Xmass Fest 2004 – report

Di Alberto Fittarelli - 26 Dicembre 2004 - 17:16
Xmass Fest 2004 – report

Report di: Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli, Matteo ‘Truzzkiller’ Bovio
Foto: Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Un’edizione strana, quella dell’Xmass Fest 2004: un bill
ridimensionato ed eterogeneo rende il tutto più simile ad un grosso tour che ad
un vero e proprio festival itinerante come gli altri anni. Partiamo subito con
la descrizione dei concerti:

I Belphegor iniziano a suonare quando la maggior parte della gente (tra cui il sottoscritto) sta ancora aspettando di entrare. Ho potuto in pratica vedermi solo gli ultimi due pezzi eseguiti dalla formazione austriaca, peraltro con dei suoni non certo fantastici. Chiudono lo show con
“Lucifer Incestus”, e dal poco che ho potuto vedere mi è sembrato di trovare il gruppo piuttosto in forma. Per chi li conosce non c’è molto da aggiungere, visto che lo stile del gruppo è rimasto piuttosto immutato nel corso degli anni e che viene trasposto su palco in maniera molto fedele. Black Metal senza particolari fronzoli ma con una certa attenzione per il riffing, ben eseguito e supportato da una prevedibile presenza scenica altrettanto minimale.

M.B.

Spetta ai The Black Dahlia Murder dare il cambio, e si passa a tutt’altro genere. Ammetto di non conoscere assolutamente questo gruppo: nonostante questo ho apprezzato (con moderazione) la loro prova. Il genere non è certo quanto di meglio ci si possa aspettare per originalità: solito Thrash Death trito e ritrito, che in questi ultimi anni rischia di uscirci dalle orecchie. Ma l’approccio del gruppo in sede live è sicuramente buono: grande energia da parte di ogni componente, e ovviamente buona esecuzione. Il singer ha un approccio ai pezzi molto Hardcore, il che dona rabbia alle canzoni: vedere uniti il suo cantato continuamente urlato alla passione che il resto della formazione dimostra durante l’esecuzione mi permette di dirmi soddisfatto della loro prova, nonostante i
The Black Dahlia Murder siano il tipico gruppo che su cd probabilmente mi stuferebbe dopo pochi ascolti.

M.B.

I Vader ormai sono la rassicurante conferma che ci si aspetta di
trovare in un festival, dopo tante incognite dovute a gruppi giovano o storici
ma recentemente rivoluzionati (vedi i Marduk, di cui parleremo dopo): il che è
un’arma a doppio taglio, se si pensa che la frequenza dei loro live è ormai
proverbiale, ma che si sa benissimo cosa aspettarsi dal loro concerto. Il tutto
può essere riassunto con: potenza, precisione e grandissima professionalità;
forse troppa.
Sì, perchè per quanto il loro show mi abbia entusiasmato (vi sfido a non
muovere il cranio su pezzi come Carnal, un vero massacro) va detto che la
band sembra ormai un po’ troppo spesso timbrare il cartellino e poco più, con
un Peter (forse non esattamente sobrio) che pareva svogliato, spento ed
anche un po’ paternalistico nel modo di rivolgersi al pubblico. Dettagli,
direte, se si considera uno spettacolo musicale di grande qualità: dettali che
però contano, secondo me. Resta il fatto che i classici, su tutti i brani da Litany,
restano immarcescibili, ed anche i nuovi pezzi (Dark Transmission, ad
esempio) hanno fatto i giusti sconquassi.

A.F.

Dopo i polacchi, a sorpresa vista la “mole” di questi ultimi, è il
turno dei Finntroll: per la seconda volta in terra italiana, ma con alle
spalle album che li hanno resi ormai popolarissimi, i pazzi humppa-black
metallers hanno fatto esattamente ciò che ci si aspettava da loro, divertendo
(e divertendosi, visibilmente) la folla che ormai aveva riempito del tutto il
locale. La sorpresa è la mancanza del mastermind Trollhorn alla
tastiera, sostituito dalla brava ma compassata Meiju Enho dei conterranei
Ensiferum: la differenza, oltre che scenica (non di poco, visto il carisma e
l’ironia di Trollhorn dal vivo) è tutta nei suoni, che qui appaiono sommersi dl
tappeto ritmico e dal muro delle chitarre. Un peccato, ma anche un danno molto
relativo, visto che davanti a brani come Fiskarens Fiende, Trollhammaren
o Jaktens Tid, per citare 3 cavalli di battaglia, c’è poco da fare… la
gente si è semplicemente devastata di pogo e slam-dancing, rispondendo ai
finlandesi con un’energia incredibile. E’ chiaro come molti fossero lì
soprattutto per loro, e Wilska & co. se ne accorgono benissimo.
In una chiacchierata successiva allo show, il bassista Tundra ironizza
sull’assenza di Trollhorn definendolo “troppo grasso e pigro per fare
tour” e confermando la tournèe primaverile coi nostrani Graveworm. Senza
parlare dei commenti ironici sulla fine del loro concerto al Summer Breeze della
scorsa estate… per maggiori chiarimenti, leggete il report a questo
indirizzo
.
Tornando al loro spettacolo, i soli 40 minuti a loro destinati non hanno
consentito l’esecuzione di brani come Rivfader e Eliytres, mentre
sono stati inseriti pezzi insoliti per un palco, come la cadenzata Grottans Barn.
Wilska è un orso, la sua mole imponente mette a repentaglio la vita dei
fotografi quando, sceso dal palco, si stringe contro le transenne per far
cantare alla folla il ritornello di Trollhammaren, e le pitture facciali
ed i costumi di tutto il gruppo rendono perfettamente l’atmosfera di festa da
taverna che si respira. Uno spettacolo, in tutti i sensi.

A.F.

Discorso completamente diverso per i Napalm Death, il gruppo che personalmente aspettavo con più ansia. Si portano sul set l’esperienza ormai ventennale, la fama di animali da palco e un repertorio sterminato di classici, per restituire il tutto al pubblico in una formula unica. Neanche a dirlo, l’aspettura spetta al classico dei classici: “Instinct Of
Survival”
. Velocità raddoppiata e grandissima enfasi negli stacchi fanno del pezzo una vera e propria carica esplosiva, utile per scaldare senza troppi preamboli il pubblico. E l’intero show è destinato a calcare lo spirito di questo inizio, giusto per riconfermare l’oramai incontestabile fama.
I dettagli da ricordare sono davvero troppi, e si confondono in una confusione generale scatenata dall’inarrestabile formazione a quattro. Certi momenti sono attesi con evidente impazienza, come ad esempio
“Suffer The Children”: annunciata energicamente da Barney, riceve una notevole risposta dal pubblico. Arrivano quasi in fila altre perle del passato, che rispondono al nome di
“Scum”, “From Enslavement To Obliteration” e “The
Kill”
, e non manca nemmeno la brevissima sparata di “You Suffer”. Ma il pubblico sembra gradire senza riserve anche le cover proposte, un omaggio dichiarato ad una determinata scena: disseminate nello spettacolo ci propongono
“Lowlife” (Cryptic Slaughter), “Blood Justice” (Agnostic Front) e, a questo punto abbastanza prevedibilmente,
“Nazi Punks Fuck Off” (Dead Kennedys).
Anche tornando a un periodo non certo roseo, il gruppo scatena una sorta di apocalisse sotto il palco: questa volta è il turno di “Breed To
Breathe”
. Poi, tanto per farci venire l’acquolina in bocca, anticipano due canzoni dall’imminente nuovo album. Anche se ad un primo ascolto i brani non mi hanno propriamente esaltato, basta la carica con cui li propongono, il martellare e la distorsione impossibile del basso di
Shane Embury e la grinta esplosiva di Barney per evitare qualsiasi cedimento.
Un’ora (se la memoria non mi inganna) di show tiratissimo, divertente e soprattutto molto energico. Gli anni passano ma nella scena c’è ancora chi il palco lo domina, non lo subisce. Pur non appartenendo alla cerchia di fan intransigenti della formazione britannica, devo ammettere che la loro grinta è un elemento (l’ennesimo) che li colloca in un mondo ben distante dalla maggior parte dei gruppi odierni. C’è chi ha fatto la storia e ci campa sopra; c’è chi ha fatto la storia e continua a spiegarci com’è stato possibile.

M.B.

Tocca invece ai Marduk la palma di delusione della serata: sarà per
lo stridente contrasto con la potentissima esibizione dei Napalm Death, sarà
per il fatto che il clima interno al locale si fa pian piano difficile da
sostenere, sono invogliato dopo soli 2 pezzi ad uscire per una sana boccata
d’aria e per approfittare della presenza di membri di Finntroll (vedi sopra) e
Vader (Peter, ormai ubriachissimo, e Novy, che cercava un hot dog da mangiarsi
mentre guardava le bancarelle di CD) per qualche chiacchiera sulle rispettive
bands. Va detto che lo spettacolo dei blackster svedesi è stato parodistico: il
mio non vuole assolutamente essere un pregiudizio, ma vedere il nuovo singer Mortuus
atteggiarsi da macabro blackster, condendo il tutto con una prestazione vocale
standard, anche se di buon livello, mi fa rimpiangere i tempi in cui Legion
sbagliava qualcosa con la voce ma teneva in pugno il pubblico come nessuno nel
black metal. Pressochè immobili, precisi ma statici, i Marduk di oggi mi
sembrano pericolosamente una cover band del gruppo che fu; Morgan
dovrebbe forse riflettere sul fatto che la gente rimaneva impassibile o quasi,
con poche urla e nessun pogo, se non nei primi pezzi. Cosa che la band ha
notato, dato che lo show termina senza fronzoli nè saluti alla folla, ed in
modo improvviso. Solo alcuni brani destano il mio interesse, come quelli tratti
da Panzer Division Marduk, il più energico album nelle
riproposizioni live, e la storica On Darkened Wings, col suo break di
basso. Per il resto: cardiogramma piatto.

A.F.

Si chiude così un festival penalizzato dal lunedì feriale e da un bill
buono ma non enorme… a conti fatti l’affluenza è stata minore di quella degli
altri anni, senza contare che dopo i Napalm il locale ha perso parte
dell’audience. Spiace vedere come non tutto fili liscio (il prezzo ha
contribuito, 28 € ci paiono davvero tanti), ma i tempi tutto sommato
rispettati, la buona presenza di distro nel locale e la varietà dei generi
musicali proposti hanno sopperito in parte a queste mancanze. Al prossimo Natale
estremo.