sempre, almeno nella testa) possiamo contare poco più di cinquemila presenti all’evento, meritevoli non solo di aver tenuto fede al patto artistico firmato al momento del primo ascolto di Peart e compagni, ma anche di aver suggerito una strategia vincente per estirpare definitivamente il sempiterno fenomeno del bagarinaggio.
Cosa si è perso chi aveva la zia malata? E’ cosa dura descrivere per “codesti sola” il più grande rimorso della loro vita, e probabilmente vista l’uguale durezza della capa degli stessi, non mi ci impegnerò nemmeno.
Alle 20.32, come già detto, con una puntualità alla quale non siamo abituati, sul maxischermo parte l’intro del trentesimo anniversario, ovvero un’animazione in perfetto stile trash dei Rush, in cui ogni album della carriera della band viene omaggiato di una sequenza, e di qualche estratto in scaletta (ad eccezione stranamente di Presto, del quale i nostri non faranno nessuna song). Tra lo stupore dei presenti Neil, Geddy ed Alex fanno il loro ingresso sul palco per eseguire un medley strumentale devastante: quello che solitamente veniva posto a fine scaletta, prima del comeback, assume qui il ruolo di opener, con sei brani tratti dai primi sette album da studio, ognuno della durata di un minuto e mezzo al massimo. “R30 Overture”, questo il nome del medley, annovera “Finding My Way”, “Anthem”, “Bastille Day”, “A Passage To Bangkok”, “Cygnus X-1 (Prologue)” e “Hemispheres (Prelude)”. Potrete immaginare quanto sangue al cervello mi sia potuto arrivare in quei sette minuti di, per dirla alla maniera di Geddy, “passeggiata nel parco”…
Questo avvio a dir poco funambolico prospetta il rischio di un sound non all’altezza, dal momento che quasi tutti gli strumenti presentano una fastidiosa saturazione; tuttavia la straripante “The Spirit Of Radio” non può essere goduta lontano dal palco, perciò mi concedo un furioso headbanging e un delirante balletto sul leggendario raggae di fine canzone, prima di allonanarmi e prendere posto in tribuna stampa, dirimpetto al palco, ad una distanza ideale sia per la visuale sia per l’audio. Per quanto riguarda l’audio parliamo ovviamente in termini relativi, visto che l’impiantucolo di cui sopra non può offrire di più, e nonostante la chitarra di Alex diventi enorme e lancinante, la voce di Geddy la sovrasta spesso, e il basso fa tremare ogni cosa dispensando precarietà a qualsiasi mezzo a disposizione, naturale o artificiale. A farne le spese, manco a farlo apposta è la batteria del Professore, che d’altronde brilla di luce propria ed emerge magicamente ad ogni cambio di tempo, rullata o coatta rotazione di bacchette. Ciò che sembra migliorare di concerto in concerto è la voce di Geddy, che ormai ha messo definitivamente una pietra sopra alle performance vocali del tour di “Roll The Bones”, ed ha preso coscienza della sua maturità, permettendosi addirittura un finale in crescendo. E allora prosegue lo show autocelebrativo e autoironico al contempo del “grassone”, del “professore” e del “nasone”, come li chiama il vecchietto dell’intro, con “Force Ten” e “Animate”, quest’ultima riarrangiata sul chorus iniziale, fino ad arrivare ad un altro momento topico: “Subdivions” scuote, impressiona e commuove. Ho visto contemporaneamente gente ballare, piangere, cantare…
Prima di un altro brivido, ovvero “Red Barchetta” nell’arrangiamento originale, è la volta di “Earthshine”, tratta da Vapor Trails, uno dei punti deboli dello show, tratto dall’album forse più discutibile dei Rush. A questo punto ci si para un quartetto di brani da far accapponare la pelle, “Roll The Bones”, “Bravado”, “YYZ” – e qui il pubblico va in delirio – e “The Trees”, con tanto di finale beatlesiano (“I Feel Fine” e “Day Tripper”), adatta intro alla prima cover in programma, “The Seeker”, tratta dall’ultimo Feedback, che proietta in un’atmosfera surreale, fatta di luci e – ovviamente – suoni che sconvolgono l’immaginario e con il flavour tipico da trip sessantiano introducono al climax dello show, la pirotecnica “One Little Victory”, dove l’occhio gode quasi quanto l’orecchio, a partire dal filmato d’apertura e per finire ai fuochi del rovente finale.
Giusto il tempo di riflettere sul flash che in una brevissima ora e rotti ci ha attraversato le tempie, ed ecco riapparire il drago sullo schermo, per il videoclip “That Darned Dragon”, l’apice della demenzialità di questa band che mette in primo piano la voglia di divertirsi, gigioneggiando, neanche troppo velatamente, sul fatto che molti altri facciano i “professori” quando invece possono permettersi forse un posto all’ultimo banco nella scuola dei Rush.
E allora si torna all’antico, alla opener di sempre, la strofa iniziale di “Tom Sawyer” è cantata a squarciagola da tutti, e le tastiere di Geddy diventano protagoniste di un palco sempre più invaso dalle luci, il cui tecnico deve essere considerato una sorta di quarto uomo in campo; la febbre sale con “Dreamline” e “Secret Touch”, e il primo apice viene raggiunto da “Between The Wheels”, che ricompare in scaletta per la prima volta dopo il tour pre-“Power Windows” (1985).
Le emozioni ormai si avvicendano senza soluzione di continuità: “Mystic Rhythms” non compariva in scaletta da dieci anni, “Red Sector A” è a dir poco commovente, e l’immancabile lezione di Neil col suo Drum Solo mette d’accordo tutti, anche coloro che non vorrebbero mai assistere agli esibizionismi solisti durante un concerto. Il Professore cambia poco o niente rispetto al solo eseguito nel tour precedente, ma è sempre un piacere ammirarlo in uno dei soli più fantasiosi di sempre.
Quando le luci si riaccendono ci sono solo Geddy, Alex e le loro chitarre acustiche, per una versione sorprendente di “Resist” (tutt’altro che delicata nella versione da studio), seguita sempre in acustica dalla seconda cover in lista, “Heart Full of Soul”, cui si aggiunge anche Neil. Il boato del pubblico accoglie l’inconfondibile intro di “2112”, e il pogo più forsennato si scatena sui primi due momenti del medley, vale a dire “Overture” e “Temples of Syrinx”. Sarebbe già abbastanza, ma per la prima volta anche “Grand Finale” trova posto nel medley di quella che forse è la song più rappresentativa del combo canadese.
Difficile immaginare come, dopo un colpo del genere, lo show possa non subire un calo di tensione, e allora ecco i nostri pronti a smentirci con un “La Villa Strangiato” che ben poco ha di terreno, se non il fatto che quei tre vegliardi, dopo più di due ore, ancora saltellano per il palco freschi come rose suonando quelle che per noi comuni mortali sarebbero esecuzioni impossibili. Loro no, loro sono automi, o meglio i loro arti sono automatizzati, le dita di Geddy e Alex volano a toccare tasti irraggiungibili con una semplicità disarmante, e Neil sembrerebbe quasi compiacersi del fatto che infilare dei fill per riempimento è uno sport da dilettanti, perché i dilettanti non compongono canzoni così perfette… L’improvvisazione centrale è da strabuzzare lo strabuzzabile, e ancora più impressionante è la freschezza con cui si passa a “By-Tor and the Snow Dog”, versione abbreviata, e ancora all’acclamatissima “Xanadu”. Alieni. C’è ancora posto per “Working Man”, per dare gloria anche al debut, e salutare i fortunati presenti sul finale reggae, che era stata l’intro della stessa song nel tour di Moving Pictures.
Salutare per modo di dire, visto che il comeback non si fa attendere, e allora spazio alla terza cover, “Summertime Blues”, dirompente, e poi “Crossroads” e una straordinaria, strappalacrime, divina “Limelight”, con il maxischermo ad onorare i saluti (veri stavolta) e i brividi di freddo a riportarmi sulla terra.
Sono passate tre ore e un quarto, esattamente quanto sapevo, esattamente la scaletta che conoscevo, suonata esattamente come mi aspettavo. Sapevo tutto, eppure non sapevo niente. Non sapevo che avrei passato un momento (perché di un momento si è trattato) letteralmente rapito, con la bocca mezza aperta, sollevato di un metro da terra, avendo perso di vista tutta l’allegra compagnia che fino alle 20.30 mi era a un passo. Non sapevo che avrei riso come un infante a guardare i cartoni animati, a piangere, quasi, sull’inizio di “The Camera Eye” a luci spente (come dite? Non è in scaletta? Ah, già… Forse l’ho sognata allora…), a rimpiangere di non essere stato sotto al palco nel momento in cui Alex e Geddy tolgono le magliette dalle lavatrici e le lanciano al pubblico delle prime file, né di non aver notato il pappagallo sulla spalla di Geddy durante “Temples of Syrinx”.
Non sapevo che sarei stato insoddisfatto da una scaletta simile, avido di ascoltare ancora “Test For Echo”, “Fly by Night”, le versioni complete delle song incluse nel “R30 Overture”, e ancora “Closer To The Heart”, “The Enemy Within”, “Distant Eartly Warning”, “Lakeside Park”, “The Necromancer”, “Free Will”, “Cinderella Man”, “Circumstances”, “A Farewell To Kings”, “Natural Science”, “Witch Hunt”, “Vital Signs”, “Jacob’s Ladder”, “The Big Money”, “Manhattan Project”, “Marathon”, “Show Don’t Tell”, “The Pass”, “Mission”, “Stick It Out”, “Driven”… abbastanza per un’altra scaletta completa… E allora perché non continuare a sognare sulla “buonanotte” di Geddy, quell’ “A Presto!” che mi è entrato nel cuore e che non uscirà facilmente…?