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Intervista Temperance (Michele Guaitoli)

Di Luca Montini - 10 Febbraio 2020 - 0:00
Intervista Temperance (Michele Guaitoli)

In occasione dell’uscita del nuovo album dei Temperance “Viridian”, quinto lavoro in studio della band e primo per l’etichetta Napalm Records, abbiamo intervistato per voi il cantante Michele Guaitoli. Una chiacchierata che si è rivelata molto piacevole con un giovane professionista ed un grande appassionato di musica.

Ciao Michele e bentornato sulle pagine di Truemetal.it. Subito dopo l’uscita del disco avete immediatamente affrontato due show italiani, a Milano e Fontanafredda, poi Innsbruck in Austria e Brno in Repubblica Ceca. Come va?

Un po’ stanchi, siamo tornati dopo queste quattro date di release dopo aver dormito poco e viaggiato molto a livello di chilometraggio.

Avete dichiarato che non farete altri show nel 2020 in Italia. Come mai questa decisione?

È vero. Non si tratta di una decisione alla Slayer o alla Judas Priest che poi fanno ottocento date! (ride) Si tratta di una scelta che dopo queste date è ancora più consolidata. Negli anni abbiamo visto che suonando tanto è diventato troppo dispersivo. La gente tende a continuare a credere che i Temperance puoi averli magari gratis tra due settimane o due mesi vicino casa. Quindi nelle date che hanno più rilevanza per noi si tende a convogliare meno gente. È una storia comune a tutte le band. Forse è meglio concentrare in poco e abituare chi ti segue a fare meno date piuttosto che fare la via crucis di cinquanta date spostando cinquanta persone a sera.

Anche perché state crescendo molto come band e dovete definire bene come muovervi sia in Italia che in Europa.

Si dobbiamo confrontarci con il mercato. Da un lato rimane quella voglia di suonare che hai a quindici anni e che per fortuna non è ancora andata via, dove praticamente suoneresti anche nel cesso di casa tua se vengono due amici! (ride) Dall’altro lato c’è la questione mercato, dove l’Italia è debole sia di vendite che di interesse, e quando inizi a lavorare con agenzie estere il fatto che sei italiano non conta nulla per loro, sono meccaniche di booking delle date.

Tra l’altro siete tutti musicisti di professione, giusto?

Si, tutti e cinque adesso.

Da qui in avanti quindi sarete in tour in giro per l’Europa con Tarja, come vi sentite? Siete carichi?

…è quella via di mezzo tra il sentirsi onorato e il sentirsi impaurito! Onorato perché siamo stati selezionati come special guest che è una cosa molto bella. Di solito quando ci sono questi tour ti vengono proposti gli slot di apertura, mentre lo special guest è scelto dal management dell’artista se non dall’artista stesso. Impauriti perché il genere che suoniamo l’ha inventato lei: il symphonic metal con voce femminile nasce coi Nightwish per cui ha un pubblico molto selettivo, ci faremo valere!

Che ricordi… i primi Nightwish, quando sentendo quelle sonorità scoprimmo che il metal poteva anche essere declinato in quella maniera…

Parlo per me ma credo che valga anche per gli altri quattro, i primi dischi dei Nightwish li ho tutti, ce li ho qui davanti ora. Fino a “Dark Passion Play”, poi ho anche “Imaginaerium”, mi manca poco.

Veniamo al vostro nuovo album “Viridian”, un lavoro maturo che è naturale evoluzione del precedente “Of Jupiter and Moons”. Innanzi tutto come è stato composto, chi ha scritto le musiche e chi i testi?

A livello di composizione in “Of Jupiter and Moons” aveva fatto tutto Marco. Questa volta anche io ed Alessia abbiamo potuto metterci un po’ le mani a livello di scrittura musicale. Siamo arrivati alla selezione dei brani in cui avevamo 18 pezzi. Di questi ne abbiamo scremati tra noi 5 o 6, e assieme a Napalm ne abbiamo selezionati 11 che sono quelli che trovi sul disco. Di questi 11, 8 sono di Marco, 2 miei e 1 scritto a quattro mani. La vena principale a livello di composizione insomma resta Marco. I testi invece sono principalmente di Alessia, tranne tre miei uno di Alfonso, “The Cult of Mystery”, ed uno di Marco, “Scent of Dye”.


Come è andata con il passaggio a Napalm? Non immaginavo avreste lasciato Scarlet. Il contatto l’avete avuto attraverso i Visions of Atlantis nei quali sei entrato l’anno scorso?

Una serie di conseguenze. L’anno scorso abbiamo fatto una tournee assieme ai Serenity. L’organizzatore del tour era Napalm Events, l’agenzia di booking di Napalm. Già dai primi contatti l’idea è che ci siamo fatti è che ci volessero mettere alla prova. Subito dopo il primo tour in UK ci è arrivata la proposta di contratto da parte di Napalm. Nel frattempo i Visions of Atlantis cercavano una voce maschile… hanno provato a buttarmela ed io ho chiaramente accettato. Se il genere piace e le cose funzionano a livello umano non puoi rifiutare, e devo dire che la band mi ha subito accolto come membro della famiglia. Per quanto riguarda il contratto per i Temperance, abbiamo subito contattato Filippo di Scarlet che ci ha detto per primo “ragazzi andate”. Il passaggio è stato super-facile, bello sia da un punto di vista professionale che umano. Quando passi a un’etichetta più grossa anche l’etichetta in cui lavori prima guadagna a livello di visibilità, non c’è stato nessun tipo di contrasto o screzio. Filippo è venuto a vederci anche l’altro giorno a Milano. Rapporto buonissimo insomma.

Una cosa che si nota molto anche negli ultimi video che postate sui social è il grande divertimento tuo, di Marco e di Alessia nel cantare armonizzando le voci. Avete trovato una bella alchimia, vero?

Diciamo che è diventata un po’ il gimmick della band. C’è chi ha gli elfi, chi ha i nani come i Wind Rose, noi abbiamo questa cosa dell’armonizzazione a tre voci. Eravamo gli unici fino all’anno scorso, poi i Brothers of Metal hanno deciso di copiarci! (ride) Non è vero ovviamente. Adesso anche loro hanno tre voci pulite. Però il loro contesto è più epicheggiante mentre noi abbiamo un sound più moderno. Anche gli Amaranthe hanno tre voci ma uno growla, mentre noi tutti in pulito. Vediamo le tre voci come elemento iconico anche nei video come in “The Last Hope in a World of Hopes” o in “My Demons can’t Sleep”, ma anche dal punto di vista sonoro dove la linea vocale è diventata la linea guida dei ritornelli dei Temperance. Non credo che ci sia un ritornello dove non cantiamo tutti e tre.

Sempre con questo spirito spontaneo mi pare sia nata “Lost in the Christmas Dream”. Era già prevista nell’album? A chi è venuta l’idea?

Si tratta di un sogno di Marco. Lo conosco da sette-otto anni, ricordo che mi parla di questo pezzo di Natale che voleva scrivere già dal secondo anno che ci conosciamo. Le pre-produzioni di Viridian le abbiamo fatte io e Marco assieme in una baita in montagna a gennaio dello scorso anno (2019), a Forni di Sopra qui in Friuli. Ci siamo costruiti un piccolo studio mobile ed abbiamo fatto la pre-produzione dei pezzi. Con lo spirito natalizio ancora nell’aria è stata la volta buona.

Quindi il disco era già pronto da tempo…

Si, Viridian doveva uscire ad agosto-settembre del 2019, poi abbiamo ritardato l’uscita con i Visions of Atlantis e Napalm non voleva due dischi con lo stesso cantante nel giro di un mese, quindi Viridian è uscito a gennaio. A quel punto Napalm ha ritenuto giusto far uscire prima il singolo di Natale.

Parliamo un po’ dei brani. Partiamo dalla titletrack Viridian: da dove avete preso ispirazione per questa “città di smeraldi” che vediamo in copertina?

Il testo di Viridan è di Alessia. Per il resto del concept ti spiego come lavoriamo. Tendiamo a lasciare molto spazio creativo a tutte le terze parti con cui collaboriamo. Quindi per quanto riguarda video, copertina e così via noi spieghiamo veramente poco di quello che vogliamo perché preferiamo che non ci siano influenze della band su quello che è un lavoro artistico. Quindi la copertina l’abbiamo di nuovo affidata a Yann (Souetre) dicendogli soltanto il titolo del disco e dandogli il testo di Viridian. Nessun’altra indicazione. Così come per i video: abbiamo dato ai registi la canzone da ascoltare e gli abbiamo detto di farne quello che volessero. La stessa cosa succede coi testi. Non ci diciamo “il titolo è questo e vorremmo che il brano parli di – ”. Alessia presa dal significato della parola Viridian, unico concetto deciso assieme, ha sviluppato il concetto del brano. L’unico significato che assegniamo al “Viridian”, che in italiano si chiama “verde veronese”, che non c’entra nulla chiaramente col significato politico, lo associamo al colore della Terra vista dallo spazio. Una miscela tra il blu del mare e il verde della natura, e rappresenta un po’ il nostro Pianeta. Si collega anche a “Jupiter”, che rappresentava una realtà più astratta. Viridian è madre terra. Noi potremmo vedere l’arwork come un angelo che guarda un’evoluzione sci-fi della terra stessa.

Tra l’altro il tema della Terra ritorna nel brano “Gaia”. Un altro brano molto interessante è “Catch the Dream”, che sicuramente coinvolgerà il pubblico in sede live con un gospel che è follia dentro un disco metal, ma funziona molto bene, avete postato recentemente un video in proposito. Come è nata l’idea?

Ma si, è una canzone che riserva un po’ di sorprese interessanti. “Catch the Dream” è un brano che abbiamo scritto a quattro mani io e Marco. Partiva da un mio brano che abbiamo iniziato ad arrangiare, poi siamo arrivati ad un punto di stallo. Dopo il secondo ritornello non trovavamo uno sviluppo convincente, finché non abbiamo iniziato a sviluppare questa serie di linee vocali sfociate in un gospel. Alla fine abbiamo deciso di tagliare tutto quello che c’era prima e tenere solo il gospel! (ride) Per cui il brano è finito nel dimenticatoio. Ora il brano è una sorta di outro, o una “ghost track” stile anni ’90, come “Americana” degli Offspring. Anche live eravamo partiti con l’idea di usarla come outro quando andiamo a fare gli inchini e salutare il pubblico. Ma la prima sera a Milano la gente ha iniziato a battere le mani e noi abbiamo iniziato a cantarla. La seconda sera è successa la stessa cosa, quindi poi la terza sera a Brno ci siamo decisi a cantarla proprio documentando con un video.

Il mio brano preferito al momento però è “Start Another Round”, è un pezzo molto particolare, carico, che incita al voltare pagina, all’affrontare i problemi della vita con determinazione.

Partiamo da “Of Jupiter…”, dove ricorderai il brano “The Art of Believing” che era un pezzo hard rock con l’hammond. Era un po’ più melodico, meno AOR ma comunque sull’hard rock andante. Questa cosa ci è piaciuta ed abbiamo pensato di riproporla in Viridian. In questo caso abbiamo spinto più con l’hammond, per fare qualcosa di deeppurpleiano, forse più da Whitesnake, mantenendo però questa peculiarità delle tre voci.

Veniamo alla opener, dopo “Mr. White” di nuovo su temi cinematografici con “Mission Impossible”.

Si, “Mr. White” è un pezzo che nella vecchia scaletta tenevamo sempre, ora come dici visto che c’è un collegamento tra l’una e l’altra per non passare proprio per nerd estremi facciamo solo “Mission Impossible”. Sono anche pezzi dagli stili molto vicini, in tantissimi ci hanno associato agli Amaranthe anche con questo bramo. Soprattutto i nuovi ascoltatori, chi conosce la discografia dei Temperance sa che quello è uno stile già percorso dalla band, da “Side by Side” a tutti i brani del primo e del secondo disco. Anche questo è un pezzo di Marco, quando uno scrive anche per gusto personale, si sente.

Invece i tuoi pezzi sono?

“Gaia” e “Let it Beat”, che per me si chiama ancora “Over Time Over Space”. Devi sapere che noi abbiamo i working title, in pratica un musicista per un anno chiama un brano così poi alla fine cambia nome. Alla fine del ritornello abbiamo modificato il testo con quel finale “Let it Beat” che non c’era all’inizio. Ci è piaciuta subito perché richiamava i Beatles e un po’ il fulcro di questo battito di cuore richiamato nel pezzo. Poi l’ultimo brano come già detto è “Catch the Dream” scritto a quattro mani con Marco.



Prossimi obiettivi per la band?

Essendo una band newcomer, adesso è importante raccogliere i frutti del tour. Sarà il tour più grosso di sempre per i Temperance. Le venues sono tutte tra 800 e 1.000 persone, e di solito Tarja va sold out. Per parlare di booking di fine anno e Festival dell’anno prossimo bisognerà aspettare il feedback di questo tour. Per noi è un all-in. Abbiamo una serie di Festival programmati in estate e la nostra agenzia sta cercando di inserirne degli altri. Per noi tutto bello, tutto bene, poi ci confrontiamo col grande pubblico e magari facciamo cagare! (ride) Se non va può darsi che i programmi possano cambiare o se va bene potrebbero esserci investimenti ulteriori sia economici che di prospettive. Un momento topico per noi.

Certo che a macinare date siete tutti abituati mi sembra!

Certo, tutti quanti siamo tra le trenta/quaranta e le cento date l’anno. Ce n’è di carne sul fuoco. Il legame che c’è con i Temperance è più grande, ormai il gruppo è una piccola famiglia per tutti quanti. Io e Marco ci conosciamo da tanto, ma Alessia e Marco da ancora di più, prima che i Temperance esistessero, oltre dieci anni fa. Luca e Marco sono amici di infanzia. Alfonso è il più giovane, sta più al nord che al sud pur essendo di Napoli. C’è un bellissimo rapporto tra tutti e riuscire a portare avanti questo gruppo è il nostro sogno.

Tu hai anche i già citati Visions of Atlantis e gli ERA con Alessia, come la gestisci?

La stiamo affrontando in maniera professionale. C’è una categoria che dipende dalle etichette e dalle agenzie di management, e quando lavori con un colosso come Live Nation France, gli ERA sono sotto Universal, la prima priorità va data a quel progetto lì. Nel cuore siamo tutti Temperance dall’inizio alla fine, però i management sono tutti in contatto tra loro. ERA fa booking a fine anno quando per le band normali non c’è impegno, è un periodo morto. Quello è un progetto che vive da solo, si fanno arene da cinque/seimila persone e in qualunque mese lo fai hai lo stesso risultato. Per quanto riguarda me per questione di numeri poi certo ci sono i Visions of Atlantis, il rispetto di questi numeri per un professionista è fondamentale, quindi se sono in tour con loro mi sostituisce Gabriele Gozzi nei Temperance… che salutiamo!



Visto che conosci bene la scena contemporanea, quali sono i dischi che hai ascoltato maggiormente del 2019 conclusosi da poco?

Lo scorso anno sicuramente “Moonglow” degli Avantasia, e “No More Hollowood Endings” del Battle Beast. Per quanto anche il secondo dei Beast in Black mi ha colpito. In ultimo “Shehili” dei Myrath.

Ultima domanda di rito, un saluto ai nostri lettori e messaggio a piacere.

Per prima cosa sono un grande fan di Truemetal, vi leggo da più di dieci anni e siete un punto di riferimento per storicità e competenza. Abbiamo fatto un’intervista a Codroipo l’anno scorso, grazie a te e a voi del supporto, davvero fondamentale per una band. Grazie anche ai lettori per questa grande passione comune che è la musica. Continuate a seguirci, come spero sia uscito da quest’intervista siamo una band genuina, non ci facciamo problemi a dire le cose per come stanno e credo che sia una delle cose che mancano un po’ nella realtà attuale dove ognuno tira acqua al suo mulino e le cose non vengono dette o mascherate!

Intervista a cura di Luca “Montsteen” Montini