Xmass Fest 2003: il report

Di Alberto Fittarelli - 22 Dicembre 2003 - 15:03
Xmass Fest 2003: il report

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L’ Xmass Festival di quest’anno si presentava davvero ricco, con un bill invidiabile, contenente anche gruppi che normalmente a noi poveri italiani non è concesso di vedere spesso, come per esempio Amon Amarth e Misery Index: e nonostante varie difficoltà iniziali e qualche intoppo a livello acustico bisogna dire che il concerto si è svolto nel migliore dei modi, soddisfacendo le aspettative delle centinaia di metal fans accorsi.

Quando parlo di “difficoltà iniziali” mi riferisco soprattutto allo sciopero nazionale dei mezzi pubblici, che ha colpito particolarmente chi si apprestava a dirigersi verso il Transilvania Live; ma ha danneggiato in modo anche peggiore chi non sapeva dell’improvviso cambiamento di sede (appena 5 giorni prima) del concerto, dal Rolling Stone al Transilvania appunto: praticamente da un capo all’altro della città.
Io stesso sono costretto dallo sciopero a raggiungere il locale solo alle 17, perdendomi quindi l’esibizione degli italiani Graveworm e dei deathsters americani Misery Index: da pareri raccolti tra il pubblico pare però che entrambe le bands abbiano offerto un’esibizione di ottimo livello, breve ed intensa, anche se con qualche problema di mixaggio dei suoni per i Graveworm. Cose di poco conto, comunque, che servono evidentemente a ‘rodare’ l’impianto per gli shows successivi.

     

A quel punto tocca già ai tedeschi Dew-Scented esibirsi: dopo un veloce controllo ai suoni (particolarmente a quelli delle chitarre) i 5 componenti del gruppo salgono sul palco ed attaccano con la propria miscela di thrash slayeriano e death melodico alla At The Gates. Della personalità della band ho già parlato in sede di recensione, non giudicandoli particolarmente degni di nota, anzi;  di nota; va detto che in sede live le cose migliorano in modo sensibile, dato anche l’impatto che indubbiamente questo tipo dipezzi possiede. Peccato per una certa uniformità complessiva, che porta a sbuffare dopo il terzo “Go!” nell’attacco di una canzone… cose che sembrano però non colpire granchè il pubblico, già pronto a far vedere il proprio grado di coinvolgimento seguendo gli incitamenti del cantante. Buona la performance di tutti gli strumentisti (tranne forse il bassista, molto poco presente anche a livello sonoro), in generale un discreto spettacolo da parte di una band che si spera trovi presto la sua strada.

      

Tocca ora agli attesissimi Amon Amarth calcare il palco del locale milanese: e dico attesissimi perchè è evidente la curiosità, specialmente nelle prime file, per un gruppo che è davvero difficile apprezzare dal vivo in queste zone. Anche per loro un breve check e parte subito l’attacco di Death in Fire, opener dell’ultimo Versus the World: Johan Hegg troneggia sulla folla con la sua mole imponente e tutta la band appare compatta e precisa, eseguendo pezzi sì squadrati  ma anche decisamente coinvolgenti. C’è da dire che sulla lunga distanza il gruppo probabilmente mostrerebbe un po’ la corda: le canzoni hanno tutte una struttura molto simile, senza mai grandi accelerazioni, e la coppia dei chitarristi non pare essere esattamente in vena di interagire molto col pubblico, ma per la mezz’ora abbondante della loro esibizione non ci si può certo lamentare, anzi! Pezzi come la succitata Death in Fire, Where the Silent Gods Stand Guard e Master of War scaldano gli animi, aiutati pesantemente dal carisma del leader Hegg: un simbolo vivente di quella filosofia e stile espressi nelle composizioni dei 5 svedesi.

     

E dall’epicità nordica degli Amon Amarth si passa poi a quella di stampo egizio presentataci dai Nile: il combo statunitense ha ormai visitato diverse volte i palchi italiani, dando sempre l’impressione di poter schiacciare gran parte della “concorrenza”; purtroppo oggi non pare però in giornata, complice anche, come già accennato, dei problemi tecnici non indifferenti. L’inizio, eseguito con il pezzo Chapter for Transforming Into A Snake, sembra anche azzeccato, del resto: John Vesano, nuovo arrivato nella parte di frontman, è decisamente nella parte e si rende protagonista di un ottimo spettacolo, trasmettendo al pubblico tutta la carica dei propri pezzi. Ma è la coppia di chitarristi, Dallas Toler-Wase e Karl Sanders, che sembrano troppo poco presenti: specialmente il primo pare decisamente infastidito dallo scarso funzionamento delle spie e addirittura si ferma più volte durante l’esecuzione dei pezzi, sbuffando nei confronti dei tecnici di palco. La cosa si trascina per tutto lo show, costellato d’altra parte da canzoni di primissima qualità come Sarcophagus, Execration Text, la ben riuscita Barra Edinazzu e la conclusiva Black Seeds of Vengeance; l’impatto ne risulta decisamente penalizzato e non basta la solita prestazione stellare di Tony Laureano dietro alle pelli per risollevare le sorti di uno spettacolo ormai irrimediabilmente danneggiato. Peccato davvero.

       

Qualche minuto per il cambio di palco ed è la volta dei tedeschi Destruction: basta uno sguardo al pubblico entrato nel locale subito dopo i Nile per capire che la maggior parte dei presenti, in quel momento, è lì per loro; e la cosa verrà confermata da una partecipazione selvaggia della folla durante lo spettacolo del trio thrash. Schmier e compagni sono gli unici a presentarsi con una scenografia, seppur scarna ed essenziale: due teloni su cui campeggia il logo della band e la cover dell’ultimo fatica del combo, “Metal Discharge”. E come già fatto vedere in passato, con soli 3 componenti la band riesce a fornire ai presenti una prestazione di quelle da ricordare: non soo certo uno dei primi fan del gruppo, personalmente, ma devo riconoscere che i Destruction sanno come rendere al meglio su un palco, aiutati anche da composizioni che sembrano fatte apposta per headbanging e slam-dancing; attività entrambe praticamente in maniera massiccia dal pubblico: la sicurezza deve lavorare a getto continuo per recuperare i ragazzi che si lanciano sopra alle teste della gente e da lì verso il palco, persino nelle pause in cui Schmier presenta le canzoni!
Il set proposto dalla band è del resto di quelli fatti apposta per scatenare il pubblico: l’immancabile Total Desaster dà il via ad una lista di anthems come Nailed to the Cross, Thrash ‘Till Death, Desecrators (of the new Age) e Metal Discharge. Schmier è il solito leader carismatico, sa come rivolgersi al proprio pubblico e sembra riempire da solo gran parte del palco, quanto a presenza scenica; la stessa cosa vale anche per Mike, che con la sua figura antitetica (per dimensioni!) al cantante riesce comunque a “caricare” bene i pezzi che esegue.
Il binomio Bestial Invasion/Mad Butcher chiude un concerto decisamente riuscito, che si confermerà sino alla fine come uno il migliore della giornata insieme a quello degli headliners.

     

Headliners che si fanno attendere per un po’, del resto: i Deicide lasciano infatti ai tecnici il tempo di approntare un muro di amplificatori impressionante prima di uscire allo scoperto. E quando lo fanno il boato esprime a dovere, di nuovo, l’entusiasmo del pubblico: Glenn Benton ringhia nel microfono un breve “saluto” e si parte subito con Children of the Underworld, e la folla, che ha ormai riempito del tutto il locale, impazzisce. I pezzi si susseguono serrati, senza troppe pause tra l’uno e l’altro, con solo qualche breve momento di dialogo tra Benton ed i fans, segnato dall’ironia del singer, spesso sorridente. Il momento migliore dello show è la parte centrale, composta da Serpents of the Light, Sacrificial Suicide e Once Upon The Cross eseguite in rapida successione; manca invece l’attesa Kill the Christians. I fratelli Eric e Brian Hoffman, alle chitarre, sono impassibili e freddamente precisi, con una pulizia di suono notevole ed una compattezza da invidiare; anche Steve Asheim, alla batteria, è come sempre una macchina, quadrato ed impeccabile. In linea generale il loro è quindi il classico show dei Deicide, senza fronzoli, diretto ma soprattutto breve: l’unica pecca del concerto è infatti l’amaro che lascia nello scoprire che, dopo l’abbandono del palco a seguito di Crucifixation, la band non sarebbe tornata ad eseguire alcun pezzo; gli stessi inservienti e tecnici sembrano sorpresi, e la gente è visibilmente delusa.

Ciò non toglie comunque che il loro si segnali come lo show più riuscito, appunto, insieme a quello dei Destruction; in generale possiamo dare un bel 7 e mezzo a questo festival ormai ricorrente, che ha saputo recuperare qualche falla a livello organizzativo e ripagare il pubblico dei problemi causati. Ora ci si aspetta qualche conferma dai Nile, in condizioni migliori, ed il tour da headliners dei Destruction (che pare saranno accompagnati proprio dai Dew-Scented).

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli