Live Report: Armored Saint [Symbol of Salvation – Special Show], Athrox @ Legend Club, MI – 11/11/18
LIVE REPORT ARMORED SAINT [SYMBOL OF SALVATION – SPECIAL SHOW] E ATHROX
LEGEND CLUB, MILANO, DOMENICA 11 NOVEMBRE 2018
A cura di ORSO COMELLINI
Photo-report a cura di Paolo Manzi
Serata storica quella che si è consumata domenica 11 novembre al Legend Club di Milano, per l’unica data italiana degli Armored Saint, che portano in scena per intero il loro album più rilevante: “Symbol of Salvation”.
Soprattutto se consideriamo che le occasioni di vederli sul suolo italico in tutta la loro carriera sono state pochissime, come ricorda la stessa band, tanto che si potrebbero contare sulle dita di una sola mano (e ne avanzerebbero pure diverse…). Non a caso, nonostante l’età media dei presenti sia piuttosto elevata, sono in molti lì per vederli per la prima volta. L’eccitazione è palpabile, l’atmosfera elettrica. Ben prima dell’apertura delle porte, infatti, la coda dei fan arriva fino ai cancelli esterni alla struttura.
Un pensiero, prima di entrare, è andato inevitabilmente a quattro anni prima, l’ultima volta che ho presenziato al Legend Club, quando su quello stesso palco salirono i Manilla Road del compianto Mark “The Shark” Shelton in occasione del TrueMetal Fest. Vedere quelle poltroncine esterne, tra le quali si aggirava in scioltezza in mezzo ai fan il fiero alfiere dell’Epic Metal, ammetto che mi ha procurato un po’ di magone.
ATHROX
L’onore di aprire le danze spetta ai grossetani Athrox, onesta band dedita a un robusto Heavy Metal “sporcato” da una vena di US Power/Thrash. Ai quali tocca il facilissimo compito di scaldare una platea già bollente, ma quello ben più arduo di farlo su un palco che scotta, se mi concedete il gioco di parole. I toscani sono autori di due dischi: “Are You Alive?” del 2016 e “Through The Mirror”, uscito lo scorso 9 novembre. La scaletta è ben bilanciata tra i due lavori, con due brani estratti dal debutto e tre (comprensivi di intro) dal nuovo. La band pare ben rodata e sfodera una prestazione senza sbavature, forte di composizioni ben strutturate, riff arcigni e un cantato che ricorda lontanamente lo stile di Tony Moore o di Rob Halford, ma una voce decisamente più “cartavetrata”. Sicuramente una buonissima vetrina per gli Athrox, band che ha onorato l’evento come si confà.
Setlist:
Intro – Waters Of Acheron
Ashes Of Warsaw
Warstorm
Empty Soul
End Of Days
ARMORED SAINT
Solitamente, nello stacco tra un gruppo e l’altro, sono molti ad approfittare della pausa per andarsi a bere una birra o fumarsi una sigaretta all’aperto, ma, a ulteriore testimonianza di quanto i presenti tenessero all’evento, praticamente nessuno si smuove dalla posizione conquistata e nel frattempo il locale si è completamente riempito. L’attesa è enorme e il soundcheck pare dilatarsi all’inverosimile, finché, quasi in perfetto orario, gli Armored Saint salgono sul palco tra le ovazioni degli astanti. La partenza è affidata a March of the Saint, cui seguono Long Before I Die e Chemical Euphoria, trittico che sorte lo stesso effetto di uno Zippo lanciato su una scia di benzina diretta verso una cisterna di carburante. La band californiana è in forma smagliante, pur avendo superato abbondantemente la cinquantina. La loro forza attuale è quella di sapere far valere tutta l’esperienza maturata molto più di quanto non abbiano perso (in realtà pochissimo) in brillantezza. Personalmente avevo pochi dubbi, so di cosa siano capaci dal vivo. Avevo già avuto il piacere di assistere a un loro show al Wacken del 2000 (tour di Revelation), che li vide tornare in pista dopo una lunghissima pausa e vi posso assicurare che ieri come oggi, nonostante siano passati ormai 18 anni, i Saint erano e sono degli animali da palcoscenico. Giusto il tempo di tirare il fiato un attimo, mentre John Bush ci spiega che fino a quel momento hanno suonato un brano del primo disco, uno del secondo, infine uno del terzo, che arriva il turno del quarto: quel “Symbol of Salvation” che per questa speciale serata suoneranno per intero. Reign of Fire, Dropping Like Flies e Last Train Home, sono fulgidi esempi della grandezza di questa band e valgono da soli il prezzo del biglietto, ma per fortuna la scaletta è ancora lunga. La prova vocale di Bush è impressionante, considerata la difficoltà delle proprie linee vocali, che il Nostro esegue senza apparenti difficoltà, e intrattiene il pubblico come solo pochi sanno fare. Il gruppo fila che è una bellezza: Duncan e Sandoval non sbagliano praticamente una nota degli assoli ed è altrettanto convincente la prova della sezione ritmica, con Vera che rimbalza da un lato all’altro del palco. Si passa poi al possente riff di Tribal Dance, alle vibrazioni ottantiane di The Truth Always Hurts, fino alle emozionanti note dello strumentale Half Drawn Bridge e la ballata Another Day, che la band dedica alla memoria del grande Dave Prichard, ricordandone l’importante contributo anche in fase compositiva dell’album, sul quale però non suonerà mai, fulminato dalla leucemia a soli 26 anni.
Si passa poi al Side B, con la tellurica title track cantanta da Bush, per tutta la durata dell’ultima strofa, direttamente in mezzo al pubblico. Poi la bellissima Hanging Judge, primo brano, a detta di Bush, composto del disco (e celebre per essere finito su Hellraiser III, con la band impegnata a suonarla dal vivo al The Boiler Room). Perfetto mix di potenza e raffinato guitar-work. Peccato solo, e qui i tecnici del locale probabilmente dovranno rivedere qualcosa, che stando a sinistra del palco si sentisse pochissimo la chitarra di Sandoval e il contrario dall’altra parte con quella di Duncan. Se in altri brani la cosa non costituiva un gran problema, qui un po’ sì, perché il tessuto di Duncan è praticamente un fraseggio continuo, quasi un assolo, e sentendo poco la ritmica di Sandoval (dal mio lato) qualcosa si è perso in termini di impatto. Niente per cui fare una tragedia, ad ogni modo. A dir poco adrenalinica l’esecuzione di Warzone e Burning Questions (presentata con un accenno al fatto che la casa di Vera sarebbe rimasta coinvolta nello spaventoso incendio che sta funestando la California in questi giorni o comunque sarebbe molto a ridosso) e straordinario il pathos di Tainted Past, brano davvero evocativo tutto da cantare a squarciagola. Infine è il turno di Spineless e qui l’onda d’urto è notevole, per una canzone la cui potenza è assimilabile a un pezzo Thrash.
Altra brevissima pausa, giusto il tempo di realizzare che la loro esibizione è cresciuta d’intensità man mano che si è protratta, che è già tempo dei bis. Il primo è Win Hands Down, title track del loro ultimo album, sul quale i Saint puntano molto (e fanno bene, dato che è un ottimo disco). Poi è il turno della coinvolgente Can U Deliver, di nuovo dal disco di debutto. Così come Mad House, brano che spinge decisamente sull’acceleratore (anche più che su disco), scatenando uno spontaneo focolaio di pogo che accompagnerà il pezzo fino alla fine.
Si chiude così una serata pressoché perfetta. Gli Armored Saint si confermano dei mattatori dal vivo. Uno di quei – pochi – gruppi che su di un palcoscenico rendono più che su disco. Si potrebbe discutere a lungo sui motivi per i quali non abbiano mai sfondato (uno dei tanti lo ha chiarito lo stesso Bush, rivelando che ai tempi d’oro l’etichetta non permise loro di suonare in Europa, perché non avrebbe tirato fuori i soldi necessari). Fatto sta che avrebbero meritato e meriterebbero tuttora ben altro tipo di riconoscimento. Un plauso va senz’altro agli organizzatori e al locale che hanno permesso a molti, compreso il metallaro (ultra)quarantenne di far avverare un sogno.
Setlist:
March of the Saint
Long Before I Die
Chemical Euphoria
Reign of Fire
Dropping Like Flies
Last Train Home
Tribal Dance
The Truth Always Hurts
Half Drawn Bridge
Another Day
Symbol of Salvation
Hanging Judge
Warzone
Burning Question
Tainted Past
Spineless
Win Hands Down
Can U Deliver
Mad House