Valpolicella Metal Fest 2004: il report
Articolo di:
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Paola Bonizzato
Elena ‘elena0308’ Franchi
Il Valpolicella Metal Fest è un appuntamento che quest’anno si rende davvero
appetibile per i metal fans del Nord Italia e non solo, grazie all’ampliamento
dello stesso su due giorni e ad un bill di tutto rispetto, unito ad un contesto
davvero ottimo: bancarelle di tutti i tipi (in ambito musicale e non), nonchè
per l’appunto lo scenario naturale della Valpolicella.
Tutto molto interessante, quindi, almeno sulla carta: peccato purtroppo che
quanto a solidità il festival di strada ne debba ancora fare.
Sì perchè dei 2 giorni previsti, in realtà se ne è svolto praticamente
solo uno: il secondo, quello più dedicato all’heavy classico ed al power,
graziato da un meteo finalmente clemente. La giornata di sabato, infatti, che
vedeva come headliners i polacchi Vader, supportati per l’occasione dagli
albionici Benediction, salta quasi interamente, a causa di un maltempo
sì fastidioso, ma che francamente non sembra poter pregiudicare la sicurezza
del pubblico e dei musicisti, nonchè quella della strumentazione di palco.
Lascia quindi fortemente perplessi veder suonare, all’alba delle 21, solo 2
gruppi di supporto, i Maelstrom ed i Nameless: questi ultimi sono
responsaibli dell’apertura della “giornata”, con un death/core di
discreta fattura e cantato a 2 voci; niente di trascendentale, oltretutto la
gente è chiaramente distratta dal contorno (i vari banchetti enogastronomici
sotto ai quali cerca rifugio dalla pioggia) e non sembra tributare eccessivo
interesse per il combo. Ma la band si sbatte, ci mette impegno ed entusiasmo, e
ritengo siano quindi da premiare, se non altro per la difficoltà che comportava
per loro catturare l’attenzione di un pubblico già esiguo di suo.
A seguire i veronesi Maelstrom: qui il giudizio è diverso, e
purtroppo non in meglio. La band è autrice di quello che sembra essere un death/thrash
di matrice svedese, ma nonostante la carica trasmessa dai musicisti
l’imprecisione regna sovrana e si fatica a riconoscere, ad esempio, una Blinded
by Fear storpiata soprattutto dai pessimi suoni… ma anche
dall’approssimazione con cui viene eseguita. Il cantante non è autore di una
prova magistrale, per quanto si impegni quanto a presenza scenica: la voce non
è il punto forte del combo, almeno dal vivo, e l’impressione è che la timbrica
sia troppo sforzata per risultare convincente. Rimandati.
Dopo l’antipasto nazionale è arrivato il momento di quelli che saranno alla
fine gli headliners della serata: i Benediction. I Vader infatti
giungeranno sul luogo del concerto solo alle 23, per motivi imprecisati, e
verrano recuperati parzialmente, come vedremo, nella giornata di Domenica. La
storica band inglese, da sempre ferma su un death metal quadrato, di grande
impatto dal vivo (e magari un po’ meno su disco), si rende protagonista di una
performance molto buona, premiando in modo degno i “coraggiosi” che,
indifferenti alla pioggia battente, si accalcano contro alle transenne. Calca
che diventa un po’ troppo veemente col passare delle canzoni, tanto che un
responsabile dell’organizzazione è costretto a salire sul palco e minacciare la
chiusura della serata in caso di prosecuzione degli scontri con la security.
[A. F.]
Il secondo e ultimo giorno del Valpolicella Metal Fest riesce a svolgersi per fortuna senza inconvenienti climatici. Il bill del 25 luglio prevede una rosa di gruppi decisamente più soft rispetto a quella che doveva essere la prima giornata, risultata poi mutilata dal maltempo.
A lasciare un segno indelebile sul palco ci pensano i Sigma, band con parecchia esperienza alle spalle, che offre un power metal senza compromessi. Il pubblico non è ancora foltissimo, ma chi è sotto il palco apprezza i Sigma e i suoi pezzi che hanno ogni tanto un sapore alla “eighties”, melodie eleganti e quel pizzico di aggressività che non guasta.
Arrivano da Cuneo gli Anthenora, heavy metal band che ha da poco pubblicato il buon
“The Last Command” sotto etichetta Locomotive Music. La musica di questo gruppo impatta sul pubblico come solo l’heavy metal canonico sa fare, complice un’esperienza più che decennale maturata dalla band nella scena metal del nord Italia e un cantante davvero in gamba, la cui voce aggressiva e ruvida investe i fans che non sono rimasti certamente delusi della prova on stage.
[P. B.]
I Rain si confermano essere un gruppo che riesce sempre a scaldare e a coinvolgere il pubblico, anzi, la “Rain crew”, come il gruppo ama definire i suoi affezionati fan. Comunque, per chi nn lo sapesse, la band propone un classico heavy metal ed ha una lunga militanza nel panorama underground italiano. I Rain si presentano con un cantante sostitutivo, Rocco, che comunque tiene piuttosto bene il palco ma lascia la parola a Lucio, chitarrista fondatore della band. La loro esibizione si apre con
Headshaker, cavallo di battaglia dell’ultimo omonimo album. Seguono, in ordine sparso, le classiche canzoni proposte in sede live, ossia
Wings, Rocker Ram, Blood Sport, Heavy Metal, Energy,
Only for the Rain Crew (cantata in coro dal pubblico), Yellow Putrefaction e a chiudere
Born to Kill.
[E. F.]
I Macbeth sono l’unica band del festival che si fa portatrice di un gothic-black a due voci. Suadenti melodie si alternano e si intrecciano a growls massicci. Il cantante si muove a suo agio sul palco, peccato che la sua controparte femminile non abbia saputo dare il meglio dal punto di vista tecnico: qualche stonatura di troppo lascia l’amaro in bocca all’ascoltatore, che decide così di concentrare la sua attenzione altrove.
[P. B.]
E’ la prima volta che vedo esibirsi i Thunderstorm, la realtà italiana più importante nel panorama doom classico e, infatti, non posso fare a meno di notare che il bassista indossa la maglietta del ‘Doom Shall Rise Festival 2004’, unico evento per gli appassionati di Doom in Europa. Certamente suonare alle 18 di un caldo pomeriggio di luglio non è la situazione migliore per un gruppo del loro genere, comunque la band a parer mio convince riuscendo a riportare sul palco (con soli 3 elementi) il sound pieno da studio. La musica dei Thunderstorm deriva direttamente dai capostipiti del doom classico (Candlemass e Black Sabbath in primis) e quindi da una formazione 70-80ntiana; ciò nonostante grazie anche alla pulizia del suono si sente una certa modernità e ne risulta quindi un mix convincente. Tra i pezzi eseguiti
“Sad Symphonies” dal primo album, “Witchunter Tales” e “Parallel Universe”
dal secondo.
E’ sul secondo palco che verso le 21 si esibiscono i Battle Ram, epic metal band marchigiana. E come per ogni epic metal band che rispetti, ecco apparire in prima fila l’immancabile fan greco. Il gruppo porta sul palco, credo per la prima volta, il nuovo cantante che non fa rimpiangere il precedente. La band esegue i pezzi del demo omonimo in modo estremamente convincente, d’impatto con una notevole presenza scenica e chiude l’esibizione con l’inno del gruppo:
Battering Ram. Il sound è ispirato ai capisaldi dell’epic metal (vedi Manilla Road, Cirith Ungol, primi Omen, ecc.) nella componente più agguerrita e aggressiva. I Battle Ram hanno dimostrato al pubblico del Valpolicella di avere le carte in regola per riuscire al più presto a pubblicare un ottimo full-leght.
[E. F.]
Ed ecco finalmente giungere il momento dei Vader: la band polacca, attesa
evidentemente molto di più nella prima giornata del festival che nella
seconda, frequentata da un pubblico che per la maggior parte è avvezzo a
sonorità più “classiche”, deve comunque recuperare quello show
saltato, come accennato sopra, per motivi non precisati. E lo fa, pur nei limiti
della mezz’ora a loro concessa, con grande classe, coinvolgendo molta più gente
di quanto ci si potesse aspettare! Il loro death metal che sono solito definire
“quadrato”, per la regolarità delle strutture e dei riffs, ha
sicuramente un grosso impatto live, unito all’esperienza pluridecennale di Peter
e Mauser… e si vede sin dall’inizio, con le transenne che devono sopportare la
pressione delle prime file. Come detto, pochi sono i pezzi proposti dal gruppo,
il che fa rimpiangere di non averli potuti vedere headliners: ma brani come Sothis
e Black to the Blind, per fare 2 esempi, lasciano il segno in modo
deciso, facendoci apprezzare anche le doti di musicisti come il neo-bassista
Novy (che praticamente suona in slap tutte la parti più veloci, senza smettere
un secondo di fare headbanging) e del carismatico leader Peter; quest’ultimo un
po’ affaticato, pare, ma sempre capace di tenere in pugno il pubblico. Ottima
anche la prova di Mauser alla chitarra solista e del batterista session Darray,
ottimo sostituto dell’infortunato Doc. Speriamo ora di rivederli a pieno regime
in uno show a loro dedicato, cosa molto probabile vista la frequenza dei loro
concerti italiani.
[A. F.]
Al calar della notte sale sul palco un gruppo che non ha certo bisogno di grandi presentazoni: i
White Skull. E’ la prima volta che mi capita di vederli dal vivo dal momento in cui c’è stato lo stravolgimento di line-up con l’ingresso del nuovo cantante Gus al posto di Federica. L’impressione è ottima: l’argentino tiene alto il coinvolgimento del pubblico per tutta la durata della performance, i fans sotto al palco sono scatenatissimi e non ci si risparmia di certo a cantare ritornelli più o meno recenti in compagnia del cantante argentino. La band tira fuori dal cilindro del passato pezzi come
Asgard e The Roman Empire (la cui interpretazione di Gus non mi fa assolutamente rimpiangere quelle di Federica ai tempi di “Public Glory, Secret Agony”) e, immancabili, canzoni dal recentissimo “The XIII Skull”. Ottima prova quindi per i vicentini che hanno potuto insindacabilmente contare su un grande sostegno da parte del pubblico del Valpolicella.
[P. B.]
L’esibizione di UDO comincia verso le 10 passate con una scenografia molto semplice costituita dal logo dell’ultimo lavoro ‘Thunderball’.
Non avendo mai visto UDO in concerto sono un attimino timorosa per la resa del singer ma ogni dubbio svanisce quando il colonnello si presenta con la sua classica mise militare e si mostra appesantito fisicamente ma assolutamente non vocalmente. Il suono è potente, anche se all’inizio un po’ troppo bassa la voce rispetto alle chitarre, ma la cosa si risolve velocemente. Il concerto apre con
“Thunderball” seguita senza soluzione di continuità da un altro pezzo dell’ultimo album ‘The bullet and the bomb”. Il gruppo è decisamente carico, ma è su
“Metal Heart” che anche il pubblico si scalda veramente (ci si sarebbe aspettata un’affluenza maggiore per un artista del calibro di UDO, ad ogni modo il pubblico era molto coinvolto). A seguire la scaletta ripropone la serie dei più grandi successi degli Accept inframezzati dai più noti pezzi di UDO solista sapientemente dosati. Il singer mostra di non aver perso assolutamente nè voce nè grinta giocando e interagendo molto col pubblico a cominciare dalle sue ‘linguacce’ e ‘faccine’, inoltre colpisce favorevolmente il chitarrista solista Igor Gianola (ingaggiato da UDO a suo tempo mentre suonava nei Gotthard): ottima chitarra, grande grinta e presenza scenica. Oggettivamente lo stile è molto diverso da Hoffmann (e lo si sente nei passaggi ‘classici’ degli Accept) ma ciò non toglie nulla alla qualità della performance. Vengono eseguite:
Son of a Bitch, Neon Lights, Living For Tonight, Slaves To Metal, Up To The Limit, Metal Eater, Man And Machine, Blind Eyes, Animal house, Balls to the wall
e Restless & wild. Il pubblico è un tutt’uno con Udo: canta le songs, intona cori sugli assoli ma l’apice totale si ha sull’anthemica
‘Balls to the wall’ dove ci troviamo tutti assieme con le mani sollevate a cantare in coro. Dopo una breve pausa la band rientra per eseguire la splendida
“Princess of the dawn” (immancabilmente accompagnata dal pubblico), “I’m a rebel”
e a finire il delirio e il pogo totale su “Fast as a shark” dove Udo ci fa cantare più volte la canzone di Heidi. E’ proprio sul finale che il tempo comincia a cambiare e il gruppo ci lascia con una pioggia sempre più fitta.
In conclusione il concerto è stato un pò più breve rispetto alle date del tour invernale, inoltre Udo non ha fatto cambi d’abito e Igor nn ha fatto incursioni tra il pubblico limitandosi all’assolo sul palco, ma queste sono note di colore che non tolgono nulla ad un’ottima e grintosa performance di sano e sentito heavy metal che ci fa lasciare Domegliara soddisfatti del fatto che ci siano artisti che ancora credono fermamente in questa musica.
[E. F.]